Capitolo 7

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Jeremiah
Il giorno seguente restai a casa, ripensando a quello che avevo detto a Lexi e a come sua madre mi avesse minacciato. Mio padre si era occupato della pratica dell'incidente, io non avevo idea di come avesse risolto la situazione.
'Perché l'aveva risolta, giusto?'
Rimasi con questi dubbi per l'intera giornata. Non avevo intenzione di chiederglielo, tanto non mi avrebbe spiegato come stavano realmente le cose. L'indomani tornai all'ospedale. Pensai di chiederlo ad un'altra persona, probabilmente lei mi avrebbe detto la verità. E anche se non lo avesse fatto, mi sarei assicurato che stesse bene. La cercai nella sua solita stanza ma era vuota, il letto rifatto e nessun oggetto personale. Chiesi informazioni all'infermiere all'ingresso del reparto.
"Chi sta cercando?" mi chiese indaffarato.
"Lexi. Lexi..." non sapevo quale fosse il suo cognome, mi maledissi per non averci pensato prima.
"Il cognome?" staccò gli occhi dallo schermo del computer per osservarmi, aveva uno sguardo diffidente.
"Senta non lo so, è una ragazza di 19 anni, ha i capelli alle spalle, castani."
"Se non mi dice il cognome non posso aiutarla." tornò a fare il suo lavoro, ignorandomi.
Pensai di cercarla nelle altre stanze, ma erano troppe e sicuramente qualcuno si sarebbe infastidito e mi avrebbe fatto cacciare prima di riuscire a trovarla.
"Per favore voglio solo sapere se è ancora qui." tornai a disturbare l'infermiere, ma prima che potesse rispondermi spostò lo sguardo di lato.
Lo imitai e vidi Lexi su una sedia a rotelle, accompagnata da suo padre. Accennai un saluto con la mano, lei replicò sollevando leggermente gli angoli della bocca. Suo padre mi vide e sono certo che mi riconobbe, ma non disse niente.
"Posso portare l'auto qua davanti?" domandò all'infermiere. "Dovrebbe fare le scale con la carrozzella altrimenti..."
"Oh certo, vada pure a prenderla." mi stupii della gentilezza con cui gli rispose, visto il modo in cui mi aveva trattato.
Uscì lasciando Lexi ad attenderlo. Era in mezzo al corridoio, capii che si sentiva di intralcio perché stava cercando di spostarsi girando le ruote con le mani. Non si era mossa di un centimetro. Le sorrisi dicendole: "Lascia che ti aiuti." la spostai accanto alla parete e mi sedetti accanto a lei.
"Grazie, non ho ancora capito come muovermi con questa cosa. Anzi spero di non doverlo capire, vorrei utilizzare le stampelle il prima possibile." sembrava infastidita dalla situazione.
"Mi dispiace." mi innervosii anch'io, non so perché avessi pensato di poter fare qualcosa per lei, era naturale che mi odiasse. "Come stai?"
"La gamba mi fa male, quasi sempre, la testa non più da qualche giorno. Tu?" fu molto diretta, capii che la mia presenza la stava disturbando.
"Meglio, sento dolore soltanto se mi muovo troppo o troppo velocemente. Lexi?" la chiamai per nome, per attirare la sua attenzione, ero di fronte a lei ma stava guardando altrove. "Sai se dobbiamo fare qualcosa in particolare? Intendo, per l'incidente. Ho compilato dei moduli, anche tu?"
Lexi mi scrutò per qualche secondo, poi disse: "Non lo sai? Tuo padre ieri l'altro è venuto a trovarmi, ha chiesto a mia madre di stare alle sue regole e lei si è rifiutata, così ha detto che ci saremmo rivisti in tribunale." rimasi sbalordito. Non pensavo che mio padre fosse tornato lì. Ma che diamine significava che ci saremmo rivisti in tribunale?
"Io... non lo sapevo. Parlerò con lui, te lo prometto." ero davvero arrabbiato con mio padre. Era sparito senza farmi sapere niente e stava gestendo la situazione nel peggiore dei modi.
"Jeremiah." anche lei mi chiamò per nome e fui sorpreso perché non ero stato io a dirglielo. "La mia famiglia non si merita di finire nei casini."
Pensai al disastro che avevo combinato e a cosa avrebbe fatto mia mamma se fosse stata qui. Probabilmente avrebbe fatto amicizia con sua mamma e saremmo andati tutti a cena insieme per eliminare ogni rancore.

Non è sempre estate | Jeremiah FisherDove le storie prendono vita. Scoprilo ora