Capitolo 30⚡

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"It's hard to see
the enemy
when you're looking at
yourself."

È finita.

Faccio qualche passo indietro per ammirarla nel suo insieme, nella sua complessiva magnificenza.

La macchina del tempo è pronta. Finalmente. Dopo due mesi di fatica fisica e tre di stanchezza mentale, il progetto infinito è completo. Riesco già a intravedere la luce infondo al tunnel.

Papà, Nat. Vengo a prendervi.

La suoneria del cellulare, che vibra sul bordo del tavolo da lavoro, mi fa sussultare. Distolgo lo sguardo dall'imponente ammasso di metallo e premo la cornetta verde.

"Ciao Karen."

"Mahogany, buongiorno. Posso disturbarti?" chiede con il tipico affanno di chi non è ancora stato fermo un secondo.

"Certo, dimmi pure."

La conversazione si interrompe, non sento più alcun rumore. Eppure, se allontano l'apparecchio dall'orecchio, la chiamata è ancora in corso.

Mi sfugge l'occhio sulla piramide del segnale. È vuota. Non c'è più campo, ecco perché sento pezzi di parole a scatti. Questo è un grave problema, perché per far funzionare la macchina del tempo, mi serve il segnale.

Cammino verso la porta, ma solo quando poso la scarpa sull'erba la voce di Karen arriva di nuovo forte e chiara. "Mi senti?"

"Adesso sì," confermo con un cenno del capo.

"Si tratta del nuovo arrivato, Trevor Lee."

Non appena pronuncia il suo nome, mi si ferma il cuore. Stavolta il cervello se ne sta in silenzio, perché la decisione è stata presa all'unanimità, quindi una parte di colpa è anche sua. "Cos'è successo?" mi correggo subito. "Cos'ha combinato?"

"Niente di grave, tranquilla." Adesso, in qualche modo, sono ancora più preoccupata. "Vorrebbe parlarti di una modifica che intende fare al macchinario che sta seguendo," prosegue. "È qui, posso passartelo?"

Sospiro a fior di labbra. "S-sì, va bene," acconsento, stropicciando gli occhi, infastiditi dalla luce accecante del sole. Sono più di settantadue ore filate che non dormo e il mio corpo ne risente.

"Mahogany, che piacere sentirti! È un po' che non-"

"Vieni al dunque Trevor," brontolo, "non ho tutto il giorno libero."

Una pausa. Devo avergli spento il sorriso. Bene. In compenso, questo singolo pensiero è riuscito a far sorridere me.

"Come ben sai, sto lavorando alla nuova piattaforma di atterraggio del Quinjet per il compound degli Avengers."

Certo che lo so, sono il capo, l'ho assegnato io a quel progetto. Scuoto la testa, esasperata, e ascolto con attenzione altalenante la sua spiegazione riguardo a un meccanismo che si apre e si chiude a seconda che il motore dell'eliveivolo sia acceso o spento.

Cammino avanti e indietro a qualche metro di distanza dalla porta gialla, pensando a quanto questa modifica sia stupida e altrettanto inutile: già tempo fa avevo inserito un pulsante sul pannello di controllo del Quinjet che permetteva al pilota di aprire e chiudere lo sportello della torre. Basta collegare quel comando anche alla nuova piattaforma del compound.

Apro bocca per farglielo presente, ma una potente vibrazione del terreno mi fa quasi perdere l'equilibrio. La brevissima scossa sismica è accompagnata da un rumore meccanico che proviene dal container alle mie spalle. Spalanco gli occhi.

"Cos'è stato?" La domanda di Trevor, ancora in linea, raggiunge le mie orecchie pur avendo abbandonato le braccia lungo i fianchi.

Senza degnarmi di rispondere, corro nella mia fortezza segreta. Un secondo scossone, molto più potente del precedente, mi costringe ad aggrapparmi allo stipite della porta - che avevo lasciato accostata - in tempo per vedere una piccola figura sparire dalla piattaforma della macchina del tempo.

Tomorrow Never Dies Vol.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora