Capitolo 4⚡

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"You can't wake up,
This is not a dream."

Come faceva quel detto? Non giudicare il libro dalla copertina? Ecco appunto.
Non fraintendetemi, Trevor è un ragazzo delizioso sotto molti punti di vista e io pecco certamente di egocentrismo - non lo nego, l'ho ereditato da mio padre - ma sono più di venti minuti che parla di quanto era affezionato al suo gatto morto di recente. In tutta sincerità, non ricordo neanche più come siamo arrivati a toccare questo argomento!

Mentre Trevor elenca tutti gli acciacchi che avevano colpito quella povera bestiolina durante i suoi ultimi mesi di vita, il mio sguardo casca incurante sull'orologio che porto al polso. Non aspetto altro che le lancette scocchino le 11:30, orario in cui Happy avrà portato a termine la commissione affidatagli da mia madre, così finalmente mi verrà a prendere. Avevo già valutato anche la possibilità di squagliarmela a piedi, ma il timore che si sarebbe proposto di accompagnarmi a casa ha prevalso sull'esasperazione provata.

"Mi sono accorto io che era diventato cieco." Avvicina alla bocca l'ultima forchettata di cheesecake al lampone, ma la bocca piena non gli impedisce di proseguire il racconto. "Una sera mio fratello aveva fatto cadere una pila di libri a pochi passi da Tigre e lui, poveretto, si è rizzato in piedi e nel tentativo di scappare, si è schiantato contro il muro... per fortuna non si è fatto troppo male."

Appoggio la guancia sul palmo della mano e al contempo arriccio le labbra. "Meno male," piagnucolo impietosita.

Il cameriere sguscia da dietro le mie spalle e si piazza al nostro fianco per ritirare i piatti e le tazzine vuote. Intanto le mie orecchie si riposano e il mio cervello si mette in moto per cambiare discorso.

"Prima hai detto che suoni la chitarra, dico bene?" Domando non appena il cameriere ci lascia di nuovo soli.

"Proprio così," annuisce con il sorriso, "suono anche in una band, ci esibiamo qua e là ogni tanto."

"Wow, deve essere fortissimo!" Esclamo su di giri.

"È un vero spasso!" Concorda entusiasta. "Tu invece mi sembri una ragazza da pianoforte, dimmi se mi sbaglio."

Sollevo le sopracciglia, stupita. "Ho fatto diversi anni di pianoforte quando ero piccola," confermo anche con la testa. "Ma come l'hai capito?"

"Una ragazza raffinata ed elegante come te non avrebbe potuto suonare altro," mi lusinga non solo a parole, ma anche con lo sguardo melenso che le accompagna.

"Confesso che mi piacerebbe ricominciare a suonare," appoggio il mento sul dorso della mano. "Non so neanche perché abbia smesso in realtà, mi dava un senso di pace."

"So perfettamente di cosa parli," si lascia cadere contro lo schienale della sedia, a braccia conserte. "Suonare è una valvola di sfogo, è come se incanalassi tutte le emozioni nelle dita che pizzicano la chitarra, è... liberatorio."

Lo osservo, stregata dalle sue parole che per quanto banali, sembrano così poetiche pronunciate da un artista come lui.

"Nell'ultimo periodo ad esempio ho suonato tantissimo, molto più di prima," confessa, "soprattutto canzoni tristi, sai, per via del mio piccolo Tigre... dovrei dedicargli la sua canzone preferita quando lo seppelliremo in giardino... sai, lui era un vero amante del rock."

L'incantesimo si spezza e Trevor, tornando a parlare del suo gatto, perde tutta la mia attenzione. Fingo di ascoltarlo per un altro paio di minuti, annuendo a intermittenza senza più neanche guardarlo in faccia. Al contrario, i miei occhi vagano per il salone e il mio udito viene distratto dal brusio delle persone che ci stanno attorno: quelle sedute ai tavoli in vetrina fissano qualcosa sulla strada, qualcosa che le spinge a lasciare una mancia generosa sul tavolo e a scappare dal locale a gambe levate.

Tomorrow Never Dies Vol.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora