Capitolo 31⚡

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"You don't need water
to feel like you're drowning,
do you?"

Sto annegando nel panico e i tentacoli del senso di colpa mi trascinano per le gambe, sempre più a fondo.

Sono passati solo due minuti da quando mia sorella è stata inghiottita dalla macchina del tempo - minuti che nel reame quantico si trasformano in ore, se non addirittura giorni - e io non sono ancora riuscita a localizzarla.

Vista la gravità della situazione e il mio stato d'animo angosciato, Steve ha accantonato la sua faccia da ramanzina, quella con le sopracciglia aggrottate e lo sguardo duro, distaccato, e insieme a Sam e Bucky, sta aspettando mie notizie qui fuori. Sono stata io a chiedergli di lasciarmi da sola, per concentrarmi: non sarebbe stato tanto il loro fiato sul collo, di solito lavoro bene anche sotto pressione, quanto il peso aggiuntivo dei loro volti preoccupati sulla mia coscienza. Ho fatto un casino e l'ho capito, ma è sufficiente il mio tormento. Non ho bisogno di altri musi lunghi attorno.

Il cellulare squilla per l'ennesima volta. Sullo schermo però non compare più il nome di Karen, ma un numero sconosciuto. Agguanto il telefono e accetto subito la chiamata. Negli ultimi venti secondi ho provato a contattare Shuri senza successo, quindi potrebbe trattarsi di lei.

La mia speranza viene infranta quando dall'altra parte della cornetta risponde una voce maschile. "Immaginavo che avevi cancellato il mio numero," dice.

Sbuffo. "Avrei anche dovuto bloccarti," ribatto con una nota di cattiveria più alta del normale. "E adesso riattacco."

"No, aspetta!" mi prega Trevor. "Stai bene? Prima ho sentito un rumore strano, poi è caduta la linea..."

Vorrei sottolineare che anche in quell'occasione gli ho chiuso la chiamata in faccia, ma sono più preoccupata dalla sua curiosità.

"Tutto a posto!" strillo con troppa enfasi per la voce rauca post-crollo nervoso che mi ritrovo. Perciò la schiarisco prima di continuare. "Ho urtato il tavolo e la cassetta degli attrezzi è caduta in terra."

"Non sembrava-"

"Mi stanno chiamando, devo andare." E chiudo la chiamata senza lasciargli il tempo di formulare la frase né di salutare.

Sposto due ciocche di capelli dalla mia visuale. Appoggio le mani al bordo del pannello e chiudo gli occhi. Mancava solo un pessimo primo appuntamento, ora dipendente dell'azienda di famiglia, che si impiccia di cose che non lo riguardano neanche lontanamente.

Gonfio il petto, incanalando più aria possibile nei polmoni. Morgan, Morgan, come ti trovo adesso? Più di inserire il geolocalizzatore del casco dell'armatura Rescue della mamma che indossi, cosa posso fare?

Rilascio tutta l'anidride carbonica in eccesso e mi piego in avanti, fino ad appoggiare la fronte contro il pannello liscio. Ho rovinato tutto, dal momento in cui mi sono messa in testa di poter riportare a casa papà e Nat. Mi sono rifugiata in questo assurdo desiderio e ho allontanato di conseguenza tutti quelli che mi volevano bene: Steve e Morgan prima di tutti, ma anche Pietro, Wanda, Peter e Erika che non sento più da settimane ormai; Clint, Bruce e Rhodey, che mi hanno lasciato via via sempre meno messaggi, pensando che avessi bisogno di più tempo per processare tutto quello che mi stava accadendo attorno; Thor, che è tornato dal suo popolo senza casa e non so neanche come contattarlo; Shuri e T'Challa, che si sono rivelate due persone affettuose e genuine, mandandomi ogni tanto delle cartoline dal Wakanda alle quali non ho mai risposto.

Mi sono barricata nel mio dolore, diventando una stronza cinica e solitaria, quando l'unica cosa che desideravo era essere ascoltata, compresa e compatita. Per qualche assurdo motivo, con la partenza della mamma, ho creduto che le uniche persone in grado di farlo fossero anche le uniche morte.

Tomorrow Never Dies Vol.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora