Capitolo 1

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Buio.

Urla.

Freddo.

E' esattamente questo che si prova quando si muore?.

Questa domanda mi rimbomba nella testa in continuazione.

Sento l'odore dell'asfalto sotto di me.

Sono bagnata, forse sta piovendo?.

<Come si chiama?> una voce maschile sconosciuta sta chiedendo di me? la sento lontana, mi sforzo per cercare di ascoltarla meglio.

Un'altra voce femminile  risponde di tutta fretta  <Non lo so, l'ho trovata così e ho subito chiamato voi> , sembra che sia spaventata, percepisco la sua paura nel modo in cui ha pronunciato le ultime parole.

<Ha mai aperto gli occhi? ha dato segni di vita?>  chiede l'uomo che sento nel frattempo mi stia toccando un braccio, penso sia un medico.

<No non l'ho vista muoversi da quando l'ho trovata> continua a spiegare la donna con voce tremolante.

Sento delle mani che mi toccano con insistenza, sento una pressione esercitata con il pollice sul mio polso, mi sta sentendo i battiti? vorrei dirgli che sono viva ma non ho le forze di aprire gli occhi, poi l'uomo posa una mano sulla mia testa. 

<Mi sente? se riesce a sentirmi, prova a muovere un dito> l'uomo scandisce parola per parola cautamente con tono deciso, capisco che sta provando a comunicare con me.

Mi sforzo con tutto la forza che possiedo per muovere le dita ma non riesco, mi viene da piangere.  Una riga di lacrima mi bagna il viso, sto piangendo?

<Ok ci sente> dice l'uomo dopo avermi asciugato con il dito la lacrima che mi stava accarezzando il viso.

<Non si preoccupi signorina, la portiamo al pronto soccorso è in buone mani non pianga, andrà tutto bene> la voce di quell'uomo la inizio a sentire sempre più lontano e dopo poco cado in un sonno profondo.

                                                                            ***


L'odore di disinfettante mi sovrastò e mi fece arricciare il naso in una smorfia di disgusto.

Sbattei più volte le palpebre e dopo poco riuscii finalmente ad aprire gli occhi, la luce della finestra mi abbagliò la vista e feci difficoltà a mettere a fuoco definitivamente la stanza in cui mi trovai.

Ero in ospedale, ne ebbi la certezza quando davanti a me passò un infermiera, avrà avuto più o meno l'età di mia madre, mi sorrise amorevolmente e mi accarezzò il viso, corrugai la fronte per quel gesto non apprezzato, odio il contatto umano con qualsiasi persona, figuriamoci con una sconosciuta. Lei sembrò averlo percepito e sorrise spostando la mano sul mio braccio.

Abbassai lo sguardo sulla sua mano e vidi tanti tubicini attaccati al mio braccio.

<Buongiorno signorina Smith, è in ospedale ha avuto un brutto incidente in moto, le sto facendo una flebo di paracetamolo per non sentire dolore, ma per fortuna oltre che aver preso un brutta botta e qualche escoriazione non ha nulla di grave oggi stesso la dimettiamo> sorrise e mi soffermai a guardarla con più accuratezza, aveva il viso stanco, le occhiaie nere facevano da sfondo al colore del suoi occhi azzurro cielo e per un attimo provai compassione e gratitudine per il lavoro duro che svolgeva, poi scossi  subito la testa per scacciare via quel pensiero, deglutendo e provai a parlare.

<C-c-che fine ha fatto la mia moto?> le risposi in un sussurro.

L'infermiera distolse l'attenzione sulla flebo e mi guardò con aria sorpresa, poi scosse la testa sorridendo. 

Rebel - Non puoi cambiarmiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora