Passeggiavo per Dicker Street con il mio cane, Argo, in una piacevole mattinata di metà giugno, assolata e fresca. Ero appena stato dal mio editore. Avevamo trascorso almeno due ore a parlare del mio libro e dei possibili sviluppi di trama. Avevo scritto quasi 200 pagine di cui solo una piccola parte necessitava di una revisione. Adoravo quell'ambiente, era il posto giusto per trovare idee, chiedere consiglio o avere conversazioni stimolanti. La casa editrice un paio d'anni fa, rilevò gli stabilimenti di una tipografia andata in fallimento e vi impiantò una sede distaccata dei suoi uffici, abbandonando il costosissimo terzo piano di un palazzo all'avanguardia nel centro di Boston. Quell'edificio dalla facciata in mattoni rossi ricoperta di rampicanti era la mia oasi. Un luogo adatto dove trovare refrigerio dal torpore del deserto quotidiano che stava diventando la nostra vita. Se il mio lavoro andava così bene negli ultimi tempi, non era solo merito delle persone con cui lavoravo. Ma era anche per merito suo: la mia musa ispiratrice. Verso i primi di novembre dello scorso anno, nel palazzo antistante al mio era venuta ad abitare una giovane coppia. Li avevo visti arrivare dall'ampia finestra del mio soggiorno, seguiti dai furgoni del trasloco. Appena i miei occhi si posarono su di lei rimasi ammagliato. Esistono donne talmente belle da essere irraggiungibili. Altre bellissime, ma che si dimenticano un attimo dopo averle incontrate. Lei invece era su un altro livello: non di una bellezza stravolgente, ma quel tipo di ragazza che ogni uomo sta aspettando. Quel livello in cui il tuo unico desiderio diventa quello di averla accanto a te ogni mattina nel momento in cui apri gli occhi, per il resto della vita.
Ci incontrammo per la prima volta in un supermercato, lei mi salutò con un buongiorno, ma il suo sorriso dolce mi lasciò senza fiato e feci un po' la figura dell'idiota. La seconda volta fu in strada, andavo in centro per fare delle compere mentre lei passeggiava al limitare del parco cittadino assieme ad un bassotto di qualche mese. Ci presentammo e scambiammo due parole. Si chiamava Elizabeth, il suono della sua voce era melodia per le mie orecchie. Appena le dissi che ero uno scrittore rimase entusiasta, mi sommerse di un mucchio di domande.
"Wow, il mio vicino di casa è uno scrittore!" ripeteva spesso. Bastava poco per emozionarla e farla sorridere.
Da allora, cecavo di uscire quanto più possibile con Argo, nella speranza di incontrarla casualmente e intrattenermi con lei.
Quel giorno però il mio piano fece cilecca e, impietosito dallo sguardo del mio cane che stanco di essere usato come esca non ne aveva più di camminare, lasciai perdere.
"Va bene, torniamo a casa per oggi. E non guardarmi così, ti fa bene camminare, lo sai anche tu."
Abitavo in un vecchio palazzo degli anni Venti originariamente adibito a grande magazzino. Alcuni anni prima chi mi ci trasferissi fu acquistato da un miliardario eccentrico con la passione per l'arte che riqualificò l'intera area. Tutta la struttura adesso era piena di micro-appartamenti, negli ultimi piani si alternavano di continuo mostre di pittura, fotografia o eventi enogastronomici radical chic. Godevamo anche di un cortile interno e di una colombaia sul tetto, mi piaceva passare del tempo lassù a leggere e prendere il sole.
In poco tempo il Palace – così lo chiamavano quelli del posto – divenne, complice il prezzo accessibile degli affitti, il rifugio per ogni genere di artista sottopagato e rigettato dalla società e diede nuova vita a quell'angolo di periferia.
Salii al quarto piano e sul pianerottolo mi incrociai con Tim, il mio dirimpettaio, di professione programmatore di giochi per smartphone. Lavorava tutto il giorno al computer e portava due grosse lenti, di quelle che riducono l'impatto della luce blu sugli occhi. Stava portando i panni in lavanderia.
"Sempre a bighellonare in giro voi scrittori, a quanto vedo. Ma non lavorate mai voi artisti?"
"Cerco di non stancarmi troppo, Tim." risposi con un sorriso.
"Ci riesci alla grande, bello mio."
Entrai nel mio piccolo appartamento, all'incirca di 60 metri quadri.
Lo acquistai e lo rimisi a nuovo grazie ai proventi del mio primo libro. Un piccolo successo su cui avevo costruito la mia carriera. Appena dentro, Argo si fiondò sulla sua poltrona a importunare un osso di gomma.
Oltre a una camera da letto e un bagno, vi era un grande openspace che faceva da cucina e living. Un'ampia finestra occupava la parete più lunga e lì, in un angolino nella destra, avevo sistemato la mia scrivania. Il mio banco da lavoro. Nei primi giorni in quel micro-appartamento, quella finestra era diventata il mio mondo, la mia fonte d'ispirazione, il mio orizzonte. L'unico limite: la mia immaginazione. Per fortuna, Dio me ne aveva data parecchia. E poi scaffali, scaffali ovunque. Pieni di libri, saggi, fumetti. Qualsiasi cosa leggibile prima o poi sarebbe passata da uno dei miei scaffali. Questo era certo.
Ovviamente, la rivoluzione tecnologica aveva colpito anche me ed anch'io potevo ritenermi un'amante degli ebook, dalla loro avevano la praticità, però... come dire? La carta aveva tutto un altro sapore. Sarà il fatto di sfogliare le pagine, di annusare l'odore dei libri appena comprati, o più semplicemente il fatto di vederli lì sullo scaffale, uno accanto all'altro. In verticale, in orizzontale, fino a riempire tutto lo spazio disponibile. Poi fermarsi, guardare i ripiani e pensare: "ho letto tutto questo. Tutto questo fa parte di me e mi ha fatto diventare ciò che sono adesso."
Posai il mio portatile sulla scrivania e lo collegai al monitor per essere più comodo. Avevo voglia di scrivere e di mettere subito in pratica i consigli ricevuti quella mattina. Alzai lo sguardo verso la casa di Elizabeth, non vidi la loro macchina parcheggiata. Probabilmente avevano passato la mattinata fuori casa.
Ma anche se non potevo vederla, la mia musa era sempre con me, o meglio era nelle mie pagine. Avevo dato all'eroina della mia nuova storia le sembianze di Elizabeth. Era lei a tenermi compagnia per almeno sei ore al giorno. Amava, lottava e soffriva. Certe volte perdeva qualcosa, altre volte imparava dai suoi errori, ma alla fine avrebbe vinto le avversità e sarebbe stata felice.
Sprofondato sulla mia comoda sedia e rapito dal battere dei tasti, non badai minimamente allo scorrere del tempo. Erano le tre e mezza del pomeriggio. Avevo trascorso cinque ore e mezza in un altro mondo, in un altro tempo, lontano da tutto e tutti, anche da me stesso. Non avevo pranzato e non avevo per niente fame. Poi mi ricordai di Argo, se ne stava buono sdraiato ai piedi della sua poltrona senza fare il minimo rumore. Sapeva di non dovermi disturbare. Per farmi perdonare del ritardo aggiunsi alle sue crocchette l'osso che di solito conservo per la domenica, ricevette anche una razione extra di coccole.
"Dovremo camminare parecchio per smaltire tutto, sai?"
Era troppo occupato per rispondermi e lo lasciai in pace.
Mi stiracchiai un po' per sgranchire la schiena e come sempre lo sguardo puntava nella stessa direzione.
Elizabeth e il suo compagno erano appena tornati, se ne stavano dentro il suv nero nel loro parcheggio riservato. Lui sembrava infuriato e agitava le mani in aria mentre parlava, lei invece, con la testa china non disse neanche una parola.
Quando rientrarono in casa, Elizabeth non sembrava il ritratto della felicità e seguì il suo compagno a debita distanza. Chissà dov'erano stati e cos'era successo quella mattina?
Uscii in terrazza a prendere un po' d'aria e a fumare una sigaretta. Ripensai alle chiacchierate che avevo avuto al parco con Elizabeth nei mesi scorsi. Mi raccontò che il suo compagno, Philip, era un broker di New York, che si era messo in proprio e gestiva diversi fondi d'investimento. Lavorava da casa e un paio di volte la settimana faceva un salto a New York. Mi disse che avevano scelto quella piccola città per abbandonare i ritmi frenetici della metropoli e ripartire un po' da zero.
Lui aveva 29 anni quando si misero insieme, lei 24. Stavano assieme da un anno ma non aveva accennato a problemi, d'altronde perché avrebbe dovuto? Con un vicino di casa conosciuto da poco poi, ma che l'amava segretamente e che aveva costruito e disfatto decine di vite con lei, nella sua mente da scrittore.
A 26 anni, dopo una laurea in legge mai usata, tre libri pubblicati con un discreto successo, avevo un sogno da realizzare e attendevo ancora che il Dio degli eventi si decidesse a fare qualcosa in merito.
Il cielo si oscurò all'improvviso e nell'aria c'era odore di pioggia misto a quel non so che di bruciato che si sente prima di un temporale estivo.
Poco dopo iniziò a diluviare.
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Una Seconda Occasione
General Fiction[COMPLETA] Nick Hoult, giovane e promettente scrittore scappato dalle metropoli per la tranquillità di Alphaville, cerca di riconquistare la propria credibilità letteraria: infatti, dopo un esordio brillante si limita a scrivere fantasy per ragazzi...