Capitolo 21

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È strana la sensazione che si prova quando si arriva alla fine di un bel libro. Sentire le pagine che scorrono tutte verso quella direzione, come la corrente di un fiume che sta per gettarsi in mare. È quasi contrastante: da un lato ti senti soddisfatto e pieno perché quel libro ora fa parte di te; dall'altro, ti senti triste e vuoto per aver perso l'amico con cui hai condiviso momenti indimenticabili. Che ti hanno segnato e fatto crescere, per farti diventare ciò che sei ora. Lui ha trovato il suo posto sullo scaffale, insieme agli altri. Tu, invece, il tuo posto lo devi ancora trovare, forse nel prossimo libro.

Stavo pensando a queste parole che avevo scritto tempo fa nei miei appunti, mentre mi trovavo nell'ufficio del primario di oncologia dell'ospedale di Alphaville, il quale mi stava spiegando con parole semplici che Elizabeth era affetta da una rara forma di tumore al cervello in una zona che rendeva impossibile un'operazione.

"Ma perché non avete fatto la chemioterapia?"

"Lo abbiamo scoperto con un notevole ritardo e la massa ormai è troppo grande. La chemio, nel migliore dei casi, le darebbe un poco di vita in più, ma Elizabeth l'ha rifiutata. Devo dire che ha accettato con grande compostezza la sua malattia, per quanto ne so ne ha parlato solo con la sua famiglia. Lei, esattamente, in che rapporti è con Elizabeth?"

"Io... ci frequentiamo. Sono il suo ragazzo."

"Non le dia la colpa per non averglielo detto, forse voleva solo risparmiargli il dolore."

"Quanto tempo le resta di preciso?" chiesi col cuore spezzato.

"Seguendo il suo decorso, non più di quattro o cinque mesi."

"È possibile vederla, adesso?"

"Vado a controllare, lei aspetti qui."

Aspettai seduto su quella sedia per circa venti minuti. Ebbi modo di riflettere su tutto quello che mi era capitato nel corso dell'ultimo anno. Dall'arrivo di Elizabeth nella casa accanto, al nostro primo incontro, alle ore passate a guardare vecchi film. Il nostro primo bacio in spiaggia, il sogno di una vita assieme che avevamo accarezzato soltanto per un paio di mesi. Di punto in bianco la mia vita era stravolta, mentre lei lo sapeva già da tempo e non mi aveva detto nulla.

Potevo solo immaginare cosa significasse ricevere una notizia del genere, ma per quale motivo restare in silenzio? Avremmo potuto affrontarlo insieme. Così come l'avevo aiutata a liberarsi di Philip, l'avrei aiutata anche in questo caso.

Neanche qualche settima prima mi aveva promesso che saremmo rimasti insieme per sempre, eppure sapeva bene che non le restava molto da vivere. Quindi, perché prendermi in giro in quel modo? Che senso avrebbe avuto nascondermi la verità per poi collassare al suolo davanti ai miei occhi?

Infine, i medici mi diedero il permesso di vederla. Le avevano assegnato una stanza singola in fondo al corridoio, ma dato che rifiutava le cure, non sarebbe rimasta lì a lungo.

Elizabeth era seduta sul bordo del letto, con i piedi che non toccavano terra. Indossava un camice azzurro e guardava fuori dalla finestra con fare malinconico.

Quando si accorse della mia presenza mi sorrise come faceva sempre, ma con lo sguardo di chi sa di aver fatto qualcosa di sbagliato e di essere stato scoperto.

"Ciao, Nick. Ti siedi qui con me?"

Mi sedetti accanto a lei a contemplare le chiome degli alberi.

"Immagino di doverti delle spiegazioni."

"Credo di sì."

Osservavo attonito quella stanza nei suoi dettagli più minuscoli: il tubicino che dalla flebo scendeva fino al braccio di Elizabeth, i suoi vestiti piegati con cura dentro l'armadio, la sacca vuota destinata alla raccolta dell'urina che pendeva a lato del letto. Lei sembrava fuori luogo in tutto questo, il suo viso così caldo e roseo, i capelli non avevano ancora perso lucentezza. Ai miei occhi, si trattava di un componimento male assortito, un quadro realizzato da uno studente di arte del primo anno col solo obiettivo di infondere un'artificiale tristezza.

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