Capitolo 11

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Siamo abituati a misurare tutto con il tempo. I minuti di una partita di calcio, i mesi passati a studiare per un esame, gli anni di una relazione. Si potrebbe dire che esiste un tempo per ogni cosa. E non è mai bene forzare la mano. Tutto arriverà a destinazione, con i suoi tempi sì, ma arriverà. Questo era uno dei pensieri che governavano il mio modo di agire e lo applicavo un po' ovunque. Non ero mai stato un tipo attivo nella vita. Preferivo aspettare, riflettere e valutare le situazioni. Il più delle volte filava tutto liscio senza un mio intervento e lasciavo che tutto mi scorresse addosso. Afferravo solo ciò che mi serviva. Di rado dovevo intervenire qua e là per raddrizzare la cosa. Ma questo non voleva dire che non fossi in grado di prendere decisioni per conto mio o che non avessi la forza di cambiare la rotta. L'avevo fatto anni prima, quando decisi di accantonare il superfluo per dedicarmi a tempo pieno alla scrittura. Forse ora il destino mi stava ponendo di nuovo davanti a un bivio: seguire la corrente principale o cercare nuove strade.

Avevo sprecato molto tempo a riflettere sulla questione di Elizabeth e gli ultimi avvenimenti non mi rendevano di certo più tranquillo. Che fosse arrivato il momento di agire lo avevo capito da molto ormai; tuttavia, stentavo a fare il passo decisivo. Forse perché questa volta non riguardava soltanto me, ma anche la vita di un'altra persona. Anche una buona dose di paura giocava la sua parte. Non mi ero mai fatto problemi con altre donne in passato, ma questa volta aveva un peso diverso. Sarei stato in grado di sostenerlo?

Mi persi in questi pensieri mentre aspettavo insieme a Nola che Evelyn finisse di rispondere alle domande di una giovane signorina per un sondaggio sulla qualità della vita a New York.

"Se non abita qui perché ci tiene tanto a rispondere?" chiesi a Nola.

"Lo fa solo per farmi arrabbiare. Quando siamo insieme si mette sempre a civettare con tutte le ragazze che incontra."

"Pensavo che andaste d'accordo voi due."

"Sì, infatti."

Non disse altro e io preferii non intromettermi. Avevo la sensazione di non andarle troppo a genio. Intanto Evelyn ci raggiunse, orgogliosa di aver adempiuto al suo dovere di buona cittadina.

"Sapevate che negli ultimi cinque anni il livello di co2 emesso nelle metropoli americane è pari a quello emesso da un piccolo stato come il Perù nello stesso arco di tempo?" disse accendendosi una sigaretta.

"Non saprei." dissi.

"Nemmeno io, però la ragazza era parecchio convincente."

"Sì, certo." borbottò Nola.

Quella mattina avevamo fatto insieme colazione fuori. Ci eravamo svegliati tutti un po' tardi e nessuno aveva voglia di preparare qualcosa. Davanti a cappuccino e brioche fumanti, Evelyn mi chiese dell'incontro di ieri in libreria. Nel bar piccolo e affollato risuonava un pezzo dei Nirvana. Io le raccontai tutto per filo e per segno e ogni tanto rispondevo alle sue domande. Pur non volendo, finii per raccontarle più o meno tutto su Elizabeth e anche del fatto che avevo visto suo marito con un'altra donna. È incredibile quante chiacchiere cadano dentro un cappuccino. Quelle due ragazze che mi sedevano davanti erano perfette sconosciute, eppure mancò poco che raccontassi loro anche la storia della mia infanzia. Evelyn, la ricercatrice dai capelli blu, seguiva il racconto con attenzione, senza staccare gli occhi da me. Nola, la pittrice di origini asiatiche, beveva in silenzio e a piccoli sorsi, rimuginando su ciò che ascoltava. A guardarle bene, non poteva esserci coppia peggio assortita. Erano a New York solo per una breve vacanza e sarebbero ripartite per la California nel fine settimana.

Continuando a camminare per le strade, riprendemmo il discorso.

"Quindi questo Philip ha un'amante e lascia tutta sola la povera Elizabeth ad Alphaville mentre se la spassa qui in città, giusto?" chiese Evelyn.

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