Capitolo 20

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Italia, estate 2021

La mattina dopo, quando mi svegliai, ero triste e amareggiato, ma al tempo stesso mi sentivo libero e grato per essere arrivato alla fine di tutto questo come desideravo.

Mi alzai prima di Cristina e le preparai una colazione leggera, finii di vestirmi e le lasciai un biglietto per salutarla vicino alla macchinetta del caffè. Prima di uscire, andai in camera. Lei dormiva ancora, stretta tra le lenzuola. I capelli mossi e arruffati.

Le diedi un bacio sulla guancia per l'ultima volta, facendomi scappare una lacrima che andò a bagnare il cuscino.

Al pensiero di non rivederla mai più mi si stringeva il cuore, ma avevo voluto io tutto questo ed ero pronto a pagarne le conseguenze.

Presi la macchina e mi diressi al punto prestabilito. Durante il tragitto non feci altro che rigirare il bigliettino bianco tra le mani. L'avevo trovato la settimana scorsa nella cassetta delle lettere, tra la mia posta. Un piccolo rettangolo di cartoncino bianco come l'avorio senza nessuna scritta. Anonimo agli occhi di tutti, tranne ai miei. Sapevo perfettamente di cosa si trattasse. Avevo ricevuto lo stesso biglietto tanti anni addietro, in un'altra vita ed ora quella stessa persona stava per ritornare a farmi visita.

Appena toccai il biglietto con mano, apparve una scritta in inchiostro blu che indicava un'ora e un indirizzo. Cercando su internet scoprii che si trattava di un bar che dava sulla spiaggia a circa trenta chilometri da casa mia. Mi presentai con qualche minuto d'anticipo e, siccome i tavolini del bar erano occupati, mi sedetti su una panchina all'ombra di un albero fissando il mare.

Il litorale e la spiaggia erano stracolmi di gente che si godevano le vacanze: prendevano il sole oppure leggevano un libro sotto l'ombrellone. Dei bambini temerari decisero di sfidare il caldo di prima mattina giocando a tedesca, usando i loro zaini per delimitare la porta. Ero lì a guardare il povero malcapitato a cui toccava fare il portiere e non mi resi conto che qualcuno si era seduto accanto a me.

"Sono in ritardo?" chiese.

Nonostante tutto il tempo trascorso, era identico a come ricordavo. Non sapevo quanti anni avesse o se quello fosse il suo reale aspetto. Forse per non confondermi ulteriormente si era presentato con la stessa forma di tanti anni fa. Smilzo, occhi gelidi, l'espressione di chi non importa niente del prossimo.

"No. Sono io a essere in anticipo." risposi.

"Ma guardati, adesso hai perfino il coraggio di guardarmi negli occhi."

"Non ho paura di te."

"Almeno tornare indietro ti è servito a qualcosa."

"Perché sei qui? Cosa vuoi da me?"

"Nulla. Non posso fare visita a un vecchio amico?"

"Io e te siamo tutto fuorché amici."

"A quanto pare, stamattina ci siamo svegliati col piede sbagliato," scherzò. "Ricevuto cattive notizie ieri sera?"

Lo guardai con quanto più disprezzo possibile, nella speranza che gli esplodesse il cervello, sempre se ne aveva uno.

"Inutile guardarmi così ragazzo. Non è stata colpa mia. E per quanto possa valere, mi dispiace per te?"

"Non mi hai ancora detto cosa vuoi."

"Ah già, sono stato mandato qui dai piani alti."

Lo fissai sorpreso con un leggero sorriso.

"Non quei piani alti che pensi tu. Lui non esiste nemmeno, è solo una vostra invenzione."

"Sei sicuro?"

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