Capitolo 7

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Trascorsi la serata di domenica a preparare la valigia per la settimana, con tutto quello che mi passava per la testa non ero in vena di scrivere per cui mi sedetti sul divano e, con Argo acciambellato ai miei piedi, iniziai a fare zapping tra i canali in TV. Naturalmente c'erano le solite porcherie, ma poco importava, volevo solo far scorrere le lancette dell'orologio, magari fino a lunedì prossimo. Dopo qualche minuto, trovai qualcosa di decente, sul sesto canale era appena iniziato Midnight in Paris, uno dei miei film preferiti. Non una pietra miliare del cinema, ma certamente uno di quei film che puoi rivedere tutte le volte che vuoi senza stancarti mai. Forse il più azzeccato dal vecchio Woody. Il suo punto di forza era la storia, detto così può sembrare una banalità, ma in fondo è questo quello che cerchiamo quando andiamo al cinema o leggiamo un libro: una storia semplice ma intrigante, raccontata in modo divertente e capace di farci riflettere sul significato di ciò che abbiamo appena visto. Qualcosa in cui puoi immedesimarti, che vorresti vivere in prima persona sulla tua pelle. Questo è lo spirito con cui cercavo di scrivere i miei libri perché è proprio questo ciò che vorrei provare io.

D'altronde come potevo non amare questo film, praticamente parlava di me. Diamine, quale emozione sarebbe stata incontrare Hemingway e F. S. Fitzgerald nella Parigi degli anni Venti. Scorrazzare a notte fonda su delle auto d'epoca passando da una festa all'altra, alla ricerca di un significato da dare a ciò che viviamo, alla ricerca di un tempo che forse quella generazione perduta non ha mai avuto.

L'atmosfera, la musica e la pioggia parigina, tanto cara a Owen Wilson, entrarono nel mio salotto e d'un tratto mi ritrovai a pensare di non essere mai stato a Parigi. Non ho mai avuto nessuno da portare nella città più romantica del mondo e ora per la prima volta mi passava per la testa l'idea di sorvolare l'oceano con Elizabeth a fianco. Sapevo bene però che sarebbe rimasta solo un'idea, che non avrei potuto mollare tutto e scappare con lei in Europa. A dire il vero per me non sarebbe un problema, potrei scrivere in qualunque parte del mondo e inviare i miei testi all'editore, ma Elizabeth? Ancora non riuscivo a capire cosa volesse esattamente da me e non avevo il coraggio di chiederglielo di petto. Potevo benissimo aver frainteso tutto, in tal caso nell'espormi avrei rischiato di rovinare il rapporto che avevo con lei, oltre a fare una pessima figura. Ve lo immaginate? Io che busso alla sua porta quando è in casa da sola, oppure fermarla in strada mentre porta a spasso il suo cane e dirle: "Hey sono segretamente innamorato di te da quasi sette mesi, cosa ne pensi?"

No, se non volevo creare i presupposti di una denuncia per stalking era meglio aspettare, tenere d'occhio l'evolversi della situazione e pensare a un piano. D'altronde era così che andavano le cose, io non vivevo la vita: non facevo altro che rimandarla. Aspettare che il tempo passi, ripetere ogni giorno le stesse azioni sperando in un risultato diverso che puntualmente non arrivava. Questa non è vita. Chissà cosa penserebbe Walt Whitman di me?

Dio! Perché era così difficile per me avere rapporti con altre persone?

Preso dalla smania iniziai a camminare avanti e indietro per l'appartamento e davanti alla finestra mi fermai ad osservare il palazzo di Elizabeth, la luce in casa sua era accesa ma con le tende tirate non si vedeva un granché. Rimasi lì per circa mezz'ora semi nascosto nell'ombra per cercare di vederla anche solo di sfuggita, ma niente, così volsi il mio sguardo in alto: il cielo era terso e si potevano contare le stelle.

Diedi a una di loro il suo nome poi me ne andai a dormire.

Qualche ora più tardi sotto lo stesso cielo, dall'altra parte del paese a Los Angeles, California, erano le 21:30. La polizia locale, che da mesi era sulle tracce di una banda di spacciatori, aveva appena effettuato una retata in uno dei loro covi in periferia. Durante l'operazione furono esplosi dei colpi sia da una parte che dall'altra.

Un poliziotto ferito al braccio, otto arresti e due morti tra i criminali. Questo sarebbe il bilancio della serata se non fosse stato per due giovani teppisti, che scapparono a gambe levate al momento dell'irruzione e per l'agente Colby, in aria di promozione e desideroso di fare carriera.

L'agente Colby inseguì da solo i due ragazzi per la strada, infilandosi tra i vicoli e scavalcando recinzioni, proprio come nei film d'azione.

Sfortuna volle che in uno di quei vicoli si trovasse Jerome King, un ventiduenne afroamericano, studente di economia che per racimolare qualche dollaro in più per la retta del college lavorava come rider fino a sera. Quando i due ragazzi si trovarono davanti Jerome che camminava portando la bici al suo fianco, il primo continuò a correre, l'altro invece tentò di rubargli la bici. Nacque una colluttazione, il teppista tirò fuori un coltello che cadde subito a terra. Nel frattempo, l'agente Colby li raggiunse e Jerome riuscì ad avere la meglio spuntandola col coltello fra le mani.

"In ginocchio, faccia a terra!" gridò Colby.

Jerome preso dal panico nel vedersi una pistola puntata contro, alzò subito le mani in alto. Il teppista colse l'attimo per spingere in avanti Jerome e scappare nella direzione opposta. Ora era difficile dire cosa successe in quel frangente e cosa passasse nella mente di Colby quando quel ragazzo di ventidue anni venne spinto contro di lui con un coltello in mano.

La pistola fece fuoco una volta.

Solo dopo lo sparo l'agente Colby notò la bici col portavivande da rider e si accorse anche che il ragazzo steso a terra non era uno di quelli che stava inseguendo.

Chiamò prontamente i soccorsi via radio e realizzò di commesso un tragico errore. Nel giro di dodici ore l'intera America ne sarebbe stata a conoscenza grazie a un video che uno dei residenti, attirato dal baccano, stava girando col suo smartphone e che sarebbe stato postato sui social, diventando virale.

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