Capitolo 13

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In piena notte, il caldo newyorkese dava tregua lasciando spazio a un'aria fresca e piacevole. Quello che invece non avevo mai trovato piacevole di questa città erano le luci. Luci ovunque: palazzi, strade, maxischermi, insegne. Tutto era illuminato a giorno e l'inquinamento luminoso impediva perfino di vedere le stelle. Non sapevo se a Manhattan ci fosse un punto da cui le si potessero ammirare. Non che fossi un esperto di costellazioni, anzi non ero in grado di riconoscerne neanche una. Tuttavia, in giornate come queste mi capitava spesso di passare delle ore seduto su uno sdraio, sul tetto del mio palazzo, col naso all'insù. Era una pratica molto rilassante.

Iniziai a camminare senza una metà precisa. Mi venne voglia di fumare, ma avevo lasciato le sigarette in camera. Non ne comprai di nuove. In fondo sapevo che era solo robaccia. Se volevo smettere, dovevo pur iniziare in qualche modo.

Ripensai a Nola, che aveva passato quasi tutta la sua vita a dipingere le disgrazie altrui su tela. Così aiutava le persone a stare meglio e così si guadagnava da vivere. In una di quelle occasioni aveva stretto amicizia con Evelyn, l'eccentrica ricercatrice dai capelli blu, e da allora non si erano più separate. Mi chiedevo cosa avesse dipinto in quell'occasione. Cosa angosciava Evelyn a tal punto da rivolgersi a questi metodi poco ortodossi?

Allora mi venne in mente il quadro che Nola stava dipingendo in questi giorni. Quando c'eravamo incontrati mi disse che il personaggio raffigurato nel dipinto ero io. Poi venni a conoscenza del suo potere e del fatto che stava facendo lo stesso con me. Ma come poteva aver iniziato a raffigurarmi se nemmeno mi aveva conosciuto?

Sì, il quadro era lungi dall'essere completo, tuttavia si intravedeva già buona parte dell'opera. Eppure, era stata così netta nel pronunciarsi. "Questo è lei." Quasi fosse un giudice che attendeva solo di emanare una sentenza scontata. Ma l'unica parte a non essere informata di questo processo ero io.

Più mi dirigevo verso il centro, più le strade si facevano affollate. Gruppi di adolescenti dagli abbigliamenti più improbabili che si credevano i padroni della notte popolavano le arterie di quella grande metropoli. Ai loro occhi forse ero io lo strambo, ma chiunque tra loro, dotato di un briciolo di buon senso, si fosse visto allo specchio, avrebbe di sicuro capito di star sprecando il proprio tempo. Almeno così la pensavo io. Forse anche per questo motivo mi ritrovavo senza neanche un vero amico. Avevo trascorso la mia adolescenza pressoché da solo, ripugnando ogni contatto che andasse al di là dello stretto necessario.

Solo troppo tardi mi resi conto di aver commesso un errore. L'uomo è un animale sociale, diceva un filosofo di cui non ricordavo il nome, e nessuno è fatto per restare solo.

Camminando soprappensiero mi ritrovai davanti a quel bar in cui mi ero rifugiato dopo aver lasciato la libreria. Quello dai bagni discreti e curati, e con quel fantastico jukebox d'altri tempi. Entrai con la speranza di sentirlo suonare. Al bancone c'erano facce diverse e, seduta ai tavoli, più gente di quanto mi aspettassi. Non c'era però confusione. La sala era percorsa da un gradevole chiacchierio di sottofondo. Sembrava quasi che i clienti avessero stretto un tacito accordo per cui non si potesse superare un certo numero di decibel. Mi sedetti allo stesso posto e ordinai da bere. Siccome non dovevo guidare chiesi un whisky con ghiaccio. Mi girai sullo sgabello in cerca del jukebox e lo vidi al suo posto, con tutte le lucine accese. Piazzata lì davanti c'era una giovane ragazza, forse appena maggiorenne. Aveva un viso ruvido e spigoloso, ma un corpo davvero notevole. Pensai che non avesse mai visto un apparecchio simile dal vivo e non sapesse farlo funzionare. Poi infilò un quarto di dollaro e schiacciò un pulsante. Il braccio meccanico prese il vinile, lo posò sul piatto e, un attimo dopo che la puntina toccò il disco, nel locale si diffuse la voce di Frank Sinatra che cantava Fly me to the moon. La ragazza tornò a sedersi al suo tavolo soddisfatta. Se non altro, aveva buoni gusti musicali. Sorseggiai tranquillamente il mio drink canticchiando sottovoce, stando attento a non alzare troppo il volume della voce per non guastare l'armonia sonora che si era creata.

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