In mille pezzi

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TW: pensieri suicidi.
Ci tengo a spendere due parole a riguardo: se qualcuno di voi avesse bisogno di parlare, io ci sono e ci sarò sempre. Scrivetemi qui o su Instagram, vi risponderò appena posso e affronteremo insieme il problema.
Non siete sole! Ci sono io per voi❤️‍🩹!

Flashback, confraternita.

«Dio, sto morendo di sete» piagnucola Annabella passandosi un fazzolettino sul viso.
Stiamo ballando da un'ora ed è sudata fradicia, ci vorrebbe una doccia gelata e non qualcosa da bere.

«Anche io, ho bisogno di affogarmi in un gin tonic» risponde Daniel facendomi ridere.

«Andate, non posso non ballare questa canzone. Vi aspetto qui» dico quando le note di Gimme More della Spears risuonano nel salotto.

Ancheggio a ritmo, sentendomi di nuovo un po' ballerina e alzo le braccia al cielo. Merito di essere spensierata, merito di essere felice.

«Arriviamo subito, resta qui» si raccomandano e io annuisco. Dove cazzo dovrei andare senza di loro? Sono proprio buffi.

«Ehi, ti va di ballare?» domanda un ragazzo subito dopo aver notato l'assenza dei miei amici. È abbastanza carino, ma non sono qui per questo.

«No, grazie della proposta» scuoto la testa cercando di risultare cordiale.

«Perché no? Sei sola soletta» rimarca avvicinandosi di più.

«Un proverbio citava le testuali parole: "meglio soli che male accompagnati"» sbuffo infastidita.

«Beh, se non provi non puoi sapere come posso accompagnarti» ammicca e reprimo l'impulso di ficcargli due dita negli occhi.

Non mi struscio sopra a qualcuno,
non voglio essere toccata.

«Non c'è bisogno di insistere. Sono a posto così, davvero. Grazie dell'invito, ma preferisco ballare da sola» ripeto con voce ferma per fargli capire che non deve pressarmi e mi volto senza degnarmi di sentire la sua risposta.

Riprendo a ballare concentrandomi solo su me stessa, perché sono qui per darmi una possibilità, quando mi si blocca il respiro.

No, non ancora.

«Credevi che ti avrei fatto girare senza assaporare quel bel culetto?» mi sussurra all'orecchio e vorrei solo urlare.

Mi volto a rallentatore, come se avessi paura di affrontare la verità, ma quando incontro i suoi occhi e vedo la sua mano ancora protesa verso di me sento rompersi qualcosa.

«Tu» ringhio afferrandolo per il collo, «hai osato toccarmi».

«Pensi di essere così speciale da non degnarmi nemmeno un'occhiata?» domanda ridacchiando, una risata che si spegne quando stringo la presa come una morsa.

«Come cazzo ti permetti?» gli urlo contro e lo lascio immediatamente. Ho bisogno di colpirlo, non mi basta vederlo soffocare, «viscido di merda».

Vedo nero, solo nero. Sono tornata adolescente, sono tornata debole e mi sento ancora sporca, ancora sbagliata. Carico un pugno, due, tre e poi smetto di contarli. Continuo finché non c'è anche del rosso nel quadro della mia mente, finché non vedo sangue.

Per essere liberaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora