Cicatrici

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Parigi alle prime luci del mattino sembrava ancora più inquietante e spettrale dell’ultima volta in cui c’ero stata. Mi svegliano alle sei, siamo arrivati e dobbiamo scaricare i bagagli. Ancora molto assonnata, vado per prenderei i miei ma mi dicono che devo aspettare i bodyguards per poter scendere.
«Addirittura i bodyguards?» chiedo sconcertata
«Siamo i Rammstein, non i Maneskin» risponde Till, con una risatina
«Anche i Maneskin hanno i bodyguards» aggiunge Flake
«Non… me lo aspettavo» sussurro con un po’ di shock nella voce
«Beh, è normale. Ci assalgono» ridacchia Oliver
«Allora, stai tranquilla. Cammina insieme a noi e non accadrà nulla» mi incoraggia Paul.
Non appena ci dicono che possiamo mi faccio coraggio e scendo dal bus, correndo a perdifiato con il trolley, dirigendomi alla Hall dell’hotel, dove finalmente posso scaricare i bagagli, mentre la manager ritira i nostri documenti. Till è assonnato, ma di buon umore. Si avvicina a me, ma cerco di scansarlo, non so quanta voglia ho di avere a che fare con lui, dopo le cose che mi ha raccontato Paul. Al contrario, quest’ultimo viene da me con aria rassicurante e mi abbraccia, mi sento al sicuro con lui. L’abbraccio si scioglie quando Till viene da me e mi dice che siamo  nella stessa stanza. Fosse accaduto prima di sapere come si comporta con i partner, avrei probabilmente fatto i salti di gioia, ma adesso la situazione mi sembra parecchio diversa e non posso che accettare la cosa sbuffando. Bene, se ha intenzione di farmi innamorare per poi gettarmi via come ha fatto con Paul, si sbaglia di grosso. Al massimo accadrà il contrario, sarò io a farlo innamorare per poi ferirlo, vendicando tutti coloro che hanno subito tale sorte. Respiro a fondo, salendo con l’ascensore ed i bagagli fino alla stanza che ci è stata assegnata, mentre Till apre la porta. Letto matrimoniale, cazzo. Come chiuderò occhio se russa come una locomotiva a vapore? Mi servono i sonniferi, credo.
«Purtroppo ti abbiamo aggiunta all’ultimo secondo e spesso dividerai la stanza con uno di noi» spiega Till
«Per me andate bene tutti, tranne Olga» rispondo con una risatina
«Quello non temerlo, Olga non si separa mai dal suo cagnolino» risponde Till ridacchiando.
«Come la tollerate?» chiedo, con una risatina
«Beh, mi sembra che una bella stangata gliel’hai data» mi risponde, con un sorriso sincero.
«Mi ha provocata» mi difendo
«lo so. Ma lo fa con tutti, di continuo» aggiunge
«Non con me. Da adesso si cambia aria» rispondo
«A proposito di aria, niente aria condizionata per preservare la voce, ma terrò la finestra aperta» mi spiega
«Ci sarà un caldo infernale» rispondo, preoccupata
«Lo sopporteremo» risponde fiducioso.
Vedo Paul entrare nella sua stanza, mi avvicino a lui con un sorriso. «Quindi stanotte non chiuderai occhio» commenta ridendo «Vieni, ti faccio conoscere la mia ragione di vita» mi dice, mentre entro nella stanza. Si china ad aprire il trasportino, mentre un minuscolo chihuahua viene fuori, timidamente. «Ti presento Minni, la mia principessa» mi dice, mentre inizio ad accarezzarla e coccolarla, godendomi le sue zampette sul braccio. Impazzisco per gli animali, specie se di piccola taglia. Resto a chiacchierare con Paul, fino a che non ci comunicano che dobbiamo fare le foto, allora torno in camera a prendere l’attrezzatura e inizio la mia giornata lavorativa. È sfiancante far posare uomini adulti non modelli professionisti, devi dare mille indicazioni e controllare decine di volte le pose e le espressioni, ma alla fine riesco a tirare fuori un bel lavoro. Mi siedo al pc nella terrazza dell’hotel, dopo il servizio fotografico in giardino, ordino un tè freddo al limone ed inizio il lavoro di editing, mentre gli altri si preparano ad andare in arena. Richard però si siede davanti a me e tamburella le dita in maniera assai poco rassicurante.
«Ti stai divertendo?» mi chiede
«Sto lavorando» rispondo
«Forse non hai capito, non sei intelligente come vuoi far credere» ribatte
«Cos’è, Miss Ce l'ho D’oro non ha il coraggio e manda il cagnolino al guinzaglio a scusarsi?» chiedo, continuando a lavorare
«Attenta a come parli» digrigna i denti il chitarrista
«Altrimenti che fai, mi fai prendere a frustate sul sedere?» chiedo ironica
«Allora, Isabel o come cazzo ti chiami, sarai anche brava ma non sei un fenomeno. Posso farti licenziare, se voglio. Posso stroncare la tua carriera, se voglio». Minacce? A me? Mi trattengo per non scoppiare a ridere.
«Richard, interessare da parte tua minacciarmi così invece di ammettere che la tua partner è stata di una cafonaggine infinita. E comunque è Isabelle, non Isabel» rispondo guardandolo negli occhi
«Ha ragione, sei un cesso. E sei anche altezzosa, viscida ed irrispettosa» risponde, in tono di disprezzo
«Ma ho anche dei difetti» lo sfido, con un mezzo sorriso
«Te lo cancello quel sorrisetto da quella faccia di merda» sputa tra i denti
«Prima devi riuscire ad avvicinarti alla mia faccia. Sto lavorando, aria». Mi getta un’occhiata al vetriolo e si allontana, quasi sconfitto.
Il pomeriggio è piuttosto noioso, la band è tutta impegnata e non mi resta che chiacchierare con Ulrike, che è molto dolce e paziente. Mentre ci prendiamo un tè nel backstage e ne approfitto per scattare qualche foto a Richard, Paul e Doom impegnati a fare yoga, sento la più insopportabile delle risatine e vedo Olga arrivare.
«Finalmente fa un po’ di movimento che non sia orizzontale» ridacchia. Non riuscirei a ridere nemmeno se lo volessi.
«Sempre ad una cosa pensi» la richiama Ulrike
«Si. Solo ad una cosa, 24 ore su 24» ride Olga.
«Beh, ci sono anche altre cose» le fa notare Ulrike
«Quali altre cose?» chiede. La conversazione si fa interessante. Il mio dito scivola sul telefono e inizio a registrare.
«Beh, in una relazione non esiste solo il sesso» afferma Ulrike
«No, hai ragione. Ci sono anche i soldi» ride quella gallina
«C’è anche l’amore» aggiunge Ulrike. Olga scoppia a ridere, lasciando la donna senza parole.
«Amore? Ma hai bevuto qualcosa? Non esiste l’amore, esiste il sesso e gli uomini abbastanza stupidi da essere usati come bancomat. Questa è la mia intenzione, svuotargli il conto in banca e poi… ciao ciao». Era quello che volevo sentirle dire. Il mio sorriso sardonico si allarga, chissà come avrebbe reagito Richard a quelle parole.
«Olga… ma non c’è un sentimento… che ti lega a lui?» chiede Ulrike un po’ confusa
«No, cara. Mi interessa solo quello che ha tra le gambe e nel portafoglio» ridacchia. Bene così, la prossima volta saprò cosa tirare fuori. Chiudo la registrazione soddisfatta come non mai e decido che è arrivato il momento di fare due tuffi in piscina, il mare non lo vedrò nemmeno in cartolina per cui vorrei concedermi una nuotata. Torno in stanza a cambiarmi, indosso un costume intero dei Rammstein e mi dirigo in piscina. Non c’è nessuno, o almeno così sembra e onestamente, è meraviglioso. L’acqua mi accoglie come se fosse una madre che non vedo da sempre ed inizio a nuotare a dorso, faccio un po’ di vasche avanti e indietro, mentre fisso il soffitto di cristallo con l’espressione serena in viso, beandomi di tutta quella bellezza. Improvvisamente dall’acqua spunta una figura maschile, nemmeno fosse un mostro mitologico. Mi spavento e mi ritraggo verso un bordo della piscina, per poi ridacchiare quando mi accorgo che è semplicemente Till, senza fiato, mentre fissa il cronometro e scuote la testa.
«6:25, sto diventando scarso» dice a bassa voce mentre regolarizza il respiro, poi si volta verso di me, togliendosi gli occhialini. «Ti ho spaventata?»
«No» nego, sussultando.
«Gli altri fanno yoga, Olli fa skate… io senza nuoto non ci so stare» ammette con un sorriso
«E Flake?» chiedo, non avendolo visto a yoga
«Tapis roulant, quando non va a zonzo» risponde con la sua risatina
«Non ti piace lo yoga?» chiedo
«No. Troppo lento. Non ne ho bisogno, ho già il perfetto controllo del mio respiro senza mettermi i piedi sulla testa» risponde lasciandosi andare ad una risata
«A me non dispiace ma non ho mai provato» aggiungo
«Potrebbe aiutarti con l’asma» mi dice guardandomi. Mi tolgo gli occhialini per guardarlo meglio in viso.
«Beh non ho dubbi» rispondo
«Hai un bel corpo, lo sai?» mi dice, guardandomi. Arrossisco. Mi mettono a disagio i complimenti.
«Non credo, ma grazie» rispondo a voce bassa
«Io lo credo invece. Hai le forme ma sei proporzionata. Mi piace» mi dice. Beh, almeno lui riesce a vedere in me qualcosa che non riesco a notare.
«Grazie» ripeto piano.
«Facciamo un po’ di vasche? O preferisci l’apnea?» mi chiede, guardandomi negli occhi
«Non è che me la cavi benissimo con l’apnea» ammetto.
«Beh, possiamo provare» mi dice, invitandomi con un cenno della testa
«Ho una resistenza alquanto bassa» insisto. Non credo servirà a dissuaderlo.
«Proviamo, ti aiuterebbe molto a migliorare la capacità polmonare e quindi a rendere meglio nel canto lirico» mi dice, cortese. Cos’ho da perdere?
«Va bene se prima facciamo in superficie?» chiedo, immaginandomi già di annegare come Kurt Russel in Poseidon.
«Va bene. Farò partire il cronometro, così vediamo quanto abbiamo da lavorarci su». Lavorarci? E questo plurale?
«Mi sdraio?» chiedo, uscendo dalla piscina e sedendomi sul bordo
«Si, braccia lungo ai fianchi, respira lentamente e profondamente, cinque volte, poi prendi fiato e faccio partire il cronometro». Più chiaro di così.
Eseguo, ad occhi chiusi, svuotando la mente, che inizia a vagare per il cosmo, trascinando comete per la coda, saltando fra i corpi celesti, fluttuando nell’infinito mare di stelle, come se fossi tutto e nulla, mentre il mio cuore rallentava la sua corsa. E poi un sussulto mi scuote da dentro, il diaframma inizia a contrarsi, ma resisto ancora un attimo, poi lascio andare l’aria ostaggio dei miei polmoni e riapro gli occhi, mentre Till tocca il cronometro.
«Facevi schifo, eh?» mi dice, sorpreso
«Rispetto a te…» rispondo, mentre cerco di respirare normalmente
«3:19. Non è per nulla male. Davvero, per nulla.» mi risponde sorridendo.
«Ci divertiamo un po’?» gli propongo, rimettendo gli occhialini e lanciandogli i suoi
«Ci sto!» il suo sorriso si allarga mentre mi tuffo in acqua, poi iniziamo a nuotare insieme, quasi in sincrono. Maledizione, per avere 60 anni non riesco a stargli dietro! Ci ammazziamo di gare a chi è più veloce, facendoci grasse risate.
Sfinita da tutto quel nuotare, vado in camera prima di lui, mi tolgo il costume bagnato e mi infilo sotto la doccia, dando vita ad un vero e proprio concerto dei Queen, usando il gel doccia come microfono. Sono talmente assorbita dalla mia performance canterina che non mi accorgo che Till è tornato in stanza e quando apro la porta che separa il bagno dalla camera sobbalzo, vedendolo seduto sul letto, nudo e coperto soltanto dal lenzuolo sulle parti intime. In mutande e canotta, corro a prendere la fotocamera intimandogli di non muoversi, notando la sua espressione quasi stupita.
«Guardami. Metti la mano sul lenzuolo, l’altra dietro la testa» gli suggerisco, con un sorriso, poi scatto. Dopo una decina di foto mi siedo sul letto, soddisfatta.
«Sei venuto benissimo, lo sai?» dico, riguardando le foto
«Le pubblicherai?» mi chiede, avvicinandosi a guardarle
«Solo se lo vorrai» rispondo, trattenendo un sorriso. Quel tipo di bellezza l’ho trovato soltanto nelle statue e nei quadri, non è soltanto prestanza fisica, è bellezza contaminata da rivoli di sofferenza. Non posso fare a meno di notare le cicatrici sul suo petto e sulle braccia, penso alle mie e quasi mi si mozza il fiato. Non siamo poi così diversi.
«Beh, non vedo perché no» risponde serio «E a proposito, canti magnificamente. Ti ho sentita. Somebody To Love. Notevole, davvero notevole» mi dice, guardandomi negli occhi. Sento che sto per arrossire ma non riesco a smettere di fissarlo.
«Davvero lo pensi?» chiedo a bassa voce, timidamente
«Certo che lo penso» risponde, con un sorriso.
In quel momento bussano vigorosamente alla porta e dopo averla aperta entra Flake. Corro ad indossare un paio di shorts, imbarazzata, ma non sembra notarlo
«Till, riunione manageriale» dice, mentre quest’ultimo si veste di corsa
«Che vogliono, adesso?» chiede sbuffando
«Sarà per la questione playback» dice a bassa voce
«Dio santo, non mi chiederanno davvero di cantarle tutte per intero?» dice preoccupato
«Spero di no» dice piano Flake
«Non posso farcela» dice il cantante, scuotendo la testa.
«Dai andiamo, poi si incazzano» incalza Flake, portandolo con se. Dopo un po’ inizio ad annoiarmi, era piacevole avere un compagno di stanza, quindi busso alla camera di Doom e resto un po’ con Ulrike, che si gode il riposo del piccoletto. Alle undici di sera vedo rientrare Doom, capisco che la riunione è finita.
«Com’e andata?» chiedo con espressione sorniona
«Non troppo bene» risponde Doom
«Non troppo bene?» ripeto io
«Eggià» ammette Doom «Dobbiamo trovare una soluzione»
«Per il playback?» chiedo, incerta
«Ovviamente… solo che Till non ce la fa» dice il batterista
«Troverete qualcosa» dico piano, mentre mi alzo e vado a trovare Paul, un po’ assonnato. Dopo essermi divertita con Minni decido di tornare in stanza, trovando Till seduto sul letto, totalmente nudo, mentre fuma e tracanna vino rosso.
«Dovresti dormire» dico piano, mentre indosso il pigiama. Il caldo nella stanza è quasi insopportabile ma non posso farci nulla.
«Anche tu» mi dice, la voce tremante. Non dovrebbe bere così tanto.
«Difficilmente dormo più di quattro ore a notte» spiego, mentre mi metto nel letto, sotto le lenzuola. Pessima idea, suderò ancora di più.
«Cosa ti tiene sveglia?» mi chiede, voltandosi a guardarmi. Non so se davvero vuole sentire la risposta, non so se è davvero interessato a conoscere i miei demoni.
«Beh, sono semplicemente insonne» rispondo, cercando di non guardarlo.
«Guardami» mi invita. Alzo lo sguardo, incontro i suoi occhi malinconici.
«Sono… sono i miei pensieri» rispondo. I miei traumi, avrei voluto rispondere.
«Perché quando nessuno parla sei costretta ad ascoltarli, non è vero?» mi chiede, conoscendo già la risposta. «È per questo motivo che bevo, per metterli a tacere. Come faceva mio padre, del resto» dice, la voce leggermente impastata ma chiara. Posa la bottiglia sul pavimento, si mette in posizione semi seduta.
«Anche io bevevo. È stata dura smettere» rispondo, lo sguardo fisso su di lui.
«Ho provato di tutto Isa, credimi. Cocaina, eroina, ogni genere di pasticca, tutto ciò che mi passava davanti, solo per non sentire quella voce, quella dannata voce nel mio cervello.». Respiro a fondo. Non mi sento pronta ad iniziare quella conversazione.
«Quella voce, che nella mia testa ha lo stesso suono della voce…» si interrompe, prende fiato «Di mio padre. Quella voce che per trent’anni mi ha avvelenato la vita, ricordandomi in ogni momento di quanto fosse di scarsa importanza la mia stessa esistenza, di quanto poco fosse il mio valore». Si ferma. Non me lo aspettavo. Non mi aspettavo di parlare di suo padre, in una situazione potenzialmente erotica.
«So di cosa stai parlando. È per quello… che sono fuggita, a sedici anni, dall’Ucraina. Ho cambiato nome. Ho lasciato il mio passato dove deve restare. Non vado molto fiera di cosa ho dovuto fare per arrivare dove sono adesso» spiego, a bassa voce.
«Il fine giustifica i mezzi» aggiunge, quasi incoraggiante
«Diciamo che è così. Ma certe delle cose che ho passato… sono ferite all’anima. Sono mostri che mi vengono a trovare quando sono più vulnerabile.». Le parole escono da sole, senza che io possa controllarle.
«Quando sei solo contro il mondo. Quando tutto sembra franarti addosso.» aggiunge
«E nessuno ti ascolta, perché fanno finta di ascoltare ma ti stanno soltanto sentendo. Nessuno presta la giusta attenzione.» rispondo, mentre una lacrima scende dai miei occhi.
«E anche se qualcuno lo facesse, come lo spieghi? Come racconti che dentro di te, c’è solo disprezzo e vergogna per te stesso? Come fanno a credere che ogni volta che ricevi un complimento credi di star ricevendo una presa in giro, perché non può essere vero, perché non vali… niente». Singhiozza, nasconde il viso tra le mani. Sento le fiamme lambire il mio corpo, fa troppo caldo, è un caldo che mi toglie il respiro, non riesco più a reggerlo. Mi scopro e inizio a togliermi i vestiti, quasi furiosamente, come se fossero intrisi di piccoli aghi.
«Ed è per questo che mi punisco, ogni volta che qualcosa non va come dovrebbe. Guardami, cazzo! Guardami!». Le mie cicatrici, illuminate dalla luce della luna, sembrano ancora più grandi e profonde. Se non fuggirà adesso, non lo farà mai più.
«Non riesco a vedere altro che bellezza, Isabelle.» mi dice, mentre una lacrima bagna le sue labbra secche
«Ma io no! Tutto ciò che riesco a vedere è un mostro, uno di quelli deformi, uno di quelli che ti fanno fuggire a gambe levate, che non fanno dormire» singhiozzo, scoppiando in lacrime. Non l’avevo mai detto a nessuno.
«È sempre colpa tua, vero? Tutto ciò che succede nella vita delle persone, anche se non ti riguarda, è colpa tua. Non è forse così?» mi chiede, mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare. Annuisco piano.
«Lo so. Perché è così anche per me.» mi dice, aprendo le braccia, esponendole alla luce. Cicatrici, un reticolo di cicatrici che avvolgono il suo corpo.
«Ma tu non sei un mostro» rispondo
«Nemmeno tu» mi dice, allungando una mano sul mio viso. Una mano che non riesco a rifiutare, una mano di cui ho bisogno.
«Perché non riesco a vedere qualcosa di diverso da quello che vedo, che sembro vedere solo io?» singhiozzo, bagnando le sue dita di lacrime.
«Solo perché non riesci a vederlo non significa che non sia reale. Un cieco non riesce a vedere il mondo, ma il mondo è lì, intorno a lui. E la tua bellezza è immensa, Isabelle. La tua bellezza è così pura che ho paura di sporcarla con i miei errori.». No, non potresti mai sporcarmi, ho paura di essere io a sporcare te. Mi avvicino più a lui, il calore si è trasformato in una coltre di gelo che mi fa tremare.
«E tu riesci a vederla, la tua bellezza?» chiedo, mentre mi appoggio alla sua spalla. La sua pelle è così morbida che potrei scambiarla per seta, profumata alla lavanda.
«La mia bellezza? La mia bellezza non esiste. Io sono soltanto… un corpo. Un corpo che si vende, perché il massimo che posso ottenere è questo, Isabelle. Perché non merito altro, non merito nulla.». E senza che io possa fare nulla per impedirglielo, scoppia in lacrime. Allungo una mano sul suo viso, cercando di asciugargli le lacrime.
«Visto che siamo… entrambi ciechi…» inizio io, mentre le parole mi sembrano impossibili da pronunciare.
«Pensi che io queste cose le abbia dette ad altre donne, Isabelle? No. Nessuna. Non sono mai stato in un letto con una donna senza farci del sesso. Mai, in 60 anni »piange, contro la mia testa, mentre ascolto il battito del suo cuore. Lentamente si sdraia sul cuscino, lasciandomi scivolare sul suo corpo, mentre piangiamo insieme.
«Perché hai scelto proprio me per parlare di questo?» chiedo, tremante
«Ho notato subito le tue cicatrici, quando ti ho invitato a prendere il tè. Ho visto le mie nelle tue. Ho visto la stessa sofferenza nei tuoi occhi, è stato come… guardarmi allo specchio» spiega, mentre il suo addome sobbalza contro il mio.
«Temevo che saresti fuggito» dico a bassa voce
«Io temo ancora che lo farai, adesso che hai visto la parte più fragile di me stesso. La parte che non ho mai mostrato, a nessuno.». Nemmeno a Paul? Credo di no.
«Non lo farò. Non adesso che… so che esiste qualcosa, dietro l’uomo invincibile che mostri sul palco.». Mi accarezza la guancia, sembra calmarsi.
«Isabelle, non voglio nulla da te che tu non voglia, intesi?» mi chiede, piano.
«Lo stesso vale per me» dico, mentre le lacrime continuano a scendere.
«Forse… lo meritiamo. Forse meritiamo un po’ di speranza, non credi?» mi chiede. Annuisco, ma dentro di me non credo di meritarlo.
«Ho cercato tutta la vita di far contenti gli altri ma mai ho pensato a me stesso, alla mia felicità» aggiunge, sospirando. Chiude gli occhi, ha sonno, ma mi stringe a se, come se avesse paura a restare da solo. Chiudo gli occhi, ascoltando i suoi polmoni riempirsi dolcemente d’aria e poi svuotarsi, come le onde del mare che si infrangono alla riva e si ritirano, mentre il mio cuore si sincronizza al suo e la notte ci avvolge, asciugando le lacrime sui nostri volti.

Stirb Nicht Vor Mir Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora