16 Giugno 2008
Non avevo ancora compiuto sei anni. Mi aggiravo per casa con la bambola di Bloom delle Winx tra le mani, e sentivo della bella musica provenire dal salotto della nostra vecchia casa in un paesino sperduto dell'Italia. Era una melodia così bella, non potevo fare a meno di ballare. Papà stava suonando il pianoforte, attorno a lui c'erano tanti fogli sparsi con le idee scartate. Era concentratissimo, non sbagliava una sola nota. Di solito lo interrompevo, ma quella volta decisi di non farlo. Ballai al ritmo della sua delicata musica. Papà alzò lo sguardo per un momento, e sorrise. La mamma era seduta al tavolo, con una mano poggiata sulla fronte a leggere dei documenti. Non era minimamente interessata alla musica. Io continuai a ballare fino a quando non smise di suonare. "Allora? Che ne pensi di questa?"
Mamma alzò lo sguardo. Aveva un espressione scocciata, ritornò all'istante ai suoi documenti.
"Uguale a prima."
"È una canzone diversa."
"Non mi è sembrata differente a quella di prima." dice, sbuffando.
Papà tirò un sospiro, posando una mano sulla fronte e chiudendo gli occhi per un momento. Non ho mai capito perché la mamma lo trattasse in quel modo. Non si sforzava mai di incoraggiarlo. Era sempre pronta a denigrare i suoi lavori. A volte mi chiedevo come si fossero innamorati. O se lo fossero mai stati. Da parte di mio padre, l'amore c'era. Ma non da parte della mamma.
Mi avvicinai a lui, guardandolo per qualche istante. Aveva uno sguardo davvero triste.
"Che c'è?" mi chiese, forzando un sorriso per non darmi preoccupazioni.
"Continui a suonare? Facciamolo insieme." dissi, mentre giocherellavo con i capelli della bambola. Lui sorrise, facendomi sedere accanto a lui. Ci mettemmo a cantare Don't Stop Me Now dei Queen, io nel mio inglese inventato da bambina di sei anni. Fu in quel momento che mi innamorai del canto. Ci divertimmo tanto insieme.
"Non smettere mai di suonare." dissi.
Papà era commosso, mi abbracciò così forte da togliermi l'ossigeno.
"Continuerò a farlo."
La mamma continuò a restare in silenzio, disinteressta da tutto. Ero l'unica a crederci davvero.Mi gira la testa. Ho un improvviso bisogno di andare a vomitare tutto quello che ho in corpo. Non riesco a capire le parole di questa donna, le percepisco come una lingua a me sconosciuta, sento delle parole sconnesse e fini a loro stesse. Mi siedo sul letto, mettendo il vivavoce e rannicchiandomi su me stessa. Mi sento incredibilmente sola.
"Sei in linea?" Chiede la donna. Ha la voce spezzata, come se fosse sull'orlo di piangere.
"Mi dispiace tanto, non volevo essere io a dirtelo."
"No, tranquilla. Grazie per avermelo detto." dico, trattenendomi con tutta me stessa dall'urlare in preda al panico. Mi sento male. È solo un brutto un incubo, non voglio crederci. Domani mi sveglierò, troverò un messaggio vocale di papà in cui mi chiede se sono sveglia. Tornerà tutto come prima. Riattacco il telefono, lo spengo immediatamente. Non voglio sentire nessuno. Non voglio parlare con nessuno. Non voglio parlare nemmeno con Aspen, o Link. È meglio sparire.
"Tuo padre ha avuto un infarto."
Non è vero. Tutto questo non può essere reale. Forse è meglio che vada a dormire. Si risolverà tutto domani mattina. Domani mi chiamerà, dicendomi che va tutto bene.25 Ottobre 2011
Ci siamo appena trasferiti in America. Guardo il calendario, è il 25 ottobre. La casa è più piccola della precedente, ed è piena di scatoloni. Mi guardo intorno. Tutto sembra più grande di come ricordassi. Giusto, ho quasi nove anni.
"Leaf! Puoi venire ad aiutarmi?" Chiede papà. Vado verso di lui. Ha i capelli rossi e poca barba, è altissimo e molto robusto. È molto giovane.
"Sotto la credenza mi è caduta una cosa. La prenderesti tu? Hai le mani più piccole delle mie." ridacchia lui. Annuisco, piegandomi per terra a prendere... ma cosa sto raccogliendo?
"Papà, che devo raccogliere?"
"È un oggetto piccolino" dopo qualche secondo, riesco a prendere l'oggetto. Strano, non ho nemmeno le mani impolverate. In mano ho una piccola chiave dorata. La porto a mio padre, la prende un attimo per guardarla meglio.
"Sì, è proprio questa. Tienila tesoro, è tua."
"Perché? L'hai persa tu."
"Lo so, per me è molto importante. Me la regalò il nonno. Ora però, devi tenerla tu. Io non posso più custodirla."
Non ha senso. Lui è qui davanti a me. Quando sbatto le palpebre, ho nuovamente vent'anni. Papà ha cambiato aspetto. Non ha più i capelli ed ha una barba molto folta, rossa e bianca. È molto magro.
Sto facendo un sogno. Anzi, un incubo.
"Ti prego, non dire così. Sei ancora qui!" esclamo con voce spezzata. Mi manca l'aria e non riesco a fermare le lacrime. Tutto questo non è reale, eppure lo è allo stesso tempo. Non riesco ad accettarlo.
"Leaf... Sai che anche tu che non è così. Vai avanti tesoro. Fallo per me, ma soprattutto per te. Sei una ragazza forte. Non rifiutare l'aiuto degli altri. I tuoi amici ti staranno vicino."
Non riesco più a vedere niente per le lacrime, il petto sta bruciando. Mi sento terribilmente male. Non voglio lasciarlo andare, non ce la faccio. Proprio ora che il nostro rapporto si stava sistemando. Mi sento in colpa.
"Non te ne andare."
"Guarda nella camera da letto"
Vedo mio padre che svanisce. Prima c'era. Ora semplicemente non c'è più.
Fade out.
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Ancora Una Canzone
Teen FictionLeaf Maple ha 19 anni, frequenta l'accademia di belle arti, contemporaneamente studia canto in America. Il suo più grande sogno è quello di avere una band. Vorrebbe seguire le orme del padre, ex musicista. Purtroppo, però, è caduto in depressione a...