10 - Ciao

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"Perché mi hai lasciato dormire tanto?" si lamentò Carola, sistemandosi i lunghi capelli davanti allo specchio che occupava una parete dell'ascensore.

"Non sono mica la tua sveglia" replicò scocciato Bruno, osservando i tasti dell'ascensore che si illuminavano per segnare l'avanzare lento di quel trabiccolo.

"Così arriviamo tardi entrambi" ribatté la ragazza, rivolgendogli un'occhiataccia attraverso il suo riflesso, che Bruno non notò.

Le porte dell'ascensore si aprirono e Bruno avanzò nell'atrio diretto verso la porta d'ingresso: "Sbagliato. Solo tu arriveresti tardi"

"Mi lasceresti davvero indietro?" lo rimbeccò la sorella, seguendolo con passo sostenuto, non aveva le gambe lunghe quanto le sue.

Bruno arrivò sul marciapiede all'esterno dell'edificio e rivolse la sua attenzione verso la fermata poco distante poi, senza alcun preavviso, iniziò a correre, gridando a Carola: "Sì, come sta per fare l'autobus!"

Carola spalancò gli occhi e imitò il fratello, cercando di muoversi il più velocemente possibile per non perdere quella corsa che avrebbe segnato il suo arrivo a scuola in orario. Per essere lunedì mattina, la giornata era iniziata peggio del solito.

I due ragazzi riuscirono a salire a bordo e percorsero il corridoio con il fiato corto e i capelli scompigliati. Bruno prese posto su uno dei sedili posteriori e Carole si mise vicino a lui. Entrambi sospirarono sollevati e si sistemarono meglio proprio mentre il mezzo partiva. 

La ragazza era stanca perché era rimasta alzata fino a tardi per guardare un ulteriore episodio di Lost e quell'inaspettato scatto di prima mattina non l'aveva aiutata, perciò piegò la testa di lato, fino a raggiungere la spalla del fratello, chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal dondolio dell'autobus.

Bruno non disse nulla, ma si lasciò cadere leggermente sul sedile per rendere più comoda la posizione della sorella, poi si passò una mano tra i capelli e guardò pigramente gli altri passeggeri davanti a lui.

C'erano studenti di altre scuole, uomini in giacca e cravatta, donne con la ventiquattro ore, bambini assonnati, qualche anziano e poi, proprio di fronte a lui, parecchie file più avanti, lei.

Cecilia era seduta dal verso opposto rispetto al senso di marcia, perciò poteva vedere i sedili posteriori del mezzo ma, per qualche motivo, non si rese conto della presenza di quel ragazzo che qualche giorno prima le aveva caldamente sorriso.

Forse era la sua mente troppo affollata di pensieri a renderla tanto distratta, le parole di sua madre ancora le scuotevano la testa, dilaniandola tra la paura di agiare e l'ansia di restare ferma nello stesso punto.

Qualcosa in ciò che aveva letto, le aveva aperto gli occhi, si era sempre chiesta perché non posso essere felice? ma non aveva mai considerato che la vera domande era perché non provo a essere felice?

Cecilia si era resa conto che voleva esserlo, ma se non ci provava nemmeno, non sarebbe mai successo. Il primo punto su quella lista, tornò prepotente davanti a lei: parlare con uno sconosciuto.

Poteva sembrare facile, avrebbe potuto chiedere indicazioni stradali, o un qualsiasi orario. Avrebbe potuto domandare il prezzo di un prodotto oppure ordinare un caffè. Tuttavia Cecilia aveva sempre evitato queste cose, solitamente rispondeva con dei cenni della testa alle domande che le persone le rivolgevano, oppure le ignorava totalmente.

Le volte che aveva dovuto parlare con qualche sconosciuto, per lei era stato come prendere una scossa elettrica, poco piacevole e soffocante.

Un leggero profumo di vaniglia le invase le narici e ciò bastò per convincere Cecilia a fare un tentativo. Sollevò lo sguardo dal pavimento e notò la signora corpulenta che si trovava seduta di fianco a lei, immersa nella lettura di un libro che reggeva tra le mani. Cecilia conosceva quel volume, quindi pensò fosse un buon approccio per avviare una breve conversazione. 

Sapone alla vanigliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora