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Bruno si stiracchiò alzandosi dalla scomoda sedia di plastica, aveva la schiena indolenzita e le sue lunghe gambe soffrivano sempre a restare piegate per tante ore di seguito. Infilò la giacca e sollevò lo zaino da terra, facendolo pendere da una spalla, poi si avviò tra la fila di banchi.

Quando passò accanto a quello di Fabio, lo salutò con un semplice "ciao" ma questo bastò per accendere un'espressine entusiasta sul viso del ragazzo.

"Ciao, Bruno" replicò contento "a domani" concluse poi, tornando a riordinare il suo banco con calma.

Bruno si lasciò sfuggire un lieve sorriso, dopotutto, non era antipatico, Fabio.

Percorse i corridoi tranquillamente e raggiunse il cortile assolato, controllò l'orologio e si rese conto che mancava ancora qualche minuto prima che l'autobus fermasse esattamente davanti alla scuola, perciò si guardò intorno alla ricerca di un posto tranquillo.

Intravide una panchina vicino ad un grosso albero e vi prese posto, ritrovandosi a osservare l'intera facciata dell'edificio che frequentava tutti i giorni.

Estrasse dalla tasca dello zaino un pacchetto di sigarette e un accendino e, dopo essersene accesa una, inalò profondamente quel dannoso fumo. Era un vizio al quale non riusciva a rinunciare, oltre alla boxe, anche le sigarette lo aiutavano a ridurre lo stress.

Allungò un braccio sullo schienale della panchina e sollevò la testa verso l'alto, spostando i suoi scuri capelli dalla pelle chiara. Il sole non poteva dargli fastidio perché era coperto dalle fronde degli alberi, ma improvvisamente, una potente voce femminile attirò la sua attenzione.

"Come ti sei permessa?" stava quasi gridando qualcuno, abbastanza lontano da non essere udito dalle persone nel cortile, ma non troppo per sfuggire alle orecchie di Bruno.

"Mi hai fatto fare una figura di merda" continuò quella voce che il ragazzo trovava stranamente familiare.

"Sei una stronza, mucca" continuò una seconda voce che Bruno stavolta non riconobbe. Curioso, vagò con lo sguardo, alla ricerca di quella fonte di rumori e, dopo una piccola analisi, intravide un gruppo di ragazze nell'angolo più nascosto di quella parte di giardino.

Erano riparate da alcuni cespugli, ma non erano abbastanza alti per coprire visualmente lo sguardo del ragazzo, il quale si rese immediatamente conto di quale fosse la situazione.

Intravide la testa scura di colei che era presa di mira, schiacciata contro la parete dell'edificio, senza alcuna via di fuga dal momento che era accerchiata da altre tre compagne che le chiudevano qualsiasi spiraglio.

Bruno non poteva vedere chi era la ragazza in questione perché era parzialmente nascosta dalla testa bionda che campeggiava davanti a lei. La ragazza sembrava essere al comando della spedizione e fu inevitabile capire chi fosse: la voce stridula, la chioma bionda, la gonna corta: Emma.

"Non parli mai in classe, te la sei proprio cercata stravolta" continuò Emma, spostando una ciocca di capelli dietro la spalla con un movimento di stizza.

"Mi dispiace" mormorò quasi impercettibilmente la ragazza nascosta, abbassando ulteriormente la testa, come a volersi integrare con il muro dietro di lei e scomparire totalmente.

Bruno conosceva quella sensazione, l'impotenza di fronte a certe situazioni, l'aveva provata sulla sua pelle quando era stato bambino, ma sapeva anche che intervenire non avrebbe portato a nulla di buono, né per lui, né per lei.

Emma era una di quelle persone che si appigliano a qualsiasi motivo pur di prendersela con gli altri e, se lui avesse fatto qualsiasi cosa, lei l'avrebbe usata come scusa. Perciò decise di far finta di nulla e lasciare che le cose andassero come dovevano andare.

Sapone alla vanigliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora