Sono Mako. Alcuni di voi mi conosceranno per la storia Just wanna smash his face - come va, tutto bene, sì sì la aggiorno tranquilli. Sono iscritta a una newsletter bellissima, che invia quotidianamente dei prompt letterari per esercitarsi a scrivere. Ne stavo facendo uno, quando ho detto... Perché non trasformarli in oneshot e condividerli con voi? Se avete dei pairing particolari di Jujutsu Kaisen non esitate a suggerirmeli, forse - e dico forse - potrei momentaneamente abbandonare Sukuna e potrebbero diventare la prossima oneshot!
Vi ringrazio e... Buona lettura! _____________________________________________
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pairing: SukunaxReader
Y/N sospirò, varcando finalmente la porta di casa.
Il convegno era stato... Terrificante. Non ricordava un giorno in cui si fosse stancata in quel modo.
Inizialmente aveva provato a stare attenta: aveva preso appunti, alzato la mano, fatto domande. In quei contesti ci teneva a mostrarsi interessata. Era addirittura salita sul palco a fare una foto insieme al Presidente della commissione - magari l'avrebbero pubblicata sul sito dell'Ordine, avrebbe dato il buon esempio a tutti i suoi tirocinanti. Passate le sei ore, però, aveva cominciato a dare segni di insofferenza. Prima di tutto, quel dannato aveva iniziato a tempestarla di messaggi. Dove sei, non sei ancora tornata, ma quanto ci metti? Subito li aveva ignorati, ma quando la noia aveva preso il sopravvento aveva iniziato a rispondere, e la sua attenzione era drasticamente calata.
E poi c'era la questione delle scarpe.
Maledetta lei e maledetto il giorno in cui aveva deciso di togliersi lo sfizio e comprarsi un paio di Zanotti. Ma cosa le era saltato in mente? "Le sfrutterò un sacco" aveva tentato di giustificarsi, mentendo spudoratamente a se stessa. "Spendo una vagonata di soldi, ma saranno sicuramente comode".
Comode il cazzo.
Quei dannati tacchi vertiginosi da dodici centimetri spingevano le sue caviglie ad assumere una posizione... Beh, innaturale era dir poco. Diciamo disumana. La pelle nera laccata di vernice si fondeva con la sua, stringendole le dita e il fianco dei piedi fino a farle desiderare di girare per l'Auditorium completamente scalza. E poi c'erano le occhiate.
Se quelle erano scarpe da tutti i giorni, lei era Madre Teresa di Calcutta. In negozio sembravano belle, particolari sì, ma circondate da tutti quegli altri modelli stranissimi parevano quasi modeste. Ora, in mezzo a tutti quei medici di mezza età vestiti probabilmente al buio, si sentiva decisamente fuori luogo.
Sì, in sintesi poteva dire che si era pentita di averle indossate. Aveva fatto la sua porca figura, ma non ne era valsa la pena per niente. Era tornata a casa con in mente solo una cosa: toglierle il più presto possibile.
Ma ora era tutto finito. Erano le sette di sera, era nel suo appartamento, e poteva finalmente fare quello che sognava da tutto il giorno: levarsi quegli strumenti di tortura. Alzò una gamba dolorante, spostando il peso su un piede solo, e afferrò la scarpa per il tacco. Ah, il momento tanto atteso era arrivato.
"Ma guarda chi è tornato". Alzò lo sguardo, bloccata in quella scomoda posizione, e deglutì.
La figura di Sukuna troneggiava davanti a lei, le braccia conserte, la sua solita espressione di disappunto dipinta in faccia. Aprì la bocca per ricambiare il saluto, ma lui la bloccò sul nascere.
"E' tutto il giorno che mi fai aspettare. Spero tu abbia pensato a qualcosa per sdebitarti a dovere". Con un movimento secco del polso le fece cenno di seguirlo. "A letto. E" abbassó lo sguardo e si leccò le labbra, improvvisamente interessato "tieniti quelle scarpe". 'Oh, Kami'.