Perestrojka y glasnost' pt.2 [SukunaxReader]

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NdA

Ciaooo ragazz*! Tutto bene?
Ed eccomi qui con la seconda parte di Perestrojka. Pensavate che vi lasciassi così?
Allora, l'input di questa settimana era "scrivi con lo stile di un altro scrittore".
Dunque. Ci ho provato.
Ho iniziato tre volte, e ho cancellato tutto. Probabilmente perché quello che leggo é abbastanza pesante, e il modo di scrivere, oltre a non adattarsi alla storia, non vi sarebbe sicuramente piaciuto.
Ho deciso quindi di cambiare la trama stessa secondo un altro autore, in questo caso, che ne so... Un Grangé? Qualcosa che puntasse su un filino di mistero e malinconia, ma rimanendo sempre su una tematica di base romantica. Che dite? Può andare?
Giudicate voi, tovarish! E buona lettura!

Mako

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Tossì.
Si tirò su la manica del maglione fin sopra le dita e strofinò la superficie del vetro, cercando di vedere meglio.
La fotografia era senza dubbio stata scattata parecchi anni prima. C'erano due persone in quella foto - due ragazzi, per la precisione, e uno le sembrava nient'altro che il poliziotto che l'aveva portata via dalla Stazione di Polizia.
O meglio, era lui molto più giovane. Come minimo una decina di anni prima.
Aveva un accenno di barba, rasata in malo modo. Il taglio di capelli era più o meno lo stesso, forse un po' più spettinato, e il viso era più rilassato... Lo studiò qualche attimo, ma non vi trovò la stessa espressione corrucciata che gli era rimasta dipinta in volto per tutto il giorno precedente. Era quasi carino, così.
Sorrise. 'Come se non fosse bello lo stesso', rifletté.
'E invece tu devi essere il proprietario della stanza'.
Lo sguardo si spostò verso il fratello minore. Se quella foto era così vecchia, ora quel bel ragazzino doveva essere un giovane uomo niente male. Anche lui prometteva bene; condivideva molti tratti col fratello, sebbene sembrasse molto più basso. Ma i lineamenti erano quelli, nulla da dire.
Il maggiore teneva l'altro per le spalle, in una posa composta e un po' rigida, ma che faceva trasparire un senso di protezione. Il più piccolo sembrava rassicurato, e il suo sorriso era spontaneo e sincero.
Quella fotografia le diede inspiegabilmente un senso di pace. Improvvisamente la casa sembrò animarsi di una umanità che non aveva colto prima; rilassò le spalle, e uscì dalla stanza.

"Tak? Kak dela s ney?"
Sukuna sbuffò, la tazza di caffé turco stretta in mano.
Era la quinta, forse la sesta volta che gli chiedevano come andasse con la ragazza - o la prigioniera, come l'aveva chiamata scherzosamente il Comandante.
Beh, e che cosa si aspettavano che rispondesse?
Cosa avrebbe dovuto fare con lei? Le istruzioni erano di tenerla in casa finché l'ambasciata non si fosse fatta viva. E questo stava facendo.
Avevano scelto lui perché sapeva l'inglese, non aveva famiglia e tutto sommato il suo appartamento era abbastanza grande. Peccato che avesse dovuto obbligare Ume a farle la guardia mentre lui era al lavoro. Questo per il suo capo era scontato, vero?
Evitava di rispondere a tutti, ma in cuor suo sapeva che non avrebbe migliorato la situazione. Un silenzio in più poteva costargli caro.
"On poyel i usnul"₁ rispose secco all'ennesimo collega, come se si stesse riferendo a un cane randagio.
"Vot i vse?"₂ ridacchiò l'altro, facendogli l'occhiolino. Sukuna digrignò i denti.
Ripensò mentalmente alla torsione che avrebbe dovuto dare al polso per spaccargli meglio la faccia. Dall'esterno verso l'interno, con superficie d'impatto minima per evitare di rompersi il metacarpo. Un colpo secco, di sfregio, e tanti saluti al suo zigomo. Veloce, pulito, efficace.
Eppure, essere il capitano significava anche sapersi controllare. Purtroppo.
Si sistemò la casacca della divisa, appoggiò la tazza e tornò alle solite scartoffie.
Se doveva essere sincero, il giorno prima era stato quasi contento quando gli avevano affibbiato un lavoro diverso dalla solita burocrazia... Mai avrebbe pensato di doversi tirare in casa una cazzo di capitalista. Che schifo.
Sentì i colleghi borbottare qualcosa sul suo aspetto fisico, ma non se ne curò. Poverini, erano sempre chiusi lì dentro senza vedere mai una donna... Non poteva certo biasimarli. Si erano comportati bene, però.
Forse quello che si era comportato peggio era stato proprio lui. L'aveva trattata un po' come una pezza da piedi, ma in fondo era quello che si meritava, no? Una giovane donna perbene come lei nella Russia Sovietica. Cosa le era saltato in mente?
Lo sguardo si posò meccanicamente sulla costosissima macchina fotografica che le avevano sequestrato. L'unico motivo per cui non era stata ancora venduta al mercato nero era, beh, quello che poteva contenere.
Tolse il tappo all'obiettivo, portò l'occhio al piccolo vetrino e scattò.


JJK Oneshot - xReaderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora