Prologo

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La pioggia batteva sul vetro della sua finestra come se quelle piccole gocce volessero entrare per cercare riparo dove lei non ne aveva trovato.

Non voleva stare chiusa dentro quella stanza un momento di più. Come poteva essere un luogo familiare e inospitale al tempo stesso? Non lo sapeva, ma una cosa era certa: casa sua era così.

Aveva avuto l'ennesima discussione con suo padre. La guancia le bruciava ancora per lo schiaffo che le aveva dato. L'ennesimo di una moltitudine. Si accarezzò delicatamente la pelle arrossata del suo viso come non avrebbe fatto mai nessuno.

Suo padre non era sempre stato così. Un tempo la viziava, la riempiva di attenzioni e coccole e amava i suoi capelli rossi. Poi le cose erano cambiate e così il suo intero mondo. E ora suo padre non tollerava più la sua vista.

Si prese di coraggio e aprì lentamente la finestra per non fare rumore. Uscì dalla stanza e la pioggia cominciò a bagnarle i vestiti e ad appiattire la sua folta chioma ramata.

Aveva ancora in mente il messaggio che le aveva mandato. Voleva vederla e lei come una ragazzina qualunque era arrossita e aveva sorriso come un'idiota. Sentiva il peso del suo cellulare nella tasca destra dei suoi pantaloni come il peso delle aspettative che aveva per quella serata.

Oltrepassò il vialetto e vide la sua macchina. La macchina dove si vedevano continuamente di nascosto. Odio e amore. Era un segreto e un posto sicuro al tempo stesso.

Aprì la portiera ed entrò nell'abitacolo. Era fradicia per via della pioggia e delle goccioline continuavano a scendere dai suoi capelli ramati bagnando il sedile.

«Cosa dovevi dirmi?» chiese piccata. Non avrebbe mai dato a nessuno la soddisfazione di essere felice di vederlo. Men che meno alla persona che aveva davanti.

Delicatamente poggiò le punte delle dita sul suo zigomo arrossato dallo schiaffo e lei si perse in quel tocco confortante.

«Non è nulla. Sai com'è fatto mio padre» si guardarono fissi negli occhi per qualche secondo, poi lei sorrise «Portami via di qui»

Le dita si allontanarono dal suo viso per poggiarsi sul volante dell'auto. Guardò per pochi istanti casa sua e vide la luce della camera di suo padre spegnersi, segno che stava andando a dormire. Non si era accorto della sua fuga. Bene.

Vide la strada dove era cresciuta passarle velocemente davanti agli occhi e il peso che aveva sullo stomaco si librò in aria lasciandola godere del panorama che le si stagliava di fronte. Anche solo per qualche ora lei sarebbe stata libera. Libera da suo padre e dai fantasmi che infestavano quella casa. Libera dalla sua vita.

Quel pomeriggio non c'era molto lavoro da fare in centrale. Non c'era mai troppo lavoro da fare, a dire il vero. Non succedeva niente a Kilburgh. Proprio niente. E la maggior parte dei suoi uomini aveva scelto quella carriera proprio per questo. Non succedeva mai niente a Kilburgh. Per questo quando Howard Greeves, lo sceriffo della contea, rispose al telefono quel giorno non si aspettava nulla rispetto al solito ubriacone molesto per le strade. Nulla di più diverso e inaspettato. Una ragazza era scomparsa.

Nadia Rosbow, sedici anni, capelli rossi come le braci d'inverno, era scomparsa dalla sua abitazione. A fare la denuncia suo padre, Edward Rosbow.

«È fuori controllo quella ragazzina» stava dicendo allo sceriffo «Non mi dà mai retta e ora scappa così»

«Quindi crede sia un allontanamento volontario?»

«Non lo credo, lo so. Quella è tutta come sua madre»

Mentre lui parlava con il padre di Nadia, i suoi colleghi facevano un sopralluogo in camera sua. Sembrava tutto in ordine. Il letto era rimasto intatto, probabilmente rifatto la mattina precedente prima di andare a scuola e mai più utilizzato. Non mancavano vestiti ne nient'altro.

«Non troviamo il telefono» lo informò Stevenson una volta che furono tornati in centrale.

«Che cosa pensi, sceriffo?» chiese Heyward.

Howard si tolse il capello da sceriffo e lo poggiò sulla sua scrivania prima di sedersi «Allontanamento volontario»

«Ma non manca nulla in camera sua, come fa ad essere volontario?» Stevenson lo stava guardando con tanto d'occhi e Greeves sospirò.

«Volete sapere cosa penso io? Ecco cosa penso. Avete sentito come ne parlava suo padre? Come se fosse contento che si fosse finalmente tolta dai piedi. Immaginate l'aria che tirava in quella casa»

«Ma se è scappata, perché non portarsi qualcosa con sé?» chiese Heyward.

«Lo ha fatto» i due poliziotti lo guardarono confusi e Greeves continuò «Ha portato con sé il telefono. Al giorno d'oggi è l'unica cosa che conta veramente per questi ragazzi. I vestiti si ricomprano al primo lavoro che troverà»

«Non rintracceremo il telefono, quindi?» chiese Stevenson confuso.

«Di solito i ragazzi scappati di casa resistono un giorno senza accendere il telefono. Se saremo fortunati, la intercetteremo e la riporteremo a casa. Caso chiuso»

Congedò i due colleghi e rimase finalmente da solo nel suo ufficio. In cuor suo sperava di non trovare mai più Nadia per non essere obbligato a riportarla da suo padre. E in parte il suo desiderio fu avverato. Il telefono di Nadia non si riaccese mai più e la ragazza sparì nel buio della notte.

Almeno per ora.

Valley Of Secrets || Rudy PankowDove le storie prendono vita. Scoprilo ora