𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 5

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𝙲𝚜𝚊𝚕á𝚍 é𝚜 𝚑ű𝚜é𝚐.

ɪʀɪɴᴀ

24 Settembre 2011
Tenuta dei Fagarò,
New Orleans, Louisiana, USA
Ore: 6:47

Era già sorta l'alba quando intravidi il tetto spiovente della mia vecchia casa. Le tegole rossicce erano tutte scurite dalla pioggia caduta nella notte e toccavano il cielo sbiadito. Il vento muoveva appena i rami, le foglie dei tre alberi che affiancavano un lato della casa. Alti e robusti, quelle querce, erano esattamente come le ricordavo.

Mi sembrava di essere in uno dei miei sogni, vagante e smarrita come un lupo solitario.

In quella tenuta, proprio là, dietro quelle lunghe colonne bianche, dietro le mura giallastre, le finestre in legno e lo sfarzo di un mondo salato, là, era serrato il mio cuore, perché era lì che l'avevo abbandonato, era lì che avevo scordato la mia anima, tutto.

Quando scesi dall'auto, davanti alla tenuta, alzai lo sguardo al suono distante, rauco e familiare di un corvo. Rumoreggiava assieme alle foglie delle querce e ai ramoscelli che si scontravano con le mura della casa spinti dalle brezze leggermente fredde del mattino.

Lo cercai angosciosamente quel corvo fino ad alzare il mento. Una macchia nera si muoveva sulla punta di un abbaino, quello al centro tra i tre sopra il tetto. Muoveva il becco a scatti, mi sembrò che stesse guardando giù, che stesse assistendo di proposito al mio ritorno o forse alla mia fine.

Ormai era evidente che andavo errando aggrappata a qualsiasi cosa mi potesse tirar fuori dalla mia stessa mente.

Fu sempre una smorfia a rompere il mio silenzio.

Sollevai la mano e sfiorai il piccolo crocifisso al collo con due punte di dita e poi, quasi per istinto lasciai un'occhiata scialba e impettita negli occhi di Edgar.

Mi stava guardando, mi osservava fermo in piedi a due o tre passi da me. I suoi occhi scesero di nuovo sulla mia mano, sul mio gesto concitato che dopo anni avevo ricominciato a fare.

Per la prima volta mi diede l'impressione che sotto sotto si facesse un'infinità di domande sul mio conto e che non si fermasse soltanto alle apparenze. Che non si fermasse a pensare che ero soltanto una fuggitiva, una ragazzina che aveva portato disonore alla sua famiglia.

Purtroppo, esattamente com'era comparso, così, quel pensiero svanì.

Era del tutto inutile considerare che uno come lui avesse in qualche modo questa capacità di guardarmi dentro.

Lui era uguale a tutti gli altri della sua specie e non si sarebbe mai piegato per me.

Si voltò, impassibile e senza più alcun interesse per me e si avviò verso la porta. Dovetti seguirlo, non perché mi sentii obbligata a farlo, ma perché una volta ero stata io la padrona di quella casa e non avrei mai mostrato il contrario, nemmeno a me stessa.

Fu Beth ad aprire la porta. Quella donna non era cambiata per niente, parve la stessa del giorno in cui me ne andai, una donna magra e alta, triste in volto, come se non sorridesse mai per principio. Non mi degnò nemmeno di uno sguardo, tenne la testa bassa e ci invitò a seguirla fino alla sala da pranzo del primo piano. Non trovai più alcuna familiarità nell'odore della casa, anche se lo cercai disperatamente, non lo sentii. I mobili che arredavano gli angoli all'entrata non erano gli stessi. Erano stati cambiati, i quadri di mio padre erano spariti e i miei ricordi praticamente cancellati.

Provai rabbia, sentii un irrefrenabile sentimento di ripugnanza.

Che cos'era quel posto?

Che fine aveva fatto la casa in cui ero cresciuta?

Devotion // Famiglia e Lealtà //Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora