𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 10

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𝚄𝚗𝚊 𝚙𝚛𝚘𝚙𝚘𝚜𝚝𝚊.

ɪʀɪɴᴀ

4 ottobre 2011
Paradise, Las Vegas,
Nevada, USA,
Ore 18:58

I giorni si fecero sempre più corti.

La mattina e la sera sembravano congiungersi in uno scatto breve come un sospiro. L'angoscia bussava al mio cuore ogni mattino, durante la colazione, mentre me ne stavo seduta sulla loggia e le domande si accantonavano una dopo l'altra.

In poco meno di una settimana cominciai a ribaltare i miei pensieri, a nutrire una sorta di oblio e c'erano diverse ragioni per cui l'oscurità mi avvolgeva più che mai.

La prima ragione era Edgar Dutton.

Dopo quella sera, a seguito della lite, cambiai le mie giornate, feci di tutto per non permettergli più di toccarmi. Qualche volta mi sbronzavo da star male, e altre volte, quelle in cui mi ritenevo fortunata, lui non veniva nemmeno a casa. Cominciai a uscire più spesso, a sperperare i suoi soldi e a far preoccupare Markus.

Me ne fregavo.

In fondo non avevo nulla da dare e nulla da prendere, nulla da dimostrare e nulla da celare.

Mi sentivo come un vento passeggero, intrappolato tra i rami di una fitta foresta. Giravo attorno alle foglie, le scostavo, eludendole, in cerca di una via di scampo ma quella non capitava, mai.

Non ero nemmeno una vittima.

Cominciai a credere di essere nata per starmene zitta e buona, in ginocchio, ai piedi di un uomo.

A quel pensiero ridevo scriteriata.

Ridevo perché forse mio padre non mi aveva mai vista come una sua erede. Mi aveva vista come un mezzo per arrivare a uno come Edgar Dutton, un altro figlio della malavita, un altro criminale che avrebbe sostituito i figli maschi che gli erano stati tolti.

Eppure non potevo saperlo e non riuscivo a vendermi del tutto quell'idea.

Mio padre era stato un uomo troppo buono.

Non aveva ragione di farmi una cosa simile, allora perché aveva firmato quel contratto?

Perché?

La seconda ragione, aveva origini più profonde.

L'anniversario della sua morte si stava avvicinando.

Sarebbero stati ufficialmente cinque gli anni trascorsi dalla sua scomparsa.

Cinque fottutissimi anni.

Ogni anno diventava sempre più difficile superare quella data e quell'anno lo sarebbe stato ancora di più.

Sospirai inquieta, quei pensieri mi estorcevano l'ossigeno.

Quel martedì sera sembrava essere uno tra tanti, insignificante e inconcepibile. Pareva l'ennesimo giorno che non avrebbe portato a nulla.

Mi sbagliavo e non lo sapevo.

Seguii svogliata gli edifici della città che mi passavano davanti con una sequenza rapida, difficile da afferrare. Gli occhi mi oscillavano svelti mentre sondavo i giochi di luce che le insegne a neon dei locali creavano su parte del mio volto attraverso il vetro oscurato dell'auto.

Las Vegas era una bella città. Mi rubava il fiato viverla con il rancore e il buio che mi pesava sull'anima ma, sotto sotto, sembrava un bel modo per comprenderla.

La notte, il caos, i segreti, appartenevano tutti ad essa e io la coglievo a braccia aperte.

Presi fuori dalla borsetta il bigliettino di Otto e lessi sul foglio, ormai spiegazzato dalle tante volte che l'avevo fatto, la sua calligrafia. Me la ricordavo bene.

Devotion // Famiglia e Lealtà //Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora