𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 4

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𝙱𝚞𝚒𝚘
ɪʀɪɴᴀ

24 Settembre 2011
Dutton E953,
USA
Ore: 3:47

C'erano stati momenti di quelle ultime ventiquattro ore in cui avrei voluto urlare, gridare così forte da grondare sangue, sputarlo a terra, e poi ridere come una folle.

Non tolleravo più me stessa.

Non tolleravo più le scelte che facevo o quelle che mi venivano imposte.

Mi sentivo un peso morto. Sentivo di esserlo diventato nel momento in cui avevo scelto di crepare per mano di Edgar Dutton.

Perché?

Perché l'avevo fatto?

Avevo sempre pensato, fino a quel momento, che nell'attimo in cui si è sul punto di morire si vede tutta la vita passare davanti agli occhi, allora perché io non avevo visto nulla? Neanche la più minima puttanata che avevo vissuto non mi era passata per la testa.

Avevo chiesto perdono a mio padre come se lui non fosse parte del problema.

Non potevo capirlo, non ero in grado di andare a fondo a quello che provavo.

Ormai era tutto incerto.

Seguii l'uomo che teneva in mano il mio futuro completamente incatenata al mio stesso silenzio, ai miei dubbi e ai miei rimorsi. Si mostrò indifferente a quello che mi aveva fatto, ma ancora di più a quello che non aveva fatto.

Non mi aveva toccata.

Il suo fiato sulla mia pelle non era stato parte della mia immaginazione. L'avevo sentito, avevo letto nei suoi occhi tanta di quella malferma lussuria che ero sul punto di accettare pure quella fine.

Che cosa l'aveva fermato?

Dubito che le mie preghiere fossero servite a qualcosa.

Avrei voluto tanto aprire la bocca e avere una riposta a tutto, ma non ci riuscivo.

In fondo al cuore bruciavo dalla disperazione, era come se per la prima volta avessi aperto gli occhi e mi fossi guardata attorno.

Avevo scelto di morire.

Avevo scelto la morte eppure, non lo volevo più.

Volevo altro.

Volevo molto di più dalla vita malgrado essa non volesse più nulla da me.

Un jet era pronto per il decollo sulla pista privata dell'aeroporto di Sacramento. Alcune raffiche d'aria fecero vorticare delle gelide brezze attorno a me quando scesi dall'auto. Mi fermai e alzai gli occhi per leggere l'incisione del nome sulla coda del jet.

Dutton E953.

Doveva trattarsi di un mezzo della famiglia o soltanto suo.

Rabbrividii al freddo che si scontrava contro la mia pelle, ma ancora di più al ricordo che avevo del piccolo jet che usava mio padre. Al ricordo di quando lo attendevo sulla pista, quando tornava da un suo viaggio d'affari e gli si illuminava il volto ogni volta che mi trovava lì.

Procedetti verso le scale a testa bassa, ricordare faceva male, no, di peggio, mi faceva sentire deteriorata dal sangue che mi scorreva nelle vene. Faceva male realizzare che la stessa persona che mi aveva guardata in quel modo, era anche la stessa che mi aveva promessa a un completo estraneo.

Ancora un altro perché venteggiò nella mia testa.

Presi posto sul primo sedile che trovai, ignorai la presenza di altri passeggeri sul jet. Tutti uomini di Edgar, pensai, e mi accomodai in un posto vuoto accanto all'oblò. Poggiai il borsone sopra il grembo e aspettai, aspettai che il mio prossimo passo mi fosse più chiaro.

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