𝚂𝚒𝚕𝚎𝚗𝚣𝚒𝚘.
ɪʀɪɴᴀ
Non avevo mai covato quella degradazione.
Il male aveva bussato alla mia porta quella sera e io gli avevo aperto. Un male che più a lungo guardavo, più capivo che forse avrei dovuto farmelo amico altrimenti quello mi avrebbe distrutta. Ero già stata spezzata, più di una volta, la vita aveva giocato con me, mi aveva manovrata come un burattino ma se soltanto, per un secondo, avessi assaggiato un po' di quella tossina che cresceva dentro di me forse, avrei smesso di soffrire, avrei smesso di provare quei sensi di colpa che mi accecavano tanto da bruciarmi l'anima.
Solo che pareva troppo facile.
Un po' come un gioco truccato, sai che qualcosa non quadra, sai che ogni mossa non ti porterà mai alla vittoria perché c'è qualcosa o qualcuno che dirige le danze e tu sei parte di una farsa.
Eppure io quella partita in qualche modo la volevo chiudere e per farlo si doveva per forza vincere.
Il motore del SUV aveva smesso di ruggire dopo aver lasciato dietro di sé un polverone di sabbia. Le gomme avevano frenato lungo un percorso di sassi, sabbia e terra. I fari accesi inscenavano nel loro bagliore la danza della sabbia che vorticava ancora nell'aria.
Battei le ciglia bagnate, la mia gola secca lasciava passare l'aria e ogni boccata diventava sempre più facile, più fluida. Con un piede annodato dalle catene dei miei demoni e l'altro libero, potevo vedere in faccia la mia disparata ricerca di cambiare, di capire come avrei potuto salvarmi dalle voci che mi tormentavano.
Così tante volte mi ero imbattuta nel pensiero della morte che ogni volta che tornavo a galla ero sempre più affamata di vita e non solo, ero indigente di una mano calda che mi sfiorasse, che mi rendesse quella salita in superficie meno ardua.
Guardai la fede, il mio posto in un mondo che volevo prendere in mano e presi in pugno la croce al mio collo, quel mondo che avevo ormai smarrito.
Che cosa avrebbe detto mio padre in quel momento, che cosa avrebbe voluto lui da me?
Quell'uomo che non aveva pianto nemmeno la morte del proprio figlio. Quel uomo che mi aveva voltato le spalle e portato con sé tutta la mia quiete.
Nella mia testa, il silenzio era pronto ad accogliere qualche ricordo, qualche sua puttanata di saggezza.
Non disse niente.
Niente di niente.
«Non ignorarmi, mi hai messa tu in questa posizione.» parlai con il nulla ferma a una decina di metri dalla strada, completamente al buio.
Tutto taceva.
«Figlio di puttana!» imprecai.
E poi di nuovo, silenzio
Scoppiai a ridere come una pazza ma cazzo se era divertente quel suo giochetto. Stavo cercando la voce di un'anima ormai spenta da tempo. «Quando non ho bisogno di te, sei nella mia testa e quando mi servi, non dici un cazzo?»
Silenzio.
Avvilita, girai la chiave e feci ruggire nuovamente il motore. Svoltai la macchina e presi la via del ritorno, sfrecciando via da quel luogo dove avrei potuto lasciarci la pelle.
Appena Las Vegas cominciò ad illuminare l'orizzonte, io deviai, svoltando nel posteggio buio accanto a una tavola calda ancora aperta, un minimarket e un bar la cui insegna a led non funzionava più.
A quell'ora ero certa che Edgar fosse già stato informato della mia fuga e tanto valeva aspettarlo davanti a un bicchiere di qualcosa, qualcosa di forte che mi cancellasse il tormento e l'immagine di quella ragazza sorridente nella sua culla. No, quella non l'avrei mai dimenticata, quella sarebbe rimasta per sempre e forse il suo destino sarebbe stato propria quello, ricordarmi che i mostri sono veri e io sono una di loro.
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Devotion // Famiglia e Lealtà //
ChickLit[La trilogia è completa] Un contratto di matrimonio. Un accordo terribile. Uno sconosciuto dalle mani gentili. Lei gli è stata promessa e lui ha fatto una promessa al padre per averla. Edgar Dutton e Irina Fagarò sono due opposti, due figli della ma...