𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 24

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𝙰𝚗𝚝𝚒𝚍𝚘𝚝𝚘

ɪʀɪɴᴀ

Mi destai dal sonno di soprassalto.

In una questione di attimi, mentre il buio della stanza mi accoglieva, rimettevo insieme gli ultimi momenti che ricordavo.

Il freddo polare mi percosse all'immagine tersa di quella ragazza, al sangue che la circondava. Non tentai la fuga da lei, dal suo volto, anzi mi torturai girando il coltello nella piaga ripassando ogni dettaglio che avessi memorizzato.

Mi stavo facendo del male e ne ero consapevole eppure non riuscivo a smettere, non riuscivo a gettare la spugna.

Mi portai a sedere, accanto a me non c'era nessuno, soltanto un mucchio di lenzuola sfatte e fredde, e lo scroscio del getto della doccia rumoreggiava piano nelle mie orecchie.

Lì per lì, mi sentii smarrita.

Rammentavo solo la stanchezza e l'opprimente debolezza che aveva messo il mio corpo in ginocchio. Mi toccai il petto, cercai di sfiorare la piccola croce, soltanto per accorgermi di non avere più il vestito addosso.

Ero nuda.

Rabbrividii all'istante, cercando di coprirmi come se provassi vergogna davanti al nulla, davanti alle luci tenui che si facevano spazio nella stanza disfacendo le ombre dei mobili.

Non avevo la più pallida idea di cosa fosse accaduto a seguito dello svenimento ma non mi venne nemmeno difficile immaginare chi fosse stato a portarmi lì o chi fosse stato a togliermi l'abito. Meno avrei badato a quel pensiero più sarei stata lucida.

Cercai l'ora.

Erano quasi le cinque e mezza del mattino.

In fondo alla stanza vidi le due sedie accanto alla cabina armadio. I vestiti di Edgar ne occupavano una e sull'altra vi era il mio abito. Diedi un'occhiata svelta alla porta socchiusa del bagno prima di alzarmi dal letto e raggiungerle. Afferrai la camicia di Edgar e la indossai e mentre incastravo i bottoni, i miei occhi caddero sulla sua pistola. Questa sporgeva da sotto i pantaloni.

Deglutii, attratta da quell'arma lasciata lì incustodita e senza pensarci la presi in mano. Davanti ai miei occhi la fissai un po' persa.

Sotto sotto, un sorriso o qualcosa di simile mi scaldò, si insinuò tra le mie angosce e mi incatenò l'anima a un respiro più leggero.

Non l'aveva ucciso.

Edgar mi aveva dato ascolto.

Passai le dita sui solchi che non avevo mai notato su di essa. C'era la figura di un piccolo serpente in argento sul fondo dell'impugnatura. Un piccolo dettaglio che trovai attraente malgrado ne fossi ancora allo scuro della sua storia.

«Mettila giù, Irina.»

Soffocai un sussulto alla voce profonda e bassa di Edgar.

Voltai la testa di scatto incrociando i suoi occhi.

Stava sulla soglia della porta del bagno, a torso nudo con soltanto un asciugamano avvolto in vita. I capelli bagnati e spigliati, lo fecero sembrare molto più giovane di quanto non lo fosse già. Tra i suoi tratti vili e le fattezze angeliche mi trovai di nuovo in difficoltà. Mentre lui mi osservava con quello sguardo penetrante, come se vedesse tutto dentro di me, come se fossi un libro aperto per lui, io mi trovavo davanti a un muro. Una vera scostante era lui eppure quel mattino il rodimento di non poter leggere oltre quella sua maschera non mi feriva.

«Non stavo...», per un secondo ero lì che volevo giustificarmi sul perché avessi la sua arma in mano e poi mi morsi la lingua. «Non avevo mai notato il serpente.» mormorai pacata rimettendola dove l'avevo trovata.

Devotion // Famiglia e Lealtà //Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora