𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 15 (2)

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𝚃𝚞 𝚜𝚞𝚜𝚜𝚞𝚛𝚛𝚒 𝚎 𝚕𝚘𝚛𝚘 𝚌𝚊𝚗𝚝𝚊𝚗𝚘.
ɪʀɪɴᴀ

Come qualsiasi altro evento a cui avessi mai partecipato, anche quel giorno mi sentivo nient'altro che un'attrazione. Dietro le spalle di Edgar forse gli sguardi diventavano più discreti ma sentivo ugualmente ogni sfioro del loro giudizio, fiutavo quella gente mediocre anche senza doverla guardare a mia volta.

Non sapevo nemmeno chi fossero tutti quei volti che si allungavano per scrutarmi.

Il salotto scelto per i festeggiamenti era il più grande in tutta la villa. Piazzato al secondo piano, con un soffitto alto e tre lampadari guarniti di minuscoli cristalli a goccia, a seguire la forma lunga e stretta della sala. Le grandi finestre su un lato si affacciavano tutte su un terrazzo abbastanza largo da contenere altri tavoli e ospiti. I calici di cristallo brillavano su ogni tavolo sistemato all'estremità della sala e tra decorazioni di rose e tovaglie rosse al centro tavola, dei candelabri in vetro con cinque candele dal lume acceso, contrastavano la luce calda e tenue dei lampadari. Una musica raffinata riempiva gli angoli e foderava le chiacchere dei presenti ma non badavo tanto a quella esagerata e appariscente messinscena. Il cuore mi galoppava forte nel petto mentre seguivo Edgar a testa alta e la sua scia di un qualche profumo costoso mi abbracciava.

Avevo un piano.

La mia unica certezza, era l'esistenza un qualcosa di più grande di me.

Ma non volevo ammettere la sconfitta, ero ostinata a credere di non essere ancora inciampata.

L'incontro con il padre di Edgar mi rese ogni passo nebbioso.

Sapevo bene che volevo delle risposte su questo matrimonio e il sospetto che avevo avuto sul coinvolgimento di quel uomo mi agitava.

Immaginai un uomo rude, qualcuno con la faccia opposta a quella di mio padre. Per aver creato qualcuno come Edgar era difficile non pensare a un temibile pezzo grosso della malavita.

Lo incontrammo appena prima che lui svoltasse l'angolo per entrare nella sala.

Il mio passo si arrestò all'istante e Edgar proseguì per quei tre metri senza di me.

Osservai tutto con il fiato sempre più corto.

L'uomo si avvicinò a suo figlio per salutarlo.

Era alto all'incirca quanto Edgar, capelli lunghi fino all'incavo del collo, grigi con filiformi striature scure, gli incorniciavano il volto snello. Indossava un abito elegante marrone scuro, con una sciarpa rossa come il vino, sottile e chic attorno al collo, con le estremità lasciate lungo i bordi della giacca aperta.

Mi accorsi subito che era solo in compagnia di due uomini, forse due bodyguard.

Mancava un componente.

La madre.

Dov'era?

Non sorrise guardando Edgar, lo abbracciò con un volto passivo e gli disse qualcosa sopra la spalla e poi i suoi occhi videro me.

Scuri e minatori, mi osservarono senza alcuna esitazione.

Nello stesso istante, anche Edgar si voltò e mi sentii a disagio, intimorita dal modo in cui mi scrutarono, così presi il coraggio e mi avvicinai senza mostrare timore.

Non ero lì per piegarmi, ero una di loro, dopotutto.

Alzai la mano per prima e sorrisi. «Signor Dutton, è un piacere conoscerla finalmente.»

Gli occhi dell'uomo si rilassarono, il suo sguardo prese a guardami con meno distacco. Afferrò la mia mano nella sua e fece un breve cenno col capo. «Mia cara Irina.» disse la sua voce profonda e amabile, «Non sai quanto sono felice di averti come figlia

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