XV

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Martin, Uriel e Rey vagavano per i corridoi del palazzo, dirigendosi verso il Salone. Il castello non era troppo grande, ma era pieno zeppo di corridoi, tutti vagamente uguali.
"Siamo già passati di qui" commentò Uriel fermandosi. Martin si guardò intorno e sospirò pesantemente.
"Arriveremo in ritardo. Siamo già passati da destra, proviamo a..."
"È inutile, mostro. A destra andrai verso le cucine, a sinistra andrai verso le camerate della principessa" disse una voce gracchiante, lenta e fastidiosa. I tre si voltarono a guardare verso un angolo del corridoio. Qui nascosto, vi era rannicchiato il gobbo servo, Say.
"Va' via, schifosa pustola" ringhiò Uriel. Posò la mano destra sulla spada, avvicinandosi pericolosamente al servo, ma Martin lo prese per un braccio fermandolo.
"Non essere impulsivo" gli sussurrò all'orecchio, e osservò mentre l'amico posava la spada e si allontanava con le mani sui fianchi. Martin si spostò il mantello, e si avvicinò.
"Say"
"Altezza" ribatté il gobbo inchinandosi.
"Puoi indicarci la strada per il Salone Est?" Chiese Martin gentilmente. Say guardò sott'occhi Rey, poi spostò nuovamente lo sguardo su Martin e annuì. Si incamminò, zoppo, attraverso i candidi corridoi.
Nessuno proferì parola, e dopo varie svolte finalmente si fermarono davanti ad un portone in legno pregiato. "Eccoci signori" disse soltanto, e si allontanò lentamente.
I tre amici lo guardarono sospettosi, finché Martin non aprì il portone deviando così l'attenzione.

Il Salone non era troppo grande: era una sala rettangolare, che presentava due volte laterali. Le colonne erano in marmo rifinito e al centro della stanza si presentava un lungo tavolo con all'incirca 12 sedie attorno, posato su un ovale tappeto blu lapislazzuli. Alzando il capo, si poteva osservare il soffitto decorato con quello che sembrava un cielo brillante, più chiaro rispetto al colore del tappeto.
Ai due capi del tavolo erano seduti il re e la regina. Gli sorrisero, e gli fecero segno di sedersi con loro. Martin si sedette ad un capo del tavolo, mentre Uriel e Rey dall'altro.
Tra loro vigette il silenzio finché non furono servite le pietanze: il tavolo venne riempito da varie insalate, frutta e un tacchino grasso posato al centro. Venne servito il vino, ed iniziarono a mangiare.
"Allora" spezzò il silenzio re Florer, prendendo un sorso dal suo calice.
"Potremmo aver trovato una soluzione" continuò guardando sua moglie, che annuì. Martin abbassò le posate e si voltò a guardarlo.
"Ci illustri maestà"
"Domani, alle 10 in punto, partirà dal porto di Baco una nave mercantile... diretta a Soleya" disse con voce gentile e profonda.
Martin lo guardò dubbioso.
"Soleya? Come può aiutarci un popolo oltre mare? Inoltre Cambee ha un pessimo rapporto con Soleya, non verremo accolti piacevolmente" concluse Martin. Il Re si massaggiò il mento e la corta barba, unendo poi le mani sul tavolo.
"Soleya è un popolo pacifico. Non dichiara guerra, piuttosto si ritira. Abbiamo mandato una lettera al sovrano ieri sera, la risposta arriverà tra non molto per via "aerea". Ma sono più che certo che sarà positiva" concluse.
Martin ci pensò su, poi si alzò e si inchinò al re e alla regina, ringraziandoli. Uriel e Rey preferirono lasciare certi affari ai reali, restandone semplicemente fuori. Finirono di mangiare tra innocue chiacchere e curiose domande, alleggerendo così la tensione che si era venuta a creare.
Una volta finito, i tre amici iniziarono a dirigersi verso l'uscita, quando un cavaliere entrò di corsa portando con sé un bigliettino.
"Maestà! Re Simeon ha dato la sua approvazione" disse affannato. Con un cenno del capo del re, il cavaliere si dileguò fuori. Spostò poi lo sguardo su Martin.
"Grazie, altezza" rispose quest'ultimo, e i tre amici uscirono. Il giovane principe tuttavia, si fermò sull'uscio della porta, facendo cenno agli altri due di andare avanti.
"Altezza..." Si girò nuovamente verso di lui. Il Re gli prestò la massima attenzione, mettendosi sull'attenti.
"Ieri...lei mi aveva scambiato per mio fratello. Ha chiamato Arthur 'il fallimento'. Che cosa intendeva?" Chiese Martin dubbioso. Re Florer sospirò pesantemente, non aspettandosi che ricordasse tali parole. Ancora in dubbio se rivelargli ciò che sapeva o meno, fece segno a Martin di avvicinarsi e sedersi al suo fianco. La regina Major si spostò, sedendosi all'altro fianco di suo marito, con in volto un'espressione dolce e materna, un'espressione che mancava nelle memorie di Martin.
"Devi sapere, che re Luther non si è mai sposato. O così sapevamo, finché non ti abbiamo visto" gli confessò il sovrano. Sul volto del giovane principe si disegnò un'espressione dubbiosa. "No, mio padre si è sposato, e ha avuto Arthur come primo figlio. Anni dopo sono nato io come scorta del principe ereditario, ma nostra madre morì per caso durante il parto" si difese Martin. Re Florer scosse lentamente la testa, negando le sue parole. "Devi sapere, che 24 anni fa, giravano dell voci. Voci che poi si sono rivelate vere, e che sono state messe a tacere grazie alla tua nascita" gli spiegò vagamente.
"Io non capisco...quali voci, che verità?"
"Arthur è in realtà il tuo fratellastro" disse secco il re. Martin si prese un attimo, rimanendo di sasso. Aveva lo sguardo lontano, posato altrove, mentre elaborava le informazioni.
"24 anni fa" continuò il re: "Luther venne accusato di aver avuto un figlio da una delle sue solite concubine. Le voci si inasprirono e aumentarono quando Arthur venne allo scoperto, diffondendosi poi in ogni terra e regno a noi vicino. Luther negò, ma quando la concubina in questione, la madre biologica di Arthur, confessò, tutti ne ebbero finalmente prova. Luther cercò di insabbiare la questione, ghigliottinando innanzitutto la cortigiana, ed eleggendo Arthur come Principe Ereditario. E adesso, tu sei la terza prova vivente, del suo futile nascondino" finì. Martin non poteva crederci. Arthur non è suo fratello, aveva ragione. Decine di domande iniziarono a formarsi nella mente di Martin, domande a cui non sapeva dare risposta, domande a cui non sapeva se voleva risposta. Arthur ne era a conoscenza? Chi era allora la sua vera madre?
Perse la testa. Si alzò dal tavolo e salutò con compostezza i sovrani, andandosene poi a testa basta.
Riuscì a trovare la strada per la sua camera, e ci si rifugiò dentro, chiudendola a chiave. Voleva solo smettere di pensare.

Soldier, Poet, KingDove le storie prendono vita. Scoprilo ora