XVIII

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"Morgan. Morgan Turbey" si presentò il giovane. Fece poi strada ai tre amici per uscire dal bosco, dirigendosi verso il palazzo.
"Rey, ma lui...è uguale a te" gli sussurrò Martin, mentre camminavano dietro il giovane.
"Beh, non proprio uguale" contestò Uriel, attirando l'attenzione di Martin.
"Ora ci parlo io...ehy!" Chiamò Martin, e corse davanti posizionandosi di fianco a lui, lasciando Uriel e Rey soli e imbarazzati.
"Ehy, Moran--"
"Morgan" lo corresse.
"Si, Morgan. Sei qui da molto?" Chiese Martin. Morgan lo guardò stranito, squadrandolo per un momento. "Dalla nascita direi"
"Ah...e allora i--" Iniziò, ma venne interrotto dal ragazzo, che alzò il passo e ed esclamò: "Siamo arrivati". Davanti a loro si ergeva un alto castello. Aveva i tetti dorati e solide pareti bianche. All'entrata del portone Morgan mostrò una pergamena firmata alle guardie, che lo fecero passare senza proferir parola. L'interno era enorme: le pareti bianche facevano risaltare i soffitti dorati, lo stesso per la pavimentazione in granito ricoperto da un lussuoso tappeto rosso. Alle pareti erano appesi una serie di quadri, sotto di essi i nomi di vari aristocratici. Arrivati davanti all'entrata della sala del trono, Morgan si voltò verso i 3.
"State per incontrare i sovrani di Soleya. Saprete già, suppongo, del rispetto che dovete loro" disse, poi si girò e spalancò le porte. La sala del trono era grande: erano presenti tre troni - il terzo più piccolo. Il tappeto sul pavimento ora tondo, bianco e dorato, in tinta con le candide mura. Sulla parete destra era posizionato un grande quadro, che vedeva tutti i membri della famiglia reale. Erano in tanti, donne, uomini, bambini, anziani e ragazzini.
La sala del trono era rimasta vuota fino a quel momento, fino a quando una piccola risata non rimbombò tra le mura. "Luis! Signorino, la prego!" Si sentì poi un voce di donna. I 4 ragazzi si voltarono verso il portone che dava sul corridoio, e immediatamente vennero investiti da un bambino. Avrà avuto circa 7 o 8 anni, e correva per la sala in camicia. Dietro di lui entrò correndo affannata una Balia, tra mani aveva una giacchetta blu.
"Non voglio! Non voglio metterla! Prude, è brutta, ho caldo, non voglio!" Gridò con voce acuta il bimbo. Questo aveva capelli rossi tendenti al castano, ricci e spettinati. Aveva due grandi occhi verdi e una forma del viso delicata, accordata col la sua pelle candida come la neve. Martin si avvicinò alla Balia e prese la giacchetta dalle sue mani, avvicinandosi poi al bambino.
"Ciao" salutò gentilmente, accasciandosi davanti a lui. "Ti chiami Luis? Che bel nome da principe che hai. Lo sai che anche io sono un principe?" disse, e gli occhi del bambino si spalancarono. "Davvero? Di dove? Io mi annoio qui da solo, mamma dice che devo giocare solo con altri principi" gli confessò Luis, e Martin ricordò la sua gioventù, quando suo padre gli vietava di passare troppo tempo coi 'ranghi' inferiori a lui. "Da Cambee. Posso giocare io con te" gli disse Martin, e il volto del bambino si riempì di gioia.
"Prima però...lo sai che tutti i principi portano queste giacche?" Arrivò al punto, mostrando al piccolo principe la giacchetta che aveva tra le mani.
"Ma non voglio metterla..." ripetè ancora sconsolato il piccolo. "Luis. Un giorno tu sarai re. E quando lo sarai, potrai decidere tutte le volte che vuoi se mettere le giacche o meno. Ma quel momento non è ancora arrivato..." gli spiegò Martin gentilmente.
"Quando sarò Re nessuno dovrà avere la giacca quando entra a palazzo. Tutti senza!" Protestò il piccolo principe, e Martin annuì. Luis prese la giacchetta dalle mani di Marti e sé la infilò. "Quando sarò re nessuno dovrà più soffrire mettendole" finì, e subito in quel momento entrarono due imponenti figure. La Balia si girò e si protrasse in un profondo inchino.
"Maestà" pronunciò. La regina fece un cenno con la testa, e la Balia si diresse fiori dalla porta. "Mamma! Guarda un altro principe con cui giocare!" Gli gridò Luis correndo incontro alla madre. Questa era alta, aveva un semplice abito di seta bianco, su cui ricadevano mossi capelli neri, e un viso pallido come la luna. L'uomo al suo fianco, era più alto e portava la divisa reale. Portava capelli rossi legati in più trecce, che gli scendevano sulle vesti, e una folta barba del medesimo colore. Gli occhi di lui erano verde smeraldo come quelli del figlio, ma la delicata pelle del piccolo gli era stata ereditata dalla madre.
"Vostre Maestà" pronunciò Martin con un piccolo inchino. "Sono il principe secondogenito di Cambee, Martin Austin Barnabur". Si presentò. Tuttavia, i due Reali rimasero pietrificati nell'udire il suo nome.
"Come hai detto...Martin...Austin?" Ripetè il re. Martin rimase interdetto, e la situazione si congelò per un momento. Finquando Morgan non prese parola. "Signori. Vi presento i sovrani di Soleya. Re Simeon Portor, la regina Faridel Toho Portor e loro figlio, Luis Austin Toho Portor".
I Reali si ricomposero per un momento, e si diressero verso il trono. "Vi attendavamo. Abbiamo avuto recenti notizie sulla situazione a Cambee" prese parola Re Portor.
Uriel si fece avanti e si inginocchiò: "vostra Maestà, sono Uriel Garcia, prima guarda reale del futuro re. Vi chiedo cortesemente di illustrarci per filo e per segno la situazione del nostro popolo" Chiese. Il Re si alzò, con le mani dietro la schiena: "alzati valoroso Uriel. Le tue gloriose imprese sono giunte sino a Soleya. E sarò più che onesto nell'illustrarvi ciò che sta accadendo a Cambee nei vostri mesi d'assenza" disse, poi abbassò il capo e continuò: "Re Luther Roland Barnabur III è morto. Pare si sia ammallato successivamente alla scomparsa del suo secondo genito. Sul trono ora, è salito al suo posto Arthur Luther Barnabur IV. L'incoronazione ha avuto luogo a Cambee 7 giorni fa" disse. Martin rimase paralizzato.
"Mio padre è--" Iniziò a fargugliare.
"Martin" lo chiamò Uriel. Quest'ultimo si avvicinò all'amico, e lo sorresse per un braccio. Martin lo guardò.
"È morto...mio fratello è-- è Re" ripetè fissandolo negli occhi.
"...se credi che il regno adesso prosperi, beh, ti sbagli di grosso. Re Arthur ha mandato migliaia di truppe a cercarti, muovendo guerra a diverse contee. Siete disertori. Uriel, ricercato e condannato a morte per tradimento al giuramento dei cavalieri alla corona; Rey, condannato a morte per crimini e diffamazione contro il regno, e la creazione di una setta segreta complottista contro il re; infine 'ex' Principe Martin. Condannato a Morte per assassinio del sovrano, e tradimento alla corona. È stata messa una taglia su voi e tutti i vostri conoscenti. Alcuni sono scappati. Altri si sono nascosti. Ma molti altri invece, sono morti" finì in tono serio. Martin aveva le lacrime agli occhi. Uriel era sul punto di scoppiare. "Non abbiamo--" Iniziò Rey con voce spezzata: "non abbiamo una lista dei...dei..." ma non riuscì a finire. Il Re scosse la testa, poi si rivolse a Martin: "Principe. Cosa avete intenzione di fare ora?" Chiese. Martin aveva lo sguardo perso. Cosa avrebbe fatto ora?
"Lei e i suoi amici potete richiedere asilo qui. Vivere come cittadini di Soleya. Dimenticare per sempre Cambee" gli propose. L'espressione di Martin tuttavia, cambiò rapidamente, e fissò il Re negli occhi, con aria decisa. "Maestà. La prego di ospitarci a Soleya per il tempo necessario di prepararci"
"A cosa?" Chiese il re.
"Alla guerra. Cambee è la nostra città. Il nostro regno. E finché sarò in vita, nessuno potrà mettere mano al trono del mio regno, o nuocere alla nostra popolazione" disse. Il re sorrise. "Soleya sarà la vostra seconda casa. Fate sapere se avete bisogno di qualcosa. Morgan vi accompagnerà ai vostri alloggi" finì il Re. Morgan si inchinò e li condusse fuori, quando il re richiamò Martin all'improvviso. Questo si girò: "Sei proprio come tua madre...lei ne sarebbe fiera" concluse, e Martin rimase interdetto per un attimo.
"Aspe-- conosceva mia madre?!" Chiese, ma le porte vennero chiuse, e non fece in tempo a porre la domanda. "Fammi parlare col re!" Chiese insistentemente a Morgan, ma questo impassibile si fece largo fra i 3 e si avviò lungo il corridoio.
"Seguitemi" disse, e così ancorsa svossi, fecero.

Lo seguirono fin fuori le mura del palazzo. "Dove andiamo?" Chiese Rey.
"Al vostro alloggio. I sovrani vogliono che abitiate tra la popolazione" disse.
"Ma il paese è lontano secoli da qui!" Protestò Uriel. Morgan si girò verso di lui. "Quello è il villaggio del porto. Noi andiamo nella capitale" disse, e continuarono a camminare. Fuori dalle mura, dopo pochi minuti di camminata, arrivarono in paese. Era molto grande, allegra e colorata. Le strade erano piene di locande e venditori, e posti in cui gli abitanti si sedevano per conversare, bere insieme o scommettere. I bambini disegnavano coi gessi su pareti e strade, e ai lati si potevano incontrare musicisti e giocolieri.
"C'è per caso una festa oggi?" Chiese Uriel. "No, perché?" Chiese Morgan perplesso. "E allora perché musica, giocolieri e... " Non continuò, guardandosi intorno come se fosse ovvio.
"È quotidianità qui. Le strade silenziose non sono tradizione di Soleya" disse ridendo. Attraversarono la strada, arrivando ad una casa. Aveva le pareti bianche, e il legno delle travi era ben curato. Morgan tirò fuori le chiavi per aprire.
"Ohibò! Morgan, che si dice ?" Salutò un signore seduto lì fuori su uno sgabello in legno. Aveva un boccale di birra in mano, era panciuto e con la barba bianca. I vestiti erano lerci di birra e terra.
"Tristor. Come mai da queste parti?" Chiese cordialmente Morgan.
"Sono venuto per le danze, inizieranno tra poco. Siete fortunati voi tre a vivere qui, quella lì - indicò un luogo dall'altra parte della strada con tavoli e sgabelli in legno fuori - è una delle locande migliori su questa strada. Io devo farmi i kilometri per venirci!" Disse ridendo, e prendendo poi un lungo sorso dal boccale. Morgan aprì la porta, e la spalancò.
"Vado Tristor. Ho ospiti di cui occuparmi" gli disse il biondo.
"Faccio un salto dai tuoi più tardi. Spero che tua madre cucini ancora!" Disse l'uomo. Morgan sorrise e abbassò il capo. "Certo. Ci vediamo" finì. Prima ancora di entrare però, l'uomo gridò: "anche voi 3! Siete i benvenuti a casa Turbey!" E prese un altro sorso di birra. Martin, Uriel e Rey entrarono e chiusero la porta.
"Scusatelo. È sempre così" disse Morgan., e continuò guardandosi intorno: "Bene. Questa è la vostra nuova casa. Vivrete insieme, spero non sia un problema" disse. Si diresse poi fuori:"ora devo scappare. Devo dire a mia madre che avremo a cena ben 4 ospiti" e sparì.
I tre amici si guardarono intorno. La casa era agrande e aveva ampie finestre su quasi tutte le pareti. C'era un cucinotto e un tavolo con tre sedie. Una poltrona al centro della stanza davanti ad un caminetto. C'era una piccola scalinata che portava al piano di sopra, in cui vi erano le tre stanze per loro e una latrina, con tanto di vasca. "La stanza più grande è mia!" Urlò Uriel correndo per le scale al piano di sopra. "Non ci pensare, stronzo!" Lo inseguì Martin. Rey rise al comportamento infantile dei due e si prese un momento per stare da solo nella sua nuova abitazione. Ma durò poco, poiché dal piano di sopra si udivano Uriel e Martin che litigavano per la stanza, e decise così di intervenire.
"La stanza più grande la prendo io. Voi due starete separati, uno a destra e uno a sinistra" decise infine.
"Perché!" Si lamentarono in coro, ma Rey si chiuse nella sua nuova stanza senza proferir parola. Poteva udire i borbottii degli altri due da dietro la porta, e rise allegro. Si guardò intorno. La stanza aveva un grande letto, e un'ampia scrivania sotto la finestra, e un mobile con all'interno qualche camicia. Vi erano anche tre librerie vuote. Le avrebbe riempite con i libri che avrebbe trovato a Soleya. Al solo pensiero di poter leggere qualcosa di totalmente nuovo e diverso dai libri di Cambee lo mandava in ecstasy, così si mise a lavoro per pulirla come si deve. La stanza di Uriel non era tanto più piccola di quella di Rey: aveva anch'essa un letto matrimoniale, posto sotto la finestra, un tavolo con due sedie contro il muro e un mobile con qualche vestito. La camera di Martin infine, era arredata con un letto a baldacchino contro il muro e un divanetto sull'altra parete. Vi era un grosso armadio in legno, con all'interno qualche indumento.

Quella era la loro nuova vita. E forse, solo forse, non sembrava così male come se la potevano immaginare.

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