XV(3)

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Katarina entrò nella propria cella lasciando l'uscio socchiuso per poter udire passi e brusii

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Katarina entrò nella propria cella lasciando l'uscio socchiuso per poter udire passi e brusii. Con poco riguardo buttò la bombetta sulla sottospecie di letto che le era stato assegnato e allo stesso modo fece con il cappottino verde. Il tintinnio della catenella dell'orologio sui bottoni le fece storcere il naso e d'istinto voltare verso la porta come se qualcuno potesse aver udito il rumore e la sua presenza lì - un atteggiamento sciocco, se lo rimproverò da sola. Chi mai poteva accorgersi di un suono tanto lieve? E quale Sorella Velata gli avrebbe attribuito una connotazione ambigua come quella di una persona che si prepara alla caccia? Scosse la testa smorzando un sorriso. Era così abituata ad agire in sordina da farsi paranoie inutili anche quando non serviva; dopotutto stava andando a rubare un po' di Spirito alla Salvia, non certo ad assassinare un essere vivente!
In un riflesso involontario si sistemò i guanti e i polsini della camicetta, poi si diresse in punta di piedi verso lo spiraglio di spazio tra la porta e il muro, appoggiandosi a quest'ultimo con la schiena.
In rigoroso silenzio scrutò il corridoio che aveva abbandonato poco prima, guardinga. Non c'era più nessuno all'orizzonte, nemmeno una mosca. Per un istante trattenne il fiato, poi si passò la lingua sul labbro inferiore convincendosi che non fosse poi cosa strana, visto l'irrisorio numero di suore presenti all'Istituto - così, agile, sgattaiolò fuori dalla cella. Con passi leggeri scivolò lungo le pietre non più mosaicate del pavimento al pari di un fantasma e tendendo l'orecchio più di quanto una persona qualsiasi avrebbe fatto avanzò. Il fragore della pioggia echeggiava per i corridoi entrando dalle finestrelle e allungandosi dal cortile interno verso le aree più intime dell'edificio, mettendole i bastoni tra le ruote. Ogni tre falcate Katarina era quindi costretta a lanciare uno sguardo alle proprie spalle, scrutando nella luce malata di quel tardo pomeriggio ogni ombra. Non era certa di poter udire il pericolo al momento giusto, ma allo stesso tempo sentiva di starsi preoccupando eccessivamente. Anche se qualcuna delle Sorelle l'avesse beccata cosa poteva succederle? Probabilmente nulla. Si sarebbe inventata una scusa, oppure avrebbe sfoggiato qualche battuta d'abbordaggio abbastanza esplicita da deviare l'attenzione altrove, scampando il pericolo di essere ripresa da una delle tante autorità ecclesiastiche di cui non desiderava fare la conoscenza.
Rallentò, concedendosi un respiro.
Contò i secondi insieme ai passi seguendo il ricordo di quella mattina, aspettandosi da un momento all'altro il sopraggiungere fastidioso di un richiamo che, invece, non arrivò. Quando i suoi occhi si posarono sulla porta intarsiata che aveva scoperto nel torpore di alcune ore prima, il sorriso le si allargò bruciante in viso. Il sangue fuoriuscito dal taglio le si posò sulla punta della lingua, ma Miss Bahun quasi non se ne accorse: già pregustava il sapore intenso dell'alcol. Con rinnovata urgenza si fiondò sulla maniglia, vi strinse intorno le dita e... attese. Cauta poggiò un lato del viso sull'anta, vi schiacciò contro l'orecchio e trattenne il respiro.
Zgomote (rumori), ecco cosa doveva udire. Ne sarebbe bastato uno per farle rivalutare tutto il piano. Prima di fare qualsiasi cosa era ovvio dovesse essere certa che nel refettorio non vi fosse nessuno, nemmeno Niamh che, tra tutte, sarebbe stata la più facile da intortare.
Deglutì lentamente, con una certa timidezza, poi pigiò i denti sulla lingua cercando di agganciare la concentrazione insieme al muscolo.
Nel refettorio non doveva esserci anima viva.
Katarina abbassò la maniglia, fece scattare la serratura in quel modo pacato e aiutandosi con la spalla spinse. Si aprì uno spiraglio largo tre dita e vi spiò attraverso. Le candele erano spente e a differenza di quella mattina la luce lattiginosa del tardo pomeriggio filtrava da piccole finestre, feritoie che permettevano ai raggi di estendersi come maniche ad angelo lungo un braccio immaginario, proteso verso chissà cosa. Miss Bahun rimase in allerta. I suoi occhi baluginarono in ogni direzione per capire se la stanza fosse realmente vuota e, dopo alcuni istanti, si decise a entrare. Lo fece lanciando un ultimo sguardo verso il corridoio, decisa più di prima a procedere e, una volta oltrepassata la soglia, chiuse la porta con la stessa premura con cui l'aveva aperta.
Dentro!, pensò tirando il primo sospiro di sollievo mentre staccava la mano dal ferro della maniglia. Un senso di sollievo le invase il petto quando il rumore lieve dell'anta oltre le sue spalle le fece capire di essere momentaneamente al sicuro. Per un istante ricordò le prime fughe dalla stanza che Padre Costantino le aveva affittato a Roma, in una delle strade subito fuori Città del Pontificio, quando ancora le importava qualcosa della sua reputazione di vânător. In quell'edificio, oltre a lei, soggiornavano per brevi periodi altre sue colleghe che, esattamente come Katarina, erano tenute sottocchio da Donna Stefania e Donna Emanuela, due ligie laiche innamorate ciecamente del Vescovo Wassily, pronte a tutto per svolgere in modo eccellente i compiti che quest'ultimo affidava loro - ricordava ancora le espressioni sognanti con cui rientravano dalle messe a cui lui prendeva parte. All'inizio, forse per il suo buon nome, avevano creduto fermamente che fosse una ragazza di sani principi, educata, servizievole, ma dopo meno di un anno dal suo arrivo avevano chiesto in lacrime al povero prete di trovarle un altro alloggio. Tra post-sbornie in cui anche lei aveva pensato di morire, succhiotti e lividi che avevano impiegato giorni per sparire e ospiti spesso indesiderati, le poverette avevano decretato che Katarina avrebbe solo rovinato la loro reputazione e portato guai. Forse Padre Costantino a un certo punto era persino riuscito a convincerle a darle un'altra possibilità, ma quando lei si era presentata a colazione in camicia da notte, trucco sbavato e una bottiglia di vodka sottobraccio Donna Stefania aveva perso il controllo. Nel giro di mezza giornata si era ritrovata per strada. 
Negli anni non si era mai pentita del modo in cui aveva ripagato la finta gentilezza di quelle due e, probabilmente, non lo avrebbe fatto nemmeno nei confronti delle Sorelle Velate a cui stava per rubare lo Spirito alla Salvia; anzi, se l'avessero invitata a trovare un nuovo posto in cui alloggiare sarebbe solo stata contenta, risparmiandosi la fatica di dover dire al suo referente di non aver gradito la sua offerta.

Miss Bahun: caccia ai vampiriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora