Capitolo 13

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CAPITOLO 13

Jungkook

Quando aprii gli occhi, mi resi conto di non essere più vicino la tomba di Eunji. Ero in una stanza, quella di Taehyung, e appena riuscii a mettere a fuoco, vidi Jin seduto su una sedia accanto al letto.

«Ti sei svegliato, come stai?»

Osservai la flebo che faceva scendere a piccole gocce una sostanza trasparente, proprio come qualche giorno prima, e una serie di compresse sul comodino accanto a letto; mi sentivo stanco, spossato, avevo un nodo che mi opprimeva lo stomaco e un'assenza in particolare calamitò tutta la mia attenzione.

«Dov'è Taehyung?» chiesi.

Jin mi guardò spiazzato, sorpreso da quella domanda.

«Taehyung, ecco, lui...sta riposando» disse, e non fu solo il suo tono incerto e il suo sguardo vago a farmi capire che stava mentendo.

Taehyung era stato con me tutto il tempo quando ero stato male ed ero sicuro che non mi avrebbe lasciato solo neanche quella volta solo per riposare.

«Dimmi la verità.»

«Jungkook...»

Mi alzai a sedere.

«Sta bene, vero? Dimmi che sta bene, che non è ferito, che non si è fatto male a causa mia.»

Jin si avvicinò cercando di farmi tornare sdraiato ma feci resistenza.

«No, no. Sta bene, tranquillo.»
«E allora perché non è qui con me?»

Distolse lo sguardo e fui sicuro che qualcosa non andava.

Gli presi la mano.

«Per favore, dimmi che succede.»

Sperai che il mio sguardo gli trasmettesse l'ansia che stavo provando.

«Lui...lui è un po'...arrabbiato con te, ecco», farfugliò, fermandosi tra una parola e l'altra e fu comunque d'impatto.

Il nodo alla gola si strinse un po' di più e abbassai lo sguardo.

Sapevo che non era giusto quello che avevo fatto, ma quando ero uscito di casa avevo programmato di tornarci nelle ore successive.

Infatti, con il mio lupo che ormai aveva deciso di imporsi e vivere con me, il dolore e il terrore che avevo provato quando i bambini avevano creduto che li volessi attaccare, il malore, la crisi e le braccia di Taehyung, avevo sentito un enorme bisogno di schiarirmi le idee, di liberare la mente, di parlare un attimo con la mia sorellina, come facevo sempre quando le cose si facevano particolarmente difficili. Mi ero districato dall'abbraccio del mio compagno con quell'unico pensiero, spinto anche dal fatto che avessi continuato a sognarla tutto il tempo e con una difficoltà immane ero riuscito a filarmela.

Quando ero arrivato ai confini, nel prato della collina dove insieme ai miei genitori avevamo deciso di farla riposare, mi ero limitato a posare dei fiori e a inginocchiarmi di fronte alla sua tomba, iniziando a parlarle di tutto, partendo dal giorno in cui mi ero scontrato, in modo del tutto casuale, con la persona che mi avrebbe cambiato la vita. Ero andato avanti nel raccontarle tutti i particolari, l'irritazione che avevo provato all'inizio, le discussioni, l'attrazione e poi la scoperta che avevo rifiutato di ammettere anche a me stesso ma che avevo continuato a far passare a step successivi, perché in fondo lo volevo e perché il leader ogni volta aveva cercato di rassicurarmi e mi era stato vicino in tutti i momenti, anche quando lo avevo allontanato, anche quando avevo testardamente rifiutato di parlare di me stesso e di lei e di quello che sentivo, di quello che credevo, di quello che provavo ormai per lui. E l'ultima crisi era stata la prova del nove; ormai ero quasi pronto a parlargliene e quando mi aveva detto che non mi odiava e che avrebbe aspettato ancora, avevo preso finalmente una decisione, una che rimandavo da troppo tempo, una che finalmente mi rendeva palpitante: lo volevo con me.

Upside down || TaekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora