Capitolo 11

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Deglutii con forza. L'aria tra di noi si era tesa all'improvviso. Era bastata una frase sbagliata e fuori luogo. I suoi occhi scuri erano fissi su di me. Ogni secondo che passavamo senza parlare mi portava più vicina alla follia. Perché non stava dicendo niente?

Poi, la sua attenzione tornò sul mio polpaccio. «Ora dovresti riuscire a camminare.»

Si alzò in piedi e, senza guardarmi, mi offrì una mano per aiutarmi a mettermi su. Mi concentrai sulle gambe e provai a vedere se stare in piedi di facesse ancora male. Appena posai il mio peso sulla gamba che aveva il crampo, sentii i muscoli diventare molli e mi afflosciai, pronta a cadere. Le braccia del professore corsero al mio corpo. Mi strinse la vita, impedendomi di sbattere a terra.

I nostri volti erano vicini, appena un respiro di distanza. Le sue mani erano salde su di me e io pensai di essere pronta a cedere. Qualunque cosa mi avesse chiesto di fare in quel momento, avrei accettato, anche se si fosse trattato di un crimine contro l'umanità.

Le sue labbra si chiusero e lui sembrò cercare qualcosa nei miei occhi. Le sue dita si strinsero intorno alla mia vita, poi lui allontanò di nuovo lo sguardo. «Dovresti stare seduta ancora per un po'» disse, guidandomi a tornare con la schiena contro il muro. «Abbiamo ancora molto tempo prima di dover tornare al pullman.»

Avendo percepito il suo disagio, gli proposi: «Può andare se vuole, professore. Credo di riuscire a sopravvivere da sola per un po'.»

«Sei sicura?» La sua espressione e il suo tono di voce sembrarono pregarmi di rimangiarmi quelle parole, come se lui fosse disperato a restare accanto a me tanto quanto lo ero io. Ma entrambi sapevamo di non poter continuare a fare qualunque cosa stessimo facendo.

C'era una linea invisibile che nessuno dei due voleva attraversare. Eppure, speravamo che l'altro lo facesse per primo. Intanto, continuavamo a camminare sul bordo, sbirciando dall'altro lato, chiedendoci cosa si nascondesse lì, in quella terra che sapeva di peccato e desiderio.

«Sì» mi sforzai di sorridere, anche se volevo piangere per la frustrazione e l'imbarazzo.

Il professore osservò il palazzo dietro di me, seguendo alcune persone che stavano entrando. Solo dopo qualche minuto fece la sua decisione. «Sarò nei paraggi» disse, tornando a me. «Sei succede qualcosa o ti senti sola, chiamami.»

Annuii.

Lo fissai allontanarsi verso l'interno del castello, scomparendo tra le figure di sconosciuti o studenti stanchi. Finalmente sola, appoggiai la testa sulle ginocchia e mi rinchiusi in me stessa.

Come sempre, ero riuscita a rovinare tutto. Non potevo tacere e basta? No! Io dovevo parlare a vanvera.

Probabilmente era sembrato che ci stessi provando con lui, ma io ero semplicemente stata onesta. Lo avrei davvero ascoltato parlare per interi anni senza mai annoiarmi. Era la prima volta che provavo un'emozione simile per qualcuno. Persino ad ascoltare le mie amiche e la mia famiglia dopo un po' perdevo interesse. Con il professore Pascal non accadeva. Forse la differenza stava negli argomenti da lui trattati. La storia e la filosofia, in fondo, mi avevano sempre affascinata, anche quando avevamo avuto altri professori.

Mi concessi qualche minuto con le emozioni che stavo provando: frustrazione, rabbia, un prurito inspiegabile in mezzo alle gambe, fino all'accettazione. Scrissi a Laura ed Elena per sapere a che punto fossero. Essendo distratte non mi risposero e io finii presto per sentirmi sola. Anche se il professore mi aveva detto che potevo contattarlo in caso di solitudine, non lo feci.

Invece, ascoltai l'orgoglio e mi misi in piedi. Il dolore quasi mi fece gridare. Ma io non mi sarei arresa con tanta facilità. Un passo per volta, mettendomi a saltellare quando diventava troppo difficile usare il polpaccio addolorante, avanzai per il castello, godendomi la bellezza dell'architettura in cui ero immersa.

No one will know | 18 +Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora