Capitolo 36

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Non volevo svegliarmi. Non volevo aprire gli occhi ed essere costretta ad accettare che quel giorno era arrivato.

Avevo fatto di tutto per rallentare lo scorrere del tempo e impegnare ogni minuto, ma non ero ancora capace di fare dei miracoli e alla fine il sole era sorto su quella domenica.

Erano le cinque di mattina e il cielo probabilmente era ancora tinto di rosa. Mi accoccolai tra le braccia aperte di Pedro, posando la guancia sulla sua spalla. Pedro insinuò le sue dita tra i mie capelli e io sospirai di felicità.

«So che sei sveglia» mormorò, continuando a massaggiarmi.

Alzai solo una palpebra, scrutando il suo volto rilassato e il suo sorriso addormentato. «Non è vero, sto ancora dormendo.»

Se avessi ammesso di essere sveglia, avrei dovuto prepararmi sia fisicamente che mentalmente per dirgli addio. Ed era un momento che volevo rimandare il più possibile.

Pedro ridacchiò, ma i suoi piccoli spostamenti del corpo mi fecero capire che voleva alzarsi.

«Ancora cinque minuti così» dissi, abbracciandolo sia con la mano che con la gamba. «Per favore.»

I suoi occhi indugiarono nei miei. Con dolcezza, mi accontentò. «Va bene.»

Smise di muoversi e ricambiò il mio abbraccio, posando una mano sulla mia coscia alzata e lasciando l'altra tra i miei capelli. Mi chiesi se stare con lui significasse avere più momenti di tranquillità come quello. Il mio corpo e la mia mente erano in totale armonia e per un momento pensai che sarei stata disposta a rinunciare a tutto pur di aggrapparmi a quello spicchio di felicità.

Ma Pedro aveva ragione. Lo sapevo, per quanto non volessi accettarlo. Non potevo rinunciare ai miei sogni per lui e se lui non era pronto ad avere una relazione con me, soprattutto una in cui saremmo stati distanti, dovevo accettarlo. Anche se era doloroso e il mio cuore non era certo che si sarebbe mai ripreso.

Spostai la mano che avevo posato sulla sua spalle e mi misi a seguire il contorno dei suoi pettorali, risalendo fino al suo collo. Il suo Pomo d'Adamo ondeggiò sotto il mio dito. Proseguii, accarezzando il suo mento, le sue labbra appena dischiuse e il suo naso, arrivando fino alla sua fronte. Era come toccare una statua e analizzarne i tratti.

Non mi sarei mai stancata di toccarlo.

«Dobbiamo alzarci» disse, cercando di distruggere il mio buon umore.

«Ancora cinque minuti ho detto.»

Piegò la testa verso di me, appoggiando la guancia sul cuscino. Il suo volto era ancora rilassato, come se gli piacesse vedere con quanta determinazione mi stavo opponendo. «Alessia...»

Chiusi gli occhi. «Non ti sento, sto dormendo.»

«Devo andare» insistette.

Guardai l'ora sul suo orologio, confermando che non erano ancora le sei di mattina. «I miei genitori probabilmente partiranno verso le dieci e prima di arrivare gli ci vorranno almeno quattro ore. Se poi incontrano casino, arriveranno solo stasera...»

«Alessia» mi interruppe, mantenendo un tono di voce calmo. «Ne abbiamo già parlato.»

Distolsi lo sguardo e mi misi a sedere. «Scusa» mormorai, consapevole di starmi comportando in modo infantile.

Pedro mi abbracciò da dietro, dando un bacio leggero sulla testa che capii essere il suo modo per dirmi che andava tutto bene. «Vieni» disse, prendendomi per mano e posando i piedi fuori dal letto. «Andiamo a fare colazione.»

Lo seguii controvoglia.

«Ti faccio i pancake, va bene?» mi chiese.

Il secondo giorno che mi ero svegliata a casa sua, avevo scoperto che era molto bravo a cucinare i pancake. Quella mattina ero stata svegliata dai suoi baci e dall'odore di cioccolato e uova.

No one will know | 18 +Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora