Capitolo 41

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Il suo profumo era inebriante. Strinsi la presa che avevo su di lei, avvicinandola a me, e immersi il naso nei suoi capelli. Doveva averli lavati il giorno prima ed era per questo che sapevano ancora di miele.

Nei primi minuti dopo essermi svegliato, il mio cervello non riuscì a elaborare ciò che stava succedendo né a ricordarsi gli eventi della notte precedente. Esistevano solo i nostri corpi intrecciati e la felicità che averla accanto aveva sprigionato.

La testa mi faceva male e rispondevo a ogni colpo alle tempie con un gemito di dolore e stringendomi più vicino a lei, che stava ancora dormendo. Il mio stomaco aveva reagito meglio all'alcol di quanto pensassi, non dandomi problemi.

Alessia si mosse tra le mie braccia e il suo sedere premette su un punto del mio corpo che non avrebbe dovuto toccare di prima mattina.

Quella scossa che si protrasse fino al mio cervello mi fece spalancare gli occhi e di colpo fui consapevole di chi avessi vicino.

La lasciai andare e mi misi a sedere, mentre il panico si impossessava di ogni fibra di me.

Alessia era nel mio letto.

I ricordi, annebbiati, tagliati e confusi, arrivarono lenti, pugnalandomi al cuore. Mi maledissi per tutto ciò che avevo detto e fatto, partendo dalla chiamata fino a quando mi ero addormentato.

Non avendo idea di come sistemare quella situazione, mi alzai in piedi e fissai per interi minuti la ragazza che stava ancora dormendo nel mio letto.

Avrei dovuto svegliarla e buttarla fuori da casa mia o lasciarla lì?

Nonostante volessi allontanarla da me, Alessia non si meritava una tale maleducazione. Imprecai e mi sedetti sul bordo del letto. Le mie mani salirono fino ai miei capelli che afferrai.

Potevo solo aspettare che si svegliasse. Dopo, avremmo parlato da adulti quali eravamo entrambi e le avrei fatto capire che non doveva farsi aspettative, che la notte precedente non significava niente.

Avevamo fatto sesso? Dio, sperai di no.

La sola idea di aver approfittato di lei da ubriaco mi fece rabbrividire.

Mi concentrai sul mio respiro cercando di calmarmi. Il mal di testa non mi stava aiutando a ragionare, ma avevo un'idea chiara: lei non poteva restare lì, con me.

Ero riuscito a farla ragionare una volta, facendole capire che meritava di meglio. Se mi fossi impegnato ci sarei riuscito di nuovo.

Premetti le mani contro gli occhi. Sì, sarebbe andato tutto bene. Alessia avrebbe capito e se ne sarebbe andata via per sempre.

La sentii muoversi alle mie spalle e trattenni l'istinto di voltarmi per guardarla. Restai con la testa bassa e lo sguardo dritto davanti a me.

Alessia si rigirò nel letto e quando allungò una mano per toccarmi la schiena seppi che era sveglia anche lei. «Come ti senti?» la sua voce era roca per il sonno.

Mi alzai in piedi, mettendo della distanza tra di noi. «Sto bene» mentii. Dovevo assolutamente prendere qualcosa per il mal di testa o non sarei riuscito ad attraversare quella giornata.

«Da quanto sei sveglio?» continuò a chiedere, restando sdraiata sotto le mie coperte.

Dovetti darle le spalle perché quella visuale mi stava facendo sentire sensazioni che non avrei voluto provare. Avrebbero reso tutto più difficile.

Se avessi dato ascolto al mio corpo e al mio cuore, mi sarei fiondato sotto le coperte e le avrei mostrato quanto tenevo a lei attraverso il contatto fisico.

No one will know | 18 +Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora