Capitolo 4

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«Ale, Ale! Ti devi svegliare!» la voce di Elena rimbombò nelle mie orecchie, destandomi con un sussulto.

«L'aereo sta cadendo?» chiesi, spaventata.

Elena era seduta accanto a me. Visto che io avevo voluto dormire, le avevo ceduto il posto vicino al finestrino e le avevo chiesto di svegliarmi prima della discesa.

«No, scema, stiamo atterrando.»

Mi afferrò per la maglietta e mi spostò verso di lei, costringendomi a guardare fuori dal finestrino rotondo. Con meraviglia, ammirai Lisbona. Osservare l'aereo atterrare era sempre una visione spettacolare, capace di mozzarmi il fiato. La mia mente faceva ancora fatica a credere che fosse reale, che il mondo fuori da quello strano mezzo stesse diventando lontano e piccolo o vicino e grande.

Gli occhi scuri di Elena erano spalancati, per quanto gli occhi a mandorla tipici dell'Asia dell'Est potessero ingrandirsi. In quei momenti, diventava ancora più tenera e bella. Riportai lo sguardo sulla città sempre più grande, sorridendo all'idea di avere finalmente una settimana di vacanza. Pensare alla scuola non era concepito fino a sabato!

I due professori che dovevano controllare la nostra classe, ossia il Pascal e la Leone, mi sembrarono stressati fin dai nostri primi secondi in Portogallo. Soprattutto l'insegnante di spagnolo. La professoressa Leone era una donna di trentatré anni, tozza e con gli occhiali, che continuava a contarci per assicurarsi che fossimo tutti presenti. Eravamo andati con lei in gita anche l'anno precedente, eppure non si fidava ancora di noi. Avendo Saverio in classe, onestamente, non la biasimavo.

Arrivammo a Lisbona in mattina, dopo il sorgere del sole. Un pullman ci stava aspettando davanti all'aeroporto per portarci nell'hotel in cui avremmo alloggiato. Misi velocemente il mio bagaglio insieme agli altri e mi affrettai a salire per accaparrarmi un posto in seconda fila.

Avrei preferito mille volte stare in fondo, lontana dai professori, ma ero una di quelle persone sfortunate che soffriva il mal di auto, soprattutto la mattina, e ciò pretendeva che mi sedessi davanti. Quando salirono, Laura ed Elena si sedettero dietro di me, così da farmi un po' di conforto.

Quando vidi il professore Pascal salire, spostai lo sguardo fuori dal finestrino, evitando di incontrare i suoi occhi sorpresi.

«Orlandi» fui costretta a guardarlo. Era fermo poco lontano da me, le braccia appoggiate sugli schienali dei sedili. «Cosa ci fai in seconda fila?»

Deglutii, pronta ad avere una discussione calma e logica.

Era risaputo che le prime file dei pullman fossero riservate ai professori. Io, però, lo avevo scoperto solo al liceo, quando, per la prima volta, mi era stato negato l'accesso a quei sedili. Alle elementari e medie ero stata abbastanza fortuna da avere come insegnanti delle persone a cui non interessava molto rispettare quella regola. Era più importante che io stessi bene.

Alle superiori, al contrario, avevo quasi sempre trovato professori a cui fregava ben poco di me e della mia salute. Una volta, al secondo anno, avevo persino litigato con una delle insegnanti dopo che mi aveva mancato di rispetto, insultandomi apertamente. Lei era una donna di quarant'anni, attaccata a un cazzo di sedile, io una ragazzina di appena quindici che ne aveva bisogno. Eppure, mi aveva dato dell'immatura.

Non volevo cambiare opinione sul professore Pascal, e soprattutto non volevo che lui pensasse male di me. Ma se dovevo discutere, ero pronta a farlo.

«Soffro il mal d'auto.»

Sapevo che Laura ed Elena ci stavano ascoltando, forse aspettando di venire in mio soccorso.

Il professore spostò lo sguardo altrove, osservando la nuova ondata di studenti che stava salendo. Annuì distrattamente e scelse di sedersi accanto a me.

No one will know | 18 +Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora