Più "green" di me

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Sono ancora chiusa nel bagagliaio della jeep.
Stremata dal viaggio e dall’incertezza. La paura mi attanaglia le viscere mentre la macchina accelera violentemente per  inchiodare subito dopo.
Sento gli sportelli sbattere, poi
ripartiamo.
A giudicare da come vengo sballottata, la strada sembra piena di buche.
Quando la macchina frena
una seconda volta, spero che qualcuno  apra questo maledetto bagagliaio  anche se questa speranza porta con sé il
timore che possano anche uccidermi.
Ma non succede nulla,
nessuno viene a liberarmi
e c’è molto rumore fuori.
Sembrano spari.
Boati.
Grida.
Una serie di spari ravvicinati di quella che sembra una
mitragliatrice fa tremare la macchina. Mi stanno sparando
contro e io non posso scendere.
La paura mi toglie gli ultimi grammi di dignità e mi faccio la pipì addosso. La consapevolezza dei rischi che sto correndo si abbatte su di me come un uragano e mi arriva
un attacco
di panico in piena regola.
La gola si chiude e fatico a respirare ma nessuno
sembra accorgersi di me,
a nessuno importa nulla di
me, nemmeno per darmi il colpo di grazia.
Piango, mi dimeno e tremo per un tempo che mi sembra infinito e
quando ormai non ho più energie nemmeno per
tremare di freddo, il portellone si apre e la luce del
giorno mi colpisce.
L' intera notte è passata e una figura
dalla voce maschile inveisce contro di me per lo schifo
che ho fatto prima di caricarmi in spalla come un sacco
di patate e trasportarmi dentro un edificio.

Scendiamo le scale.
È di nuovo buio e viene accesa la
luce elettrica per illuminare gli ambienti.
A un certo punto
l’uomo che mi sta trasportando si ferma e sento il
rumore di una serratura, il tipo mi butta su quello che
mi sembra un letto e mi libera i polsi e le caviglie.
Sospiro per il sollievo di potermi muovere di
nuovo e alzo gli occhi per poter guardare in faccia il
mio benefattore, ma, nel momento in cui alzo lo
sguardo non c’è già più,
sta di nuovo chiudendo la
porta a chiave dietro di sé lasciandomi qui dentro da sola.
Mi guardo intorno per capire dove sono, è una stanzetta larga forse due metri
per tre con un materasso,
un lavandino e un water,
niente finestre solo una porta,
chiusa a chiave.
Il pavimento è una colata di
cemento grezza e senza piastrelle,
sono in una cella!
Ma  Il mio istinto di sopravvivenza
ha la meglio,
così,
nonostante mi sembra che mi sia passato addosso un tir
cerco di alzarmi in piedi ...
Suppongo che ora le
scarpe con il tacco non mi servano
così me le tolgo
anche se,
slacciare i cinturini
con le mani che tremano
risulta un’impresa non da poco.
Provo sollievo
nel toccare il pavimento fresco con i piedi nudi
e mi trovo a tirare il fiato per la prima volta da che
sono entrata nel maledetto "red privè" ieri sera.
Mi attacco al lavandino,
finalmente acqua!
Cerco di bere il
più possibile per reidratare il mio corpo e mi sciacquo la faccia.
Non ci sono specchi ma immagino che il
trucco sia colato ovunque e di essere un completo disastro
per non parlare del lerciume che ho addosso.
Mi sistemo sul materasso senza coperte ma il mio
corpo sta ancora tremando per il freddo e per la
tensione a cui i muscoli sono stati sottoposti a causa
della legatura.
Quando sento il rumore della serratura
mi drizzo a sedere nonostante i miei muscoli non
vogliano saperne di collaborare.
Vedo entrare il
semidio chiamato Monaco,
porta con sé una seggiola
sulla quale si siede.
La seggiola è messa al contrario,
e lui ci siede a gambe
aperte come se fosse a cavallo, con le braccia appoggiate allo schienale e gli occhi curiosi su di me.

Indossa un maglione azzurro ora, della stessa tonalità
dei suoi occhi e pantaloni della stessa foggia di quelli
che aveva durante la notte ma questi mi sembrano più
chiari, le ciabatte da santone e un’aria annoiata mentre
mi guarda dall’alto al basso prendendosi tutto il tempo
che vuole.
Io ho un aspetto pietoso  e temo di puzzare come un animale selvatico.
È marzo, ma le temperature non vogliono saperne di
addolcirsi per allinearsi alle medie stagionali e io sono
praticamente nuda da tutta la notte,
in questa stanza
non c’è riscaldamento e non so quanto ancora potrò resistere al freddo,
mentre lui se ne sta lì tranquillo
e bello come un dio
nel suo maglione di cachemire.
Sono seduta su questo materasso
gettato a terra,
vorrei incrociare le gambe
ma provo vergogna
e così le tengo distese di fronte a me anche se mi costa un certo
sforzo stare seduta in questa posizione. Non oso
muovermi e il suo ostinato silenzio mi sta mandando fuori di testa,
cosa vorrà vedere?
Quanto tempo sarà
passato ormai da quando è entrato?
Mi sta già
guardando negli occhi da un po’,
non riesco a resistere,
devo rompere questo silenzio con una parola qualsiasi anche se, quella che mi esce è la più stupida in
assoluto:

- Perché non mi ha ucciso? –

Lui non fa una piega, continua a guardarmi negli
occhi mentre alza il mento ispirando e tirando
lentamente indietro la testa, rimanendo così per un
istante infinito prima di aprire la bocca e iniziare a
parlare:

- Avresti preferito che avessi messo fine alla tua vita? -

Ho un sussulto nel sentire la sua voce, la ricordavo
meravigliosa ma in questa stanzetta assume una
sfumatura ipnotica, mi attraversa e vibro come un
diapason al quale se ne sia affiancato un altro che
emette la stessa nota.

Sapevo di aver posto la
domanda sbagliata,
ora non mi resta che implorarlo
di non uccidermi!

- No, no, mi perdoni la prego! Non mi uccida! –

Un angolo della sua bocca si curva all’insù mentre
espira e appoggia il mento sopra i dorsi delle mani  piegando
leggermente la testa di lato.

- Cosa ti fa pensare di meritare di rimanere in vita?
Perché pensi di avere il diritto di consumare aria su
questa terra? –

Una scossa simile alla precedente ma molto più
intensa mi attraversa, non riesco a parlare e due
grosse lacrime mi rigano le guance. Come se una
diga si fosse aperta, tutta l’adrenalina accumulata
durante la notte sciama via attraverso i miei occhi
sotto forma di lacrime e piango, forte, come quando
ero bambina e mi sbucciavo le ginocchia, non riesco
a smettere e sono sempre in quest’assurda posizione
incapace di muovermi come se qualcuno mi ci avesse
incatenato.
In tutto questo lui mi guarda come se
stesse pazientemente ancora aspettando la sua risposta.
Passano minuti, forse ore per quanto ne so, lui è ancora lì,
l’eccesso di pianto si sta esaurendo e
sto tornando lentamente padrona di me stessa.
Il Monaco si
alza in piedi e viene a posizionarsi, guardandomi a
braccia conserte di fronte a me in una posa da soldato in riposo con le gambe leggermente
divaricate che quasi
(quasi)
toccano le mie.

- Allora? –

Vuole la sua risposta e non avrà pietà di me così
provo ad articolare una frase anche se, far filare un
discorso in questo momento mi sembra un’impresa titanica.

- Io … Devo finire di pagare i debiti di mio padre –

È stupido, ma è la prima cosa che esce dalla mia
bocca, poi inizio a parlare a raffica, sempre lì,
seduta ai suoi piedi.

- È per questo che lavoravo nel suo locale sa? Lei
paga piuttosto bene anche le semplici cameriere …
Ma la prostituta no!
Quello non lo faccio!
Voglio una vita normale sa?
Voglio innamorarmi io!
Eppoi
non sono una che consuma aria!
Anzi non
consumo proprio perché le cose per consumarle
bisognerebbe prima poterle acquistare e io non acquisto!
Giro con i mezzi pubblici perché non ho
la macchina, uso pochissima acqua per fare la
doccia e produco una quantità inesistente di rifiuti!
Oserei dire che in tutta Roma non esiste persona più green di me
e sarebbe un peccato
farmi fuori solo per questo! –

È ufficiale: mi sono bevuta il cervello.

Piego la testa all’indietro per capire quale sarà
l’effetto di questa tirata che ho fatto e vedo mister
pantaloni morbidi scuotere il capo mentre mi volta le
spalle afferrando la sedia e portandola con sé come
quando è arrivato, batte due colpi con la nocca e
dopo un po’ si sente il rumore della serratura e la
porta che si apre.
Prima di sparire, mi guarda
ancora una volta.

- Pagare i debiti del proprio padre … Non dobbiamo farlo tutti? –

Esce dalla porta lasciandomi ancora in questa
maledetta posizione di cui improvvisamente avverto
tutta la fatica.
Mi abbandono rannicchiata su questo
materasso chiedendomi quale sarà il mio destino.
Mi ha lasciata qui,
sono ancora viva ma, contro il mio
stesso spirito di conservazione mi chiedo perché:
non sono importante, nessuno pagherebbe un
riscatto per me e, oltretutto sono stata testimone di
una conversazione tra un mafioso e un politico
colluso e all’omicidio di quest’ultimo per mano del primo. Ragiono fra me sul fatto che sono tutte
ottime ragioni per ottenere una sentenza di
condanna a morte da uno dei più pericolosi boss
della malavita attualmente in circolazione.

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