VII. NICALLA

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Uno scalpiccio. Dorina sapeva che la stavano seguendo. Sentiva il fiato del suo aggressore sul collo. Eppure per quanto corresse non riusciva a seminarlo. Lui era troppo veloce. E lei si sentiva molto stanca. Un dolore acuto al braccio. Sussultò. Uno dei rami, simili ad artigli, l'aveva graffiata. Non si fermò. Non poteva fermarsi. La creatura l'avrebbe presa. E le avrebbe fatto molto male.

Dorina si svegliò, la camicia da notte madida di sudore, il cuore che le batteva tanto forte da darle la nausea. Si piegò avanti e lottò contro i conati di vomito. Era solo un incubo. Nulla di più. Spostò le coperte. Le avrebbe fatto bene andare alla finestra e prendere una boccata d'aria. Al collegio le capitava di fare qualche incubo. Ogni tanto si svegliava urlante. Affondò i piedi nel tappeto a pelo lungo. Il viaggio doveva averla stancata. E la leggenda di Clarissa l'aveva turbata, come succedeva da bambina. Si stiracchiò. Avrebbe...

-Ahi- gemette, una fitta acuta che le scivolava lungo il braccio. Abbassò lo sguardo e vide un segno rosso, come un filo. Sbatté le palpebre, incredula. No, non era un filo, ma un profondo graffio. Non capiva cosa... e il sangue le si gelò nelle vene. La ferita era dove si trovava nel sogno. Non era possibile. Si spinse indietro i capelli, le mani che le tremavano. Doveva esserci una spiegazione, doveva...

Ma certo! Si era ferita nel sonno e il sogno aveva cercato di dare una spiegazione razionale al suo dolore. Strano però. Una ferita del genere non era facile da procurarsela stando a letto. Scrutò le lenzuola alla ricerca di qualcosa. Non trovò nulla. Forse era meglio non indagare oltre. Avrebbe dovuto tentare di dormire. Fuori era ancora buio. Qualcosa però le diceva che non sarebbe riuscita a riprendere sonno.




La mattina trovò degli strani fiori gialli sparsi sul pavimento. Li fissò, confusa. Non ne aveva mai visti di simili, non sembravano nemmeno tipici della zona. Ne prese uno tra le dita. Aveva una strana consistenza. Lo lasciò cadere. Strano, molto...

La porta si aprì con uno schianto. Dorina sussultò e lanciò un grido. Un giovanotto che indossava una redingote blu e che sembrava uscito da un vecchio quadro la fissò. Sorpreso. Ecco come si poteva descrivere la sua espressione. Molto sorpreso. La ragazza si coprì con il lenzuolo.

-Ma che ci fai qua?- gemette.

Il giovane sorrise, un sorriso molto affascinante, si spinse indietro i capelli neri come una notte tempestosa, si piegò in un profondo inchino. –Per te, sono Alexander- gli occhi scuri lampeggiarono di una luce irriverente.

Dorina si sentì rassicurata. Non sembrava così terrificante. –E per gli altri?-

-Il principe Alexander- strizzò l'occhio –discendente dalle maggiori famiglie reali d'Europa- si appoggiò allo stipite della porta, le braccia incrociate.

-Un principe?- sembrava fuori luogo la presenza di un principe nella sua stanza. Lì però ogni cosa sembrava fuori luogo.

-Sì, quelle creature bellissime e affascinanti che escono direttamente dai romanzi- il suo sorriso si allargò ancora di più. Affascinante. Dorina non avrebbe saputo dire che cosa trasmettesse quel fascino, ma non poteva negarlo. La prova era il fatto che, nonostante anni in cui le avevano insegnato a non mostrarsi in abiti succinti davanti a un uomo, lei continuava a stare lì. Sotto quello sguardo di fuoco che sembrava volerla incendiare.

-Oh, capisco!- si stiracchiò. Voleva sembrare seducente. Come Hilda. Il pensiero di Hilda fu come un pungiglione nello stomaco. Le fece molto male. –E cosa ci fa un principe da queste parti?-

-Frequenta la scuola militare- fece spallucce come se la sua risposta fosse la più naturale del mondo.

-Come un normale studente?-

-Succede-

-E s'introduce nelle camere delle ragazze- Dorina sorrise.

-Un compito di strategia militare-

La ragazza si costrinse a non ridere e per farlo serrò forte la mascella, tanto da farsi male.

-Bisogna entrare in una camera ben sorvegliata e... -

-La mia camera è ben sorvegliata?- sì, forse avrebbe potuto divertirsi.

-Beh, c'è qualche domestica che gira per i corridoi, non so se hanno il permesso di sparare, ma... è comunque pericoloso-

-Potrebbero prenderti a colpi di scopa in testa- Dorina scosse la testa. Voleva sembrare indignata, ma non le riusciva bene.

E lui, come se lo sapesse, rise. –Beh, come minimo mi verrebbe un brutto mal di testa-

-Probabilmente sì-

Alexander non diede segno di volersi muovere. Se ne stava lì a guardarla. Come se non avesse mai visto una donna prima. Dorina provò un senso di disagio. –Scusa, la verità è che mi sono sbagliato, sono arrivato da poco al castello e non so ancora orientarmi, comunque è allarmante come ci si possa muovere liberamente per i corridoi senza essere fermati-

Dorina non poteva dargli torto. –Quando vedrò Kaas gli riferirò questo-

-No, meglio di no, non vorrei che mi prendesse a calci e mi buttasse fuori-

Dorina rise. –Sì, non hai tutti i torti-

Rumori in lontananza. Stava arrivando qualcuno. Il principe fece un profondo inchino. –Con permesso- e corse via.

Dorina si trovò a sorridere. Ci sarebbe stato da divertirsi.


Dorina sbadigliò. Il sole brillava nel cielo già da qualche ora. Aveva fatto colazione, aveva indossato un abito turchese, con le maniche a sbuffo, si era pettinata con cura i capelli castano dorati, e ora non sapeva cosa fare. Si appoggiò al davanzale del salone e sbirciò fuori dalla finestra. Sul tavolo c'era il romanzo che si era portata da Londra. Una storia gotica. Stranamente però non aveva voglia di leggere. In una mattina di settembre così bella sembrava un crimine chiudersi in casa. Tantomeno in una stanza come quella, con lunghi divani di velluto nero, le pareti e il pavimento di gelida pietra, e mobili in stile barocco. E poi c'era quei fastidiosi rumori nei muri. Topi, probabilmente. Un brivido le graffiò la schiena. C'era stata un'infestazione di topi nel collegio che frequentava fuori Londra, quello per signorine dabbene. Si era perfino trovata uno di quei roditori in una mantella di pura seta. Scosse la testa per scacciare quel ricordo infelice. Non poteva proprio...

-Finalmente un po' di compagnia-

Caterina. Dorina si voltò, il cuore schizzato in gola. Sospirò di sollievo quando vide che no, non era Caterina.

-Scusa, non volevo spaventarti- la ragazza se ne stava sdraiata sul divano, le gambe buttate oltre il bracciolo, un sorriso sulle labbra coperte dal rossetto rosso. Non l'aveva sentita arrivare. Doveva essere molto silenziosa e... Dorina notò che era senza scarpe. I piedi nudi spuntava come colombe bianche da sotto l'orlo dell'abito rosso scuro. Un modello pieno di balze, con un corpetto aderente che sottolineava il seno formoso della ragazza. Non doveva avere più di vent'anni. Si stiracchiò, le braccia che scivolavano tra i boccoli neri. Le ricordò un gatto. –Tu sei Dorina, vero?- inclinò di lato il viso dai lineamenti infantili. Gli occhi verdi brillavano sotto la frangia.

-Sì, sono io, ma tu chi sei?-

-Oh, che maleducata! Dimentico sempre le cose importanti- fece un piccolo cenno del capo, come se si rivolgesse a un pubblico invisibile. A ben guardare sembrava proprio un'attrice sul palcoscenico. –Sono Nicalla e puoi considerarmi la tua dama di compagnia- il suo sorriso si ampliò. Aveva denti appuntiti. –Che ne diresti a tal proposito di fare un giro al villaggio? È una tal noia stare qua-

-Sì, è un'ottima idea... ma lavoravi per mia zia?-

-In un certo senso- si strinse nelle spalle. –Su, prendi il cappotto, si esce-

Dorina decise di rimandare le domande. Nicalla non le sembrava la tipa che aveva voglia di rispondere a simili domande. Al contrario. Probabilmente 


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate di questo capitolo?

A presto ❤

Dove finiscono le tenebreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora