FARON
Ho sempre pensato che toccare il fondo fosse come urlare al mondo di avere un problema. Esporre l'anima con le sue ferite ancora aperte. Permettere agli altri di vedere quello che la vita ti ha fatto.
Io, quel fondo, lo sto toccando ogni singolo giorno. Così tanto da non sentire neanche più il dolore di ogni minuscola fitta, di ogni improvviso strappo, di ogni nuovo punto di sutura che sono costretto a dare alla mia scorza quando è sul punto di aprirsi e lacerarsi.
Non posso spiegare come mi sento. È come un tamburo che continua a suonare dentro la mia testa fino a farmi pulsare forte le tempie.
Cazzo.
È successo di nuovo.
Ho perso il controllo e fatto un dispetto al mio corpo già messo a dura prova.
La luce flebile, i raggi rossi del tardo pomeriggio, filtrano dalla finestra aperta creando linee nette sulla parete bianca. Vado a tentoni sul comodino facendo cadere qualsiasi cosa per terra pur di non aprire di nuovo gli occhi e sentire le orbite così doloranti; come se mi ci avessero ficcato due stuzzicadenti e ci stessero giocando a ogni singolo movimento.
Sollevo a fatica la testa percependo il martellare persistente alle tempie e sbircio appena lo schermo del cellulare. Trovo un numero esorbitante di chiamate perse da parte di mio fratello. Ce ne sono anche di Terrence e Eden.
«Cazzo», impreco ancora una volta, sollevandomi dal letto sul quale molto presto non dovrò più dormire. Magari sarà pure la volta buona in cui gli incubi non si ripresenteranno e potrò riposare o divertirmi senza provare il solito sentore del senso di colpa.
Il signor Williamson, lo psicologo in cui mi reco di tanto in tanto su ordine di Dante per farlo contento, dice che finché non sarò io a volerlo, non potrò guarire del tutto. Non lo pago per sputar fuori cose ovvie e nemmeno per le finte rassicurazioni. Lo pago per aggiustarmi.
Evidentemente, qualcosa non sta andando per il verso giusto.
La verità è che l'ho rifatto. Ho bevuto fino a perdere i sensi, lo scorrere del tempo e la possibilità di aiutare la famiglia. Mi sono lasciato sopraffare fino al blackout.
Sposto la mia attenzione intorno alla stanza. I miei occhi ancora non del tutto aperti si spalancano dall'orrore.
È tutto in disordine. Come se durante la notte fosse passato un tornado di nome Faron Blackwell.
Affievolitosi lo shock, sospiro, e mentre faccio partire la prima e unica chiamata di scuse, mi dirigo in bagno. Apro il cassetto in basso del mobile del lavandino, recupero due pillole dal flacone, le butto giù con dell'acqua e procedo lavando i denti per togliermi dalla bocca il sapore acre del vino.
«Pronto?»
«Mi dispiace», biascico.
Eden sospira. Questa sua reazione potrebbe avere un doppio significato. «Eravamo preoccupati, Far. Ma non devi chiedere scusa a me, sapevo che prima o poi ti saresti fatto vivo. Tuo fratello invece... sta per dare di matto. Come fai a non capire che tiene molto a te?»
Sputo il collutorio e mi infilo nella doccia. «Adesso dove si trova?», indago per valutare le mie opzioni, premendo i palmi sulle piastrelle prima di appoggiarvi la fronte. Il primo istinto sarebbe quello di dare una testata, farmi male e usare una banale scusa, ma so che non mi crederebbe nessuno. Ho esaurito i miei jolly.
Stavolta Dante mi farà il culo a strisce, me lo sento. Non solo ho cambiato argomento durante la videochiamata quando ha chiesto se stavo bevendo, ma ho persino chiuso la conversazione per avere una brutta ricaduta subito dopo.
Per assurdo non ricordo un cazzo. Non ho idea di quanta forza io abbia usato per distruggere quei mobili che mi facevano ricordare talmente tante di quelle cose da asfissiarmi. L'unica cosa che so è la motivazione.
Le signore delle pulizie che ho chiamato per ripulire l'intero appartamento prima di affittarlo, avranno un gran bel da fare se non risolvo immediatamente il problema.
Fisso le nocche piene di graffi e sangue rappreso. Portandole sotto il getto caldo le ripulisco. Inutile rimuginare troppo sul resto delle ferite. Le disinfetterò e i lividi guariranno in fretta.
«Al piano di sotto a parlare con gli altri. C'è la partita di football. Hai dimenticato la riunione. Ti stiamo aspettando».
Sospiro strofinando le braccia con una noce di bagnoschiuma. «Quanto è incazzato?»
«Su una scala da ti ficco dentro un barile e ti getto nell'oceano vivo a ti cavo le palle con un cucchiaino da gelato? Direi di optare più per la seconda».
«Merda!», impreco a denti stretti, strofinando con vigore la pelle. «Ha sempre preferito la tortura a una morte rapida».
Eden sospira di nuovo. So che anche lei si sta trattenendo. È abbastanza adulta da non rimproverarmi come un bambino. Nonostante i suoi tentativi di dissimulazione, dalla sua voce traspare lo stesso la delusione, e questo per me è sufficiente e ha l'effetto di una brutta pugnalata.
Non voglio fare del male a chi mi circonda. Eppure sembra inevitabile.
Continuo ad autocommiserarmi quando dovrei comportarmi da uomo, ammettere di avere un problema e affrontarlo beccandomi ogni conseguenza. Soprattutto dovrei disfarmi dei ricordi che come veleno continuano a spezzarmi.
Non vado di certo fiero del comportamento che ho avuto nel corso dei mesi.
«Sei sotto la doccia?»
Eden mi riporta alla realtà con il suo tono gentile. «Sì. Sto facendo del mio meglio per lavarmi di dosso il peccato».
Ride. Quel suono mi infonde un certo coraggio. «Se ne accorgerà lo stesso».
Sbuffo. «Lo so. Puoi tranquillizzarlo e dirgli che vi raggiungerò a breve?», chiedo speranzoso.
Sento un fruscio in sottofondo. «Vado prima che sia troppo tardi. Non annegare. Non è la scusa migliore che puoi usare per non presentarti», mi punzecchia.
Sorrido. «Sei la migliore, principessa».
«Ah ah, non adularmi. E non aspettarti che ti difenda quando ti presenterai e tutti e tre ti appenderanno per il pisello come un chiodo su una tela».
L'immagine è sconfortante. «Sono così nei guai?»
«Lo saprai quando sarai qui. Adesso vado a tranquillizzarli con un paio di snack». Riaggancia prima che possa ringraziare o avanzare una delle mie tante richieste. Ha già fatto abbastanza dandomi una piccola anticipazione di quello che troverò e che dovrò affrontare.
Appoggiato alle piastrelle fredde, con il getto bollente che scende continuo sulla mia pelle, cerco di ricordare quello che è accaduto. Ma più ci provo, più sento dolore in una porzione del cranio.
Alla fine mi arrendo e dopo essermi rivestito e avere buttato giù una tazza di caffè amaro, esco di casa.
Dante ha scelto un bel posto in cui vivere dopo che ha dato fuoco a una delle ville di famiglia. Il che non mi ha neanche sorpreso quando l'ha fatto. Conosco ormai da tempo il suo odio verso nostro padre. Gli si è radicato a fondo fino ad avvelenargli l'esistenza.
Nonostante sia ancora deluso dalla sua mancanza di fiducia nei miei confronti e sul fatto che non mi abbia mai rivelato il suo vero ruolo nella storia, ho deciso di metterci una pietra sopra. Perché al di là di tutto, è mio fratello.
So che ha altro a cui pensare, per questa ragione prima di superare il massiccio portone in legno spalancato, prometto a me stesso di non deluderlo ulteriormente.
Sarà già abbastanza dura e imbarazzante dover dare delle spiegazioni a tutti. Cosa che non ho intenzione di fare in quanto è della mia vita che si tratta.
Varcata la soglia osservo il corridoio dai toni neutri, con i quadri e i mobili ben allineati. È tutto così al suo posto da farmi sentire di troppo. C'è odore dolce, speziato e tenue di rose ad avvolgere il tutto come un abbraccio, quello tipico di Eden.
Proseguo verso il soggiorno dove li trovo in attesa e incazzati.
Nigel sta leggendo quello che sembra un grosso libro e non dubito che potrebbe tirarmelo addosso senza bisogno di prendere la mira. Terrence si trova in cucina con Eden. Stanno preparando qualcosa su una teglia discutendo e ridendo. Ma ho il forte sospetto che sarebbe in grado di farmi fuori con il primo utensile affilato a sua disposizione. Infine c'è mio fratello, lui ha gli occhi pieni di furia ma non parla, non esprime il suo disgusto verso l'uomo che sono. Piuttosto mi ignora, continuando a fissare lo schermo dell'enorme TV appeso alla parete dove sta per iniziare la partita.
Mi sento un vero bastardo.
«Eccoti!», Eden mi viene a salutare, cercando di alleggerire la tensione che si respira nell'aria. Almeno lei sta facendo finta di niente, anche se più di chiunque altro conosce ogni mio momento no.
Mi abbraccia, si solleva sulle punte dandomi un bacio sulla guancia, afferra la mia mano e mi dà un lieve strattone quando si rende conto delle nocche scorticate. «Ti stavamo aspettando per la cena. Finalmente sei arrivato», continua a sorridermi e a incoraggiarmi a parlare.
«Scusa il ritardo, ho avuto da fare fino a tardi», schiarisco la voce, andando alla ricerca di qualcos'altro da aggiungere. «Io... ehm, come sai sto per affittare l'appartamento e ho dovuto... smantellare qualche vecchio mobile per rendere le stanze più accoglienti».
Intorno il gelo iniziale si trasforma. «Davvero lo stai facendo?», chiede Nigel, con aria scettica, ma improvvisamente interessato. «Potrei consigliarti qualche nuovo rivenditore».
Non vedo Andrea nei paraggi. Sospetto che sia stato Dante a non invitarla e a darle qualche compito per non sbattere in faccia a Eden i suoi due poppanti.
Un pomeriggio, parlando con Eden, ho saputo che Andrea si comporta in modo strano quando si incontrano e questo la mette molto a disagio. Specie quando Andrea le sottrae dalle braccia uno dei bambini come se Eden volesse rubarglielo. Quei piccoli gesti la feriscono. Pertanto alla prima occasione l'ho riferito a Dante, e ora sono felice di non averla tra i piedi. Mi dispiace per Nigel, ma quando si tratta del benessere di mia cognata, non si discute. Inoltre, Andrea ha sempre avuto questo lato di sé nascosto. Eden è stata la prima a notarlo a sue spese. Per questa ragione spero sempre che lei possa trovare un'amica, una vera. Ora come ora le farebbe bene, invece di stare con noi maschi inalando il clima teso che aleggia con costanza intorno.
Annuisco cercando di non perdermi. «Ho avuto qualche problema con i mobili e ho dovuto contattare qualcuno per portare via i resti prima che le donne delle pulizie intervenissero e qualcuno si facesse male. Non è stata la mia idea migliore provare da solo».
Non so che cazzo sto inventando, ma la bugia esce dalla mia bocca in modo spontaneo. Forse perché prima o poi sarà così, sarà quello che farò. Al momento però non ho nessuna intenzione di tornare a casa. Durante il viaggio ho deciso che dormirò in hotel. Essendo il proprietario mi riservano sempre una suite. Possiedo anche dei palazzi, usati come sedi per degli uffici. In uno di essi potrei prendere l'attico e ristrutturarlo.
«E dove andrai a vivere?», indaga Terrence, portando al contempo a tavola una grossa ciotola con del riso al curry, pollo e zucchine.
La cucina è invasa dall'odore del cibo che Eden ha preparato con cura.
Lo stomaco mi brontola e mi ricorda che è da parecchio che non faccio un pasto salutare.
«Sto valutando più opzioni. Nel frattempo andrò in hotel e gestirò qualche affare da lì».
«Puoi stare qui. Al piano di sopra c'è un appartamento libero. Devi solo trasferirci le tue cose», propone Eden, guardando speranzosa Dante per avere il suo appoggio.
Mio fratello non ha ancora aperto la bocca per rivolgermi la parola. Non lo farà fino a quando non mi sarò dato la zappa sui piedi da solo. Ormai usa questa tecnica da mesi e fa un male cane.
Ci sediamo a tavola. Eden riempie i piatti come faceva quando l'abbiamo sequestrata. Si rifiuta ancora di avere una domestica o delle donne delle pulizie, e mentre si muove da una parte all'altra, aiutata da Terrence, continua a conversare come se niente fosse. «Pensaci e fammi sapere. Posso sempre ammobiliarlo secondo il mio stile. È sempre stato il mio sogno realizzare una stanza piena di unicorni o gialla come...»
«Se solo nomini quella cazzo di Spugna dalla risata inquietante di cui sei ossessionata ti prendo a morsi», sibila Dante, facendola arrossire e agitare sul posto.
Quei due hanno una chimica sensazionale. Non ho mai visto nessuno attrarsi e respingersi allo stesso tempo, essere veleno e antidoto. È quasi imbarazzante trovarsi nel raggio di qualche metro a osservarli mentre si scambiano sguardi carichi di promesse. La verità è che si amano come due pazzi e la mia è solo invidia.
Apprezzo però il tentativo mal riuscito di Eden di farlo parlare con me.
«Non voglio darti questo disturbo», appoggio la forchetta nel piatto prima di allontanarlo. «Sentite, mi rendo conto di essere stato un egoista. Ho affrontato le cose nella maniera sbagliata. Ma ci sto provando, okay? Ci sto provando e non è facile per me», torno a concentrarmi sul piatto con sguardo mesto.
«Trasferisciti pure di sopra», afferma Dante dopo un silenzio apparentemente infinito in sala da pranzo. «Affitta davvero quel posto, vendilo o brucialo e vieni qui».
Gratto la tempia. «Non voglio essere di troppo».
Beve un sorso d'acqua. «Non lo sarai. Stiamo per avviare la nuova operazione. Il tuo compito sarà quello di prenderti cura della ragazza e ti servirà un posto sicuro in cui stare e dove non avrai alcuna distrazione».
Stringo la presa sul tavolo increspando la tovaglia stirata con tanta cura. La mascella fa uno scatto e i miei denti si serrano. Comincio a contare alla rovescia partendo da dieci per calmare il respiro e i battiti del mio cuore che accelerano in relazione alla mia rabbia.
«L'avete deciso senza di me, non è così?», chiedo a denti stretti per non ringhiare, scrutandoli a uno a uno.
«Riteniamo che tu sia l'uomo più adatto alla situazione», replica, ignorando la mia domanda.
Dalla bocca, per quanto provi a trattenermi, mi sfugge un verso animalesco. «Certo. Usiamo pure il fratello alcolizzato per badare ad una cazzo di ragazzina. Che cosa potrà mai andare storto?», replico piccato. «Vi aspettate davvero questo da me?»
Dante si alza, gira intorno al bancone della cucina e da un cassetto del mobile vicino tira fuori un fascicolo lasciandomelo cadere davanti. «Ha una taglia sulla testa e ha una bambina», afferma picchiando l'indice tatuato sul bordo della cartellina piena di fogli.
Le ultime parole mi raggiungono come uno schiaffo. «Che cosa significa?»
Con la coda dell'occhio vedo Eden sussultare e chiedere lo stesso a mio fratello.
«Significa che la signorina Thorne ha una bambina da proteggere e tu sarai la sua guardia, il suo punto di riferimento, e nel frattempo raccoglierai ogni tipo di informazione che ha su Hector, suo zio».
«È uno scherzo?», fisso incredulo Dante, ma lui ha l'aria di chi non si sta divertendo affatto. I suoi occhi verdi mi si puntano addosso e so che ha già deciso, so che non riuscirò a smuoverlo dalle sue convinzioni. Perché una volta che ha assunto il ruolo di capitano e dato l'ordine, il suo piano deve essere eseguito. E si dà il caso che io sia incluso nel pacchetto che ha elaborato a mia insaputa. Sono il cazzo di regalo da scartare. La pedina da muovere in un gioco di potere.
Mi sollevo imbufalito, la sedia sfrega sul pavimento, il fascicolo cade a terra aprendosi, rivelando due foto tessere e tanti fogli sparsi con informazioni sugli spostamenti della ragazza datati e fotografati.
«Non prenderò parte a questa missione. Non sono neanche in grado di reggermi in piedi, figuriamoci badare a una ragazzina. Io me ne tiro fuori. È troppo e non è il mio lavoro».
Dante beve un sorso di birra, attutendo il colpo dato dalle mie ultime parole. Eden sta massaggiando il suo avambraccio come se stesse accarezzando un cucciolo sul punto di sbranare qualcuno. Lo conosce, così come lo conosco pure io, a tal punto da sapere che sta per esplodere e comportarsi da stronzo. L'ho visto ammazzare persone per molto meno.
«Ti ho dato alcuni mesi di tempo per riprenderti. Non hai fatto altro che scopare, partecipare a risse e chiuderti in te stesso. Stai gettando la tua vita!»
Non urla. Non ne ha bisogno. Il suo tono e placido, lo sguardo fermo.
«No, no, no. Non siamo a una cazzo di seduta di terapia. Ho già il mio dottore che tu stesso mi hai gentilmente attaccato alle costole».
«Invece dovresti sederti e ascoltarmi. Una volta tanto dare retta al fratello minore. Quello che credevi volesse sottrarti il trono».
È stato un colpo basso il suo.
I miei occhi si incrociano con quelli di Eden. L'unico perno tra di noi. «Siediti, Far». È ancora scossa dalla notizia.
Mi lascio ricadere sulla sedia. «Forza», pronuncio svogliato e sempre più sul punto di scappare o di afferrare la bottiglia di vino al centro della tavola a tentarmi come un faro in mezzo al mare in burrasca. «Sputa fuori tutto quello che hai tenuto dentro e facciamola finita».
«Sai che quello che hai fatto è stato... non saprei neanche come definirlo. Non credo sia uno stupido capriccio o un modo per attirare l'attenzione. Sei abbastanza adulto e so che non è nella tua indole. Solo... sei cambiato e non riesci più a gestire l'odio che senti di provare verso Nolan, il quale non ha colpa. Non poteva sapere...»
Ancora una volta sono in piedi. I miei muscoli agiscono prima del mio cervello. «Basta così. Non voglio sentire nominare il suo nome», confesso. «Adesso lasciatemi andare».
Sono quasi alla porta quando la mano di Dante mi si piazza sulla spalla fermandomi. «La squadra è in azione. L'abbiamo trovata. Andrea la sta seguendo, ma lei non può avvicinarsi ulteriormente perché le due si sono incontrate già una volta, prima che perdessimo le tracce, e non è andata bene», segue un momento di silenzio, quello in cui gli permette di far sedimentare le sue parole dentro la mia testa. «Adesso voglio chiedertelo io un favore, Far. Aiutami e quando sarà finita ti lascerò libero».
Non riesco a frenare l'istinto e non posso ignorare il richiamo fraterno. «Non sono la persona adatta a gestire una ragazzina e una bambina. Vi aiuterò, ma...»
«Dovrai solo seguirla e nel caso intervenire. Non sarai solo, Far».
«Cazzo. Ringrazia che hai un bel faccino».
Sorride e dandomi una pacca mi indica la sala da pranzo. «Andiamo, Eden ha preparato quella crostata ai lamponi di cui vai matto».
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Brutal - Come graffio sull'anima
ActionPaura. Incubi. Dolore. Questo è il mio nuovo mondo. Questo è quello che ho da offrire a chi mi sta intorno, insieme a macerie e distruzione. Nessuno troverebbe un'anima più nera e corrotta della mia. Macchiata e marchiata a fuoco dal destino. All'...