Capitolo 34

1K 72 14
                                    


BLUE

Il tempo attenua solo la paura di un dolore difficile da sedare. Perché a volte non è facile scacciare i mostri che tieni dentro e che si sono annidati nel profondo. Alcuni gridano nel silenzio della tua anima. Alcuni graffiano nel tormento del tuo dolore. Altri vorrebbero solo uscire e liberarti.
Entro nella stanza e mi avvicino alla figura seduta all'angolo. Le gambe al petto, le mani sulla testa. Il dondolio, le parole ripetute e sommesse, al posto delle urla, per non svegliare nessuno.
Mi siedo accanto a lui, il peso addosso della tristezza. Attendo che la crisi sia passata e che torni al presente. Che sappia di non essere solo.
Le lunghe ciglia castane sventolano su e giù un paio di volte prima di avere il suo sguardo addosso.
Ha degli incredibili occhi chiari, simili al ghiaccio puro, a nuvole tempestose pronte a scatenartisi sulla pelle.
Un tempo deve aver avuto uno sguardo affilato, direi tagliente e letale, tipico di ogni Blackwell che io abbia conosciuto; mentre adesso, adesso sembra solo quello perso di un uomo alla deriva.
Mi guarda e come sempre sembra sorpreso di vedermi qui, in attesa che si calmi, al suo fianco e pronta a offrirgli il mio sostegno. Non è arrabbiato dalla mia invadenza.
Il dolore espresso dal suoi occhi non placa la mia apprensione. Perché vorrei fare di più per lui. Mi piacerebbe abbracciarlo, farlo sentire al sicuro. Ma è come un animale torturato, tenuto a lungo in gabbia prima di essere salvato e liberato. Per non turbarlo o spaventarlo, devo fare ogni passo verso di lui con cautela, anticipando a volte le mosse anche verbalmente.
Nolan appoggia, di sua iniziativa, la testa sulla mia spalla e sospira prendendo la tazza fumante quando gliela porgo.
Sono passate poche settimane dal suo ritorno e il processo di riadattamento non è stato facile. Sta lavorando duramente, seppur in maniera lenta, riacquistando fiducia in se stesso. L'unica cosa a metterlo al tappeto, come una costante, sono gli incubi dovuti al ricordo della prigionia.
Nolan non ha ancora raccontato niente di quello che accadeva in quel luogo. Dante, più volte e con metodo, ha provato a interrogarlo, gli ha persino spiegato che una sua confessione sarebbe utile contro Parsival. Finora non ha ottenuto niente. Nolan continua a non volerne discutere. In certi momenti ha chiesto persino di stare lontano dai suoi fratelli, e so quanto questo stia mettendo a dura prova la pazienza di Dante e i nervi di Faron. Proprio come so che per il suo bene entrambi accettano questi momenti.
Nolan beve un sorso di tè. Fissando il liquido caldo passa il dorso sulla fronte umida. «Mi dispiace».
«Ti senti meglio?»
Fa un sorriso mesto. «Meglio è una parola che allo stato attuale delle cose non esiste nel mio vocabolario, Blue. Sto da cani ma il peggio è appena passato».
Mi piace la sua schiettezza. Rivedo molti lati tipici dei fratelli Blackwell e questo mi fa ben sperare che lui non abbia perso completamente se stesso in quel posto lugubre descritto da Faron.
«Non so quello che hai passato, ma so come ti senti. Per mesi ho sofferto di terrori notturni dopo essere quasi morta insieme alla mia bambina. Di recente ho scoperto che il mandante era il mio vero padre ed è stato un ulteriore shock».
Sul suo viso si forma uno scorcio di curiosità e forse anche di rabbia. È a malapena visibile, ma è sufficiente a farmi proseguire.
«Mi svegliavo con il cuore in gola ogni notte. A volte mettevo degli allarmi sul cellulare per svegliarmi prima che gli incubi si presentassero, come se fosse possibile prevederli», racconto ripercorrendo quei momenti bui e dolorosi. «Mi buttavo nel lavoro e sullo studio pur di non dover chiudere gli occhi. Ma le mie condizioni di salute, spesso, non mi consentivano di superare quel limite».
«Ne sei uscita?»
«Ho fatto del mio meglio per lasciare il passato alle spalle. Ma ho dovuto farci i conti. Perché devi prima chiudere un capitolo e dargli una fine degna se vuoi davvero proseguire scrivendone un altro senza commettere gli stessi errori».
Beve un altro sorso. «Hai ragione. Spero di riuscire a farlo con la stessa forza con cui l'hai fatto tu. Ti ammiro molto e ti sono grato per quello che fai per me».
Lo spingo affettuosamente. «Ho commesso anch'io le mie stronzate. Ma sappi che prima o poi le tempeste si trasformano in mare limpido e i giorni grigi si riempiono di colori allo spuntare del sole. Non abbatterti, vedrai che passeranno».
Dal baby-monitor Isobel ci interrompe per avvisarmi di essere sveglia.
Nolan mi guarda come un cucciolo smarrito. Sa di non potermi trattenere.
Valuto con attenzione i suoi movimenti, e notandolo ancora scosso decido di fare un tentativo diverso. «Ti va di conoscerla?»
Nolan non ha voluto avvicinarsi a Isobel per paura di avere strane reazioni improvvise che potrebbero spaventarla.
«Pensi che sia pronto?», domanda titubante.
«Sei in ritardo. Ti avviso che Isobel è una gran coccolona e burlona, vedi di non sembrare spaventato di fronte a lei o userà la tua debolezza a suo vantaggio per ottenere quello che vuole», gli sorrido divertita. «Andiamo, non c'è niente di cui preoccuparsi».
Nolan mi segue nella stanza di Isobel. La troviamo seduta sul lettino della sua culla, in attesa e impegnata a mordere l'orecchio di Stitch.
«Mama!», dice gioiosa protendendosi.
La sollevo e la sistemo su un fianco. Lei scruta Nolan, rimasto impacciato sulla soglia.
«Lui è Nolan. Il fratello di papà. Hai un altro zio».
In un primo momento nasconde il viso, poi sbircia e gli sorride salutandolo con la manina.
Nolan abbassa le spalle e sorride di rimando a mia figlia sfoderando una graziosa fossetta. Eredità che Isobel ha nel suo bagaglio genetico.
«Avvicinati», lo invito a entrare mentre cerco una salvietta e un pannolino per cambiarla.
«Sei sicura? Faron non si arrabbierà?», domanda guardando alle spalle il corridoio dal quale siamo arrivati.
«Sarà contento del tuo tentativo. E non lo dico per forzarti a fare qualcosa».
Nolan si concentra su Isobel e facendo un passo avanti entra nella camera, evitando peluche e giochini di gomma come un elefante in una cristalliera.
«Ciao», saluta Isobel abbassandosi con la schiena per ritrovare il viso all'altezza di quello di mia figlia, la quale lo studia tutta timida inizialmente, poi sporgendosi gli sbatte le mani sulle guance e ride ritirandosi.
Nolan spalanca gli occhi e quando penso che possa darsela a gambe, invece scoppia a ridere. Una risata roca che mi fa stringere il cuore di tenerezza. Da quanto tempo non ride?
«Ti va di tenerla mentre le preparo il necessario per cambiarla e darle il biberon?»
Nolan indietreggia improvvisamente terrorizzato. «Non so come fare», dice in imbarazzo per spiegare la sua reazione.
«Anche tuo fratello, quando ancora non sapevamo che lei fosse sua figlia, la prima volta si è rifiutato. Poi però l'ho beccato mentre la prendeva senza timore. Tranquillo, non morde», le posiziono Isobel in braccio e lui trema lievemente. Ricordando però quello che gli ho detto su di lei, finge di non essere nervoso mentre Isobel continua a testare il suo nuovo zio.
Preparo il pigiama e il biberon mentre con la coda dell'occhio mi assicuro che entrambi stiano bene. Quando mi volto, Nolan sta cullando mia figlia sussurrandole qualcosa.
Mi avvicino. «Come va?»
«È una brava bambina. E adesso capisco perché Faron è geloso di entrambe».
Quando riprendo Isobel in braccio lui mi segue e mi aiuta mentre la cambio poi si siede per terra, io prendo posto sul pouf per darle da mangiare e ci osserva incantato.
«Lo ami?»
«Se rispondo tanto risulto sciocca?», ribatto con le guance in fiamme al pensiero che Faron possa ascoltarci o guardarci dal baby-monitor.
«Non hai paura? Dell'amore, intendo».
Rifletto per un attimo alla sua domanda e capisco quello che ha bisogno di sentirsi dire. Solo che mi sento in dovere di essere sincera con lui.
«L'amore non ti rende debole. Fa paura, può lasciare un segno, ma in qualche modo, qualunque sia la conclusione, ti fortifica. Me lo stai chiedendo perché hai in testa una persona?», il disagio rischia di serpeggiarmi sotto la pelle come acido al pensiero di dover ascoltare qualcosa che ha a che fare con la donna che ha demolito Faron. Ma Nolan fino a ora non ha mai chiesto di lei. A un certo punto inizio persino a dubitare che se ne ricordi.
«Non credo di poter essere pronto. Sono debole, Blue. Nessuno mi vorrà così».
«Non ne sarei poi così convinta. Le cose potrebbero cambiare. Le persone ti si insinuano dentro in tanti modi e alcune sono pronte a fare attenzione alle tue cicatrici, a prendersene cura».
Passa il dorso sul naso poi arruffa i capelli. «C'era una persona. Siamo cresciuti insieme ma sono anni che ormai non ho sue notizie».
Ci siamo, mi dico.
«Eri legato a lei?»
«Era anzi è la persona più sincera che io abbia mai conosciuto. L'unica capace di sbatterti in faccia la verità pur consapevole delle conseguenze».
Vederlo sorridere mi fa stringere il cuore. Forse non è il momento di dirgli che quella donna non c'è più.
«Le nostre strade si sono divise per un errore. Le nostre famiglie si sono allontanate e da allora ho sempre vegliato su di lei. Be' fino a quando ho potuto e me lo ha permesso. Ma credo di averle spezzato il cuore. Non ero come sono adesso».
Quindi non sta parlando di lei?
«Puoi sempre ricontattarla. Terrence è un mago dell'informatica, potrebbe aiutarti».
«Lo sei anche tu. Ma anche se lo volessi, ormai non credo sia necessario. Lasciamo le cose così come stanno. Magari è felice. Non voglio rovinarle la vita».
Vorrei tanto insistere per farmi dire il nome di quella donna, ma annuisco, accettando la sua decisione.
Accogliamo il silenzio senza turbamento, osservando mia figlia.
«Mi impegnerò», dice.
Non rispondo. Lo lascio libero di decidere mentre gli tengo compagnia e lo aiuto a sentirsi meno solo.
Quando la stanchezza si fa evidente sul suo volto affilato, addormento Isobel e lo lascio nella sua stanza dopo essermi assicurata che abbia tutto a sua disposizione in caso di crisi.
Abbiamo installato anche nella sua stanza un monitor in modo tale da agire in suo soccorso quando il panico è feroce, proprio come questa notte.
«Grazie, Blue».
«Figurati. Dormi bene. A domani».
«Domani è Natale».
«È anche il compleanno di Isobel. Quindi se te la senti di stare con noi, ci troverai di sotto. Non ci saranno estranei e nessuno ti fare domande. Abbiamo solo bisogno di festeggiare qualcosa».
Nolan riflette. Tira fin sopra il mento la coperta. «Ci penserò su».
«Saranno tutti felici di passare un giorno di festa insieme, in famiglia», dico e notando le sue palpebre abbassarsi, esco dalla stanza pronta a raggiungere la mia. Prima però lo sento richiamarmi, pertanto mi fermo sulla soglia e mi volto restando in attesa.
«Per favore, smettetela di chiamarmi Nolan. Il mio vero nome è Rhett, Nolan Rhett Blackwell. L'ho sempre preferito».
«Va bene, Rhett».
Dopo essere uscita dalla stanza con stampato uno strano sorriso, faccio piano, chiudo la porta e a passo felpato raggiungo il letto, anche se non c'è bisogno di tanta cautela.
Appoggio la testa sul cuscino scivolando più vicina a lui. «Puoi anche ammetterlo. Nessuno lo verrà a sapere».
Toglie gli occhiali da lettura. Quando l'ho visto per la prima volta, seduto a quel tavolo, ricordo di essere rimasta sorpresa dalla bellezza emanata indossando un semplice accessorio. Ora, non è diverso quello che mi provoca dentro.
«Ammettere cosa?», spegne la luce da lettura, si sdraia su un fianco per guardarmi e rivolgermi tutta la sua attenzione. 
«Non riesci a nascondere il fastidio».
La sua mano prende ad accarezzarmi la guancia. «Non sono infastidito», replica monocorde, spostando il pollice sul mio labbro e sfiorandolo appena.
«Pensavo di essere io quella pessima con le bugie».
Inarca un sopracciglio scuro e folto, assottigliando di seguito la palpebra come un rapace particolarmente attento alla sua preda preferita. «Lo sei», afferma con un lieve sorriso che mi provoca un prolungato e piacevole brivido.
Afferro la sua mano. «Far, so cosa stai provando».
«Davvero?», domanda. Non c'è traccia di ironia o scherno nel suo tono.
Sposta la mano sulla mia nuca. Sente e vede la reazione del mio corpo. «Quindi sai che vado fuori di testa quando ti vedo con un altro. Sai che non voglio essere uno di quegli uomini gelosi e possessivi perché stai solo cercando di fare del bene. Sai che sto trattenendo quel lato che non dovrebbe creare discordia tra di noi perché mi fido di te».
Inspiro il suo profumo, avvolgente, invitante, mio. «So anche questo. Ma vorrei tanto che ti liberassi dai pesi che continui a tenere dentro. Sono tua amica, no? Allora trattami come tale e raccontami, dimmi quello che ti passa per la testa».
«Ci ho provato, Kelebek».
«Continua a farlo e non preoccuparti di poter apparire geloso. Ti conosco e so che come me faresti di tutto per le persone alle quali tieni. Continui a dimostrarlo, anche quando quello ad avere bisogno sei tu».
Avvolge un braccio intorno al mio fondoschiena e mi avvicina a sé dandomi un tenero bacio sulla fronte.
Mi beo della sensazione del suo tocco. Dentro esprimo il desiderio di poterne avere ancora per tanto tempo.
«Lo stiamo facendo bene?»
«Stiamo facendo il possibile, Far».
«Vorrei che fosse abbastanza», mormora stanco.
Gli accarezzo la schiena. «Lo sarà quando riprenderà a sorridere e smetterà di avere il timore di poter tornare in quel posto. Diamogli un po' di tempo e non darti nessuna colpa. Hai fatto il possibile, adesso sta a lui darsi una spinta».
«Come ho fatto a vivere senza di te per tutto questo tempo? Sei perfetta».
La sua affermazione sotto forma di domanda mi provoca un sorriso e un soffuso rossore. «Non adularmi troppo. Commetto anch'io degli errori».
Mi bacia ancora la fronte. «E da essi impari qualcosa e vai avanti. Anche se il mio era un complimento. Evidentemente non sono bravo e faccio ancora schifo in queste cose».
«Puoi sempre migliorare. Riprova».
Sbuffa e io ridacchio.
Di seguito restiamo per un paio di minuti in silenzio. I nostri cuori battono all'unisono e i nostri respiri si fondono in una danza lenta.
So cosa sta pensando e vivendo e non posso bloccare sul nascere ogni barlume di tristezza affiorato dai suoi occhi. Il suo corpo si chiude a riccio, si rannicchia e mi si adagia con la testa sul ventre circondandomi con un braccio.
Il contratto con la sua pelle è sempre piacevole. Perché toccarlo, mi scarica addosso voglie improvvise che intendo permettergli di soddisfare.
Le mie dita affondano e massaggiano la sua chioma. Emette un breve sospiro e si rilassa. Quando è calmo, solleva il viso.
«Perché mi stai guardando così?»
Se non lo conoscessi un minimo potrei affermare che sia imbarazzato.
Come fai a spiegare alla persona che ti fa battere il cuore in modo diverso da tutti gli altri, l'amore smisurato che senti?
«Perché ti amo. Ti amo molto, Far, e non so come dimostrartelo perché sento che non è abbastanza. Tu hai ridato vita al mio cuore. Tu sei un pezzo del mio cuore. Senza di te, io, io mi sento un ingranaggio incompleto».
Faron mi accarezza pigramente la guancia, dopo aver portato una ciocca di capelli sfuggita allo chignon scomposto dietro l'orecchio. I suoi lineamenti si distendono e nasconde quel sorriso che raramente esce allo scoperto e che riserva sempre per i nostri momenti. È tutto mio. Un regalo che ricevo e a cui tengo gelosamente perché so quanto sia raro.
«Quindi, tu mi ami, molto».
«Non te ne sei accorto?»
Si avvicina come una fiera, facendo elettrizzare il mio corpo.
«Cosa? Il modo in cui mi hai conquistato?»
«Ti ho conquistato?», chiedo stando al suo gioco. «Pensavo fosse più difficile scalfire l'armatura di Faron Blackwell».
Sempre più divertito e vicino, mi avvolge il busto tra le braccia. Mantiene le labbra a pochi centimetri dal mio orecchio e io trattengo il fiato. «Con te sono in grado di vivere anche quando mi sento debole. Perché tu, mia piccola farfalla, mi rendi forte», mormora. «Mi hai conquistato in modi che non puoi immaginare. Spero di riuscire a dimostrarti sempre quello che sento, anche quando non ne sono all'altezza».
Ancora una volta è stato lui a risolvere ogni dubbio. Gli circondo il collo e premo le labbra sulla sua guancia. «Quindi...»
«Quindi...», mi fa eco, in attesa che prosegua.
«Mano nella mano?»
«Ti porterò anche in braccio se necessario, ma sarai al mio fianco per tutto il tempo che vorrai. Perché io non ho alcun dubbio sul fatto che l'eternità non sarà mai abbastanza per l'amore che sento per te», dice, e senza attendere comincia a lasciare una scia di baci a partire dal mio ventre fino al seno e sotto l'orecchio.
Muovo la mano in basso partendo dal pettorale sodo, sentendo al di sotto del tessuto i suoi addominali muoversi a ogni respiro.
Sono ubriaca del suo profumo e sempre soggetta della bellezza a metà tra angelo e diavolo di quest'uomo che è ormai tutto ciò che voglio.
Raggiunge il mio viso e sbatte le labbra sulle mie. Calde, invitanti, con un pizzico di prepotenza, si muovono lascive approfondendo un bacio capace di stordirmi.
Mi sento sempre così unica da desiderare di poter fermare il tempo per avere ancora un assaggio di questo amore.
Sotto il suo corpo, il mio risponde in automatico.
Faron mi inchioda al materasso, tra le lenzuola di seta nera, rendendo bollente l'aria che a stento riesco a respirare.
Intrappolo il suo viso tra le mie mani. L'emozione mi sovraccarica, i battiti si inseguono frenetici insieme ai nostri respiri che si spezzano a ogni movimento nuovo e delicato della lingua.
Un lungo brivido mi serpeggia lungo la spina dorsale quando le sue mani si artigliano intorno alle mie cosce. Le mie dita affondano sulla sua cute, tirandogli i capelli fino a fargli uscire dalla gola un verso virile, che promette peccato e perdizione.
Accarezzo la sua lingua, ritrovandomi a stringere con le gambe i suoi fianchi. Schiacciata contro il suo corpo solido, caldo e ricettivo, annebbiata da queste emozioni che mi si incidono a fondo.
Trattengo il fiato e mi allungo appena quando con lentezza preme le labbra sulla spalla spostandosi verso il collo. Giunto sotto l'orecchio sento la pressione dei suoi denti, l'acuto dolore del morso prima del bacio e del formicolio a depositarmisi sul basso ventre.
Mi sta tormentando e lo sa.
Le sue mani scivolano sulle mie natiche e mi premono ancora di più a sé.
Mi sfugge il suo nome, lo pronuncio tra un ansito e un gemito, con il braccio che si artiglia adesso alle sue spalle e le dita a premergli sulla nuca.
«Non è mai abbastanza questa fame che sento», mormora afferrandomi un seno.
Il suo tocco sicuro mi provoca un improvviso bisogno.
L'elettricità vibra tra di noi a ogni gesto. Un crepitio nell'aria che si mescola ai gemiti quando le sue dita si muovono abili verso le mie gambe. Raggiungono i miei slip e tirano giù la stoffa come se fossero l'unica cosa al mondo a impedirgli di avermi pelle contro pelle.
Ha intenzione di divorarmi piano, nel corso della notte, fino a sfinirmi. E io ho bisogno di lui. Ho bisogno delle sue mani, della sua voce tenera, delle sue parole sporche mentre scopiamo. Ho bisogno di gustarmi ogni singolo istante. Di averlo vicino e dentro di me fino a sentirmi di nuovo intera.
Mi sfila via la vestaglia, si abbassa e comincia a baciarmi lo sterno. Le mie dita tirano giù i suoi pantaloni insieme ai boxer, lasciando che la sue erezione svetti fuori.
Il suo respiro, quel rumore acuto contro l'orecchio, mi provoca un gemito mentre il piacere invade il mio corpo sotto forma di scossa elettrica.
La sua bocca avvolge il capezzolo e durante la prima suzione, le mie gambe si spalancano, i muscoli del mio ventre subiscono uno spasmo e dalla mia gola sfugge un verso abbastanza alto da provocargli uno spasmo.
Le sue spalle sussultano e il suo membro nella mia mano si ingrossa, ma continua lo stesso a succhiare e a stringere con l'altra mano il mio seno.
«Far», pensieri sconnessi mi impediscono di dire altro.
Risucchio l'aria in pancia quando la sua mano scivola, supera il ventre fino a piegarsi in mezzo alle mie cosce e le sue dita prendono a muoversi pigre tra le mie pieghe bagnate. Le allarga e ci infila un dito muovendolo, inarcandolo a uncino per sfiorare tutte quelle terminazioni nervose che mi fanno urlare.
Mi tappa la bocca con la sua e continua inarrestabile prima di posizionarsi e premersi tra le mie gambe. Mi solleva un ginocchio premendoselo contro un fianco e ne approfitta per spingersi dentro.
«Va bene così?», mi bacia dal collo alla spalla.
Mi aggrappo a lui e sorride quando sollevo anche l'altro ginocchio, in modo tale da intrappolarlo.
Si inarca in risposta. I muscoli del petto gli si contraggono. Pochi istanti dopo si abbassa e mi penetra.
Si prende il suo tempo, senza mai smettere di tenere lo sguardo fisso sul mio che neanche per un secondo oso distogliere per non spezzare la magia, ma è sempre più difficile mantenere il controllo.
Lo sento, sfrega le pareti in un costante martellare, unendosi al pulsare del mio cuore.
Affonda la testa sul mio petto, risale e con i denti graffia il punto sensibile sotto l'orecchio. Morde e succhia mentre il suo membro spinge contro il mio clitoride.
«È troppo!», esclamo stringendo le cosce. «Ma non è abbastanza!»
Intuendo la mia richiesta, chiude gli occhi e pompa dentro di me ancora più forte. Mi afferra per la nuca e premendo la fronte contro la sua, mi divarica le cosce e mi scopa come un animale selvaggio.
È così bello. Così forte. Così primordiale, da graffiargli la schiena mentre urlo per averne di più.
I suoi occhi incontrano i miei, il suo corpo diventa rigido. "Sto per venire!", mi avverte con un'imprecazione.
Sento il primo fiotto caldo e il suo verso roco raggiungere i miei nervi. Le gambe mi tremano, lui le agguanta con i suoi palmi grandi e sorreggendomi spinge ancora.
Afferro il suo viso cedendo all'orgasmo e lui si ferma godendosi i miei spasmi intorno a lui.
Chiude gli occhi. «Ti amo, Kelebek. Buon Natale».
«Buon Natale, amore».

💛🦋

Un felice e sereno Natale, nuvole. ♥️

Brutal - Come graffio sull'animaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora