FARONDovrei essere incazzato, dar sfogo alla rabbia che mi avvolge per il fatto che ancora una volta non sono padrone della mia vita, ma qualcun altro sta scegliendo al posto mio. Dovrei cambiare idea, andarmene in hotel e lasciar gestire tutto a loro. Eppure, eccomi qui, in questo parcheggio sotterraneo, nel mio stesso palazzo, a osservare le porte scorrevoli dell'ascensore che si sono appena chiuse.
Immobile, sotto la luce abbagliante di un neon, continuo a restare in silenzio e a lasciare alle ultime immagini la forza di rilasciare il loro dolce veleno sui miei sensi.
Di tanto in tanto arriva il rumore della città, le auto che passano, le ambulanze che sfrecciano, gli elicotteri che sorvolano la zona. L'aria calda mi si appiccica addosso e solo ora mi rendo conto di essere pieno di sangue e di tenere ancora un'arma scarica in mano.
Non ho subìto nessun colpo durante lo scontro e non ho esitato un solo istante a proteggere mio fratello e i suoi uomini, persino Coleman, quando quei farabutti hanno tentato di farci fuori e scappare.
Neanche avessi toccato un oggetto talmente caldo da ustionarmi, porgo la pistola a mio fratello, il quale prende l'arma e la nasconde dietro la schiena; senza nemmeno assicurarsi che io abbia messo la sicura. Si rivolge quindi a Terrence che come sempre è disposto a fare tutto il lavoro sporco.
Prima non ha di certo nascosto i suoi reali pensieri. Quando smette di essere il principe azzurro di cui tutti si fidano, sa comportarsi da gran bastardo. L'ho visto più volte in azione e non conviene averlo come nemico.
Non dimentico il posto dal quale proviene, né ogni dettaglio della sua vita. Anche se sorride sempre e cerca di smorzare qualsiasi tensione con battute e risate, Terrence nasconde un animo cupo, impregnato di dolore. Da quando ha perso la sorella in modo brutale, si è adoperato e impegnato tanto per aiutare il prossimo. È cambiato e non è mai tornato indietro.
Il senso di colpa per qualcosa che non ha commesso, con ogni probabilità, lo accompagnerà per sempre come una punizione auto-inflitta. È un ragazzo che ha ancora tanta strada davanti a sé, ma sono sicuro che arriverà lontano.
«Me ne occupo io», sta dicendo a Dante, come se non ci fossi.
Mi indispone questa sua mancanza di tatto. Chiaramente il suo scopo è quello di farmi incazzare per vendicarsi. Mal tollera il fatto che io abbia agito prendendo in mano la situazione, partecipando in tutto e per tutto.
«Il palazzo è mio, l'appartamento pure. È entrata nel mio territorio, spetta a me».
«Smettila di parlare come se fosse una questione di potere».
«Perché, non lo è? Si tratta sempre di questo, piccolo Terrence. Hector la vuole per arrivare a qualcos'altro. Stasera è stata fortunata. Quanto ancora riuscirà a uscirne illesa?»
Il pensiero di lei in pericolo, ancora una volta, ha fatto in modo che mi si abbattesse addosso un forte senso di protezione. Non ero con lei perché ho ceduto il posto a Terrence, convinto che avrebbe gradito di più la sua presenza. Eppure l'ho sentito quel bisogno, quella richiesta, seppur silenziosa, fluire dalla sua voce mentre le parlavo al telefono. La battuta sconcia di prima è stata solo dettata dall'impeto del momento. Perché vederla agitata e sentirle dire di non voler stare con me è stato come ricevere un colpo alla nuca. Ho percepito quell'inutile senso di tradimento. La brutta sensazione di non essere gradito.
«Faremo il possibile. Per stanotte starà qui», dice mio fratello, rifiutando una chiamata da parte di Eden.
Sia io che Terrence, notando i suoi movimenti, il lieve tremolio alla mano, gli stringiamo la spalla. «Va' a dormire. Qui starà bene. La zona è ben sorvegliata. Se dovessero verificarsi problemi, sarai il primo a saperlo. Di' a Eden di passare per venire a trovare la ragazza».
Dante mi guarda poco convinto, ha ancora qualcosa da dire e riesce a stento a trattenersi, poi si affida a Terrence, l'amico che non lo ha mai deluso.
Incasso l'ennesima pugnalata senza mostrare il minimo dispiacere.
«Riporta Coleman a casa. Oggi ha avuto una strana reazione. Quella ragazza le piace davvero e ancora non abbiamo nessuna certezza che non sia in combutta con Parsival. Meglio non rischiare».
Il pensiero che quel coglione possa farle qualcosa fa scattare in me un altro istinto, e dopo aver salutato Dante, con Terrence, saliamo nel mio nuovo alloggio. Io quasi smanioso di raggiungerli, Terrence alquanto pensieroso.
Non ho ancora avuto modo di ammobiliare ogni singola stanza, dato che dormo in hotel e sono stato parecchio impegnato. Pensavo di poterlo fare con calma e scegliendo ciò che mi piace. In fondo, sarà il mio rifugio e mi rifiuto di pagare qualcuno che utilizzerebbe una rivista per farmi scegliere e per avere infine qualcosa di già visto o troppo perfetto.
Ci sono alcuni scatoloni lasciati all'entrata, la zona giorno è ancora piena di teli, fusti di colore e pareti da dipingere, ma le camere da letto e la cucina sono pronte e in ordine. Nonostante sia facile andare in hotel e avere tutto a portata di mano, mi è servito un posto tranquillo in cui potermi riposare e allontanare dalle continue sorprese che ricevo nel cuore della notte nella suite. Mi sto ripulendo e ci sto provando, anche se sembra che le tentazioni non siano mai abbastanza.
Troviamo la ragazza in cucina. Su una porzione libera dell'isola ha disposto le cose per la bambina e le sta dando il biberon, mentre Cole, le maniche della camicia arrotolate, sta lavando i nuovi oggetti per permetterle di usarli.
La vista è talmente assurda da risultare anche sospetta. A che cazzo di gioco sta giocando?
Terrence si schiarisce la voce per interromperli, e gli fa cenno di andare.
«Ti aspetto a mensa?», gli chiede lei speranzosa.
Cole esita un attimo quando incrocia il mio sguardo, si asciuga le mani con uno strofinaccio. «Spero di avere la possibilità, non te lo prometto. Ma farò il possibile per sentirci più spesso», le si avvicina, le bacia la tempia, lascia una carezza alla bambina e segue Terrence senza ulteriori proteste. Quest'ultimo saluta anche lui le due. Entrambi spariscono dentro l'ascensore bisbigliando.
«Appena Isobel finisce di mangiare pulisco tutto», mi avvisa.
«Puoi lasciare ogni cosa così com'è», taglio corto. «Cole ti ha mostrato la stanza?»
«No, non ha voluto invadere il tuo ambiente».
Questa sì che è una grossa novità. Che provi davvero qualcosa di simile all'affetto per lei e non sia in combutta con il padre?
«Puoi prendere quella in fondo al corridoio. C'è un bagno e una cabina armadio dove puoi sistemare le tue cose».
La bambina inizia a chiudere gli occhi. Lei attende paziente. Quando ha finito adagia il biberon sul bancone, sistema una copertina sulla spalla e sollevando la bambina inizia ad accarezzarle la schiena e a baciarle la tempia cantandole una ninnananna.
Smetto di fissarle come un coglione che non ha mai visto niente di simile e senza dire niente mi sposto nella mia stanza.
Nel mio bagno, mi do una sciacquata, mi cambio la camicia sporca di sangue del tizio che ho pestato e catturato, indossando una semplice maglietta di cotone. Tolgo anche i pantaloni sostituendoli con una tuta, e a piedi nudi entro nel mio studio dove mi siedo alla mia nuova scrivania.
Sblocco lo schermo del computer e del tablet, controllando i video delle telecamere installate intorno al palazzo. Di tanto in tanto, i miei occhi corrono verso il riquadro della cucina. La ragazza ha lasciato la bambina in camera, e con un baby-monitor controlla che lei stia dormendo mentre mette in ordine quello che Cole ha lavato.
Torno a fissare gli altri riquadri e impongo a me stesso di non essere così stupido.
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Brutal - Come graffio sull'anima
AcciónPaura. Incubi. Dolore. Questo è il mio nuovo mondo. Questo è quello che ho da offrire a chi mi sta intorno, insieme a macerie e distruzione. Nessuno troverebbe un'anima più nera e corrotta della mia. Macchiata e marchiata a fuoco dal destino. All'...