Capitolo 18

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BLUE

Se c'è una cosa che con il passare del tempo e attraverso le esperienze impari, è che il tradimento spezza per sempre un filo fragile a tenere legato un pezzo nella tua anima.
Impari che bisogna poi convivere con quel senso di sfiducia senza mai trasformarti in qualcuno che non sente niente.
Chiudo l'armadietto, sollevo il borsone e mi accingo a uscire dallo spogliatoio. Lo sguardo basso, la presa solida sulla tracolla e l'intenzione di andare a prendere mia figlia e scappare lontano, dove nessuno potrà farci del male, viene spazzata via da una serie di frasi che mirano dritte al mio cuore. Perché non c'è niente di più vile della cattiveria gratuita che ti si inietta dentro come veleno.
«Non mi piace quella ragazza».
«Già, ha qualcosa da nascondere».
«È sotto l'ala di Rose e anche di quello nuovo, Warner Hudson. Non penso sia un segreto ormai».
«Se la farà con entrambi?»
«Di certo le piace aprire le gambe quando quello stronzo di Rose apre bocca. Avete visto come chiacchierano o si scambiano sguardi quando pensano che nessuno li stia osservando?»
Risatine e altre battute riempiono la stanza fino alle mie orecchie.
La cosa davvero assurda è che fingono che io non ci sia. Sanno che ho appena concluso il mio turno, qualcuno mi ha persino vista entrare per cambiarmi, ma a quanto pare non gli importa. La loro intenzione è ferirmi per farmene andare. Perché per loro non è questo il mio posto.
«Non capisco lo stesso come faccia a essere prima in ogni singola prova pratica. Avrà un punto debole?», mormora alle altre Angela, come sempre pronta a mettermi in cattiva luce per poter brillare sulle altre e spingerle a odiarmi.
«Forse dovresti parlare meno e lavorare di più», replica una voce simile a un tuono che squarcia il silenzio di una notte tranquilla, alle mie spalle. «Questo è sicuramente il tuo di punto debole».
Mi volto di scatto, proprio come fanno tutte le ragazze presenti. Alcune si sporgono persino dalle panche per godersi lo spettacolo imminente. Altre si nascondono o si affrettano a uscire, incapaci di subire una lavata di capo imminente.
Gli occhi chiari di Ace sono puntati davanti a me. Con le braccia incrociate al petto ampio e l'aria altera, incute così tanto timore da suscitare diverse reazioni, specie da parte delle ragazze che stavano parlando alle mie spalle dandomi apertamente della puttana.
«Dopo quanto appena sentito, mi trovo costretto a prendere seri provvedimenti».
«Stavamo solo...», ha la faccia tosta di replicare una di loro, beccandosi al contempo l'occhiataccia di ammonimento da parte delle altre.
Ace coglie al volo l'opportunità. «Cosa? Affibbiare altri nomignoli ingiusti e disgustosi alle spalle di una vostra compagna? Oppure stavate solo cercando di liberarvi dalla rabbia per non poter essere al suo stesso livello?», alza il tono, ma rimane calmo. La cosa inquieta tutte, facendole irrigidire come cadette.
«Questo è l'ultimo avvertimento che voglio darvi, poi passerò ai fatti perché mi sono stancato delle vostre stronzate», le guarda a una a una. «Studiate e impegnatevi al massimo e smettetela di paragonarvi o non supererete nessun esame. La signorina Thorne è preparata, e di sicuro non ha bisogno di venire a letto con me per raggiungere il massimo livello di bravura. Potete dire lo stesso di voi?»
Le sue parole sono dirette e non lasciano spazio ai dubbi o a una replica.
Intorno, nessuno osa ribellarsi, non dopo la velata minaccia di una bocciatura e di una conseguente stroncatura di carriera ancor prima del suo inizio.
Chiunque sa che note di demerito nel proprio curriculum non sono ammesse nel nostro ambito. Neanche per gente come queste ragazze, abituate ad averla sempre vinta e ad andare avanti grazie al supporto del denaro delle proprie famiglie.
Dispiaciuta e in forte imbarazzo per la scenata di Ace, e per il timore delle ripercussioni e del modo in cui mi tratteranno dopo oggi, esco defilata dalla saletta. Corro a prendere mia figlia con una serie di pensieri in grado di distrarmi dai semplici compiti basilari che ho sempre svolto in automatico. 
La trovo addormentata nel suo lettino. Una delle volontarie mi rassicura che non ha pianto e si è comportata bene quando mi scuso con lei per non essere stata presente nel corso della giornata. Mi chiede se ho bisogno di qualcosa perché le sembro stremata, ma taglio corto e sollevo mia figlia dalla culla. Le bacio la tempia e la cullo un po' prima di ringraziare ancora la volontaria, salutare e incamminarmi verso l'ascensore.
Dimentica della cena e di Ace, con la voglia di fare i bagagli sempre più invadente, sono sul marciapiede quando una zaffata di profumo costoso raggiunge le mie narici e il mio borsone viene sollevato e allontanato dalla mia spalla facendomi sbilanciare. Sto per protestare, ma Ace mi indica la sua Jeep a poca distanza, con il motore già avviato e le portiere aperte. Ha lasciato il camice per indossare una camicia azzurra a risaltargli il colore degli occhi e pantaloni blu scuro aderenti ai muscoli delle gambe lunghe.
«Scappi dopo che ho difeso il tuo onore? Così mi ferisci», esclama con un minuscolo cipiglio nascosto dietro un sorrisetto.
«Hai solo difeso il tuo ego. E ammetti che avevi voglia di sgridarle già da un pezzo, perché sei uno a cui piace il controllo», lo seguo in auto.
Abbassa subito il volume della musica per permettere a Isobel di dormire, poi regola il termostato dell'auto per farci viaggiare comodamente.
Nel corso della giornata le temperature si sono abbassate considerevolmente. Il cielo è un miscuglio di colori che virano dall'azzurro all'arancio. Poche sono le nuvole solitarie a intaccare un quadro meraviglioso e che preannuncia una nuova giornata serena.
«So che aspettavi anche tu il momento in cui avrei fatto cadere qualche corona».
Non dovrei, mi ritrovo lo stesso a ridere. «Ti piacciono i fantasy dottor Rose?»
«Film», precisa in fretta tutto orgoglioso. «Stai bene?», chiede dopo appena un momento fermandosi a una stazione di servizio per fare il pieno.
«Sì?», la risposta mi esce più come una domanda. In realtà non so come mi sento.
Tra le sue sopracciglia si forma ancora quel cipiglio che vorrei tanto far sciogliere semplicemente toccandolo. È questo l'istinto che ho e che devo tenere a freno per non mettermi in ridicolo.
Mi trattengo a stento e mi schiaffeggio da sola mentalmente, rendendomi conto di essere un disastro. Non dovrei pensare certe cose. Non con uomini come Ace o...
Scrollo la testa e per distrarmi sistemo meglio la copertina su Isobel.
Dopo avere fatto benzina, Ace riprende a guidare.
«Prima non sembravi convinta, che succede?»
«Dove stiamo andando?»
«Eden ha organizzato una cena in una delle tante ville che mio cognato possiede.  Negli ultimi giorni si sono un po' isolati. Le farà bene vedere te e Isobel».
Abbasso lo sguardo sulla mia bambina.
«È successo qualcosa, vero?»
Non risponde e il nodo allo stomaco si rafforza. «Da quanto stanno provando?»
«Da abbastanza».
«C'è una possibilità per lei?»
«Minima».
«E lo sa?»
Ace passa in un gesto veloce la mano tra i capelli. Non mi sfugge il modo in cui si aggrappano alla cute. «Non farò mai la parte del medico con mia sorella, ma sono stato sincero quando ha richiesto un mio parere».
Con la coda dell'occhio colgo la sua espressione affranta. È chiaro che sia preoccupato per lo stato di salute fisico e mentale della sorella.
«Perché le vuoi bene», mi sfugge piano.
Provo un po' di invidia. Io sono sempre stata sola e nessuno mi ha mai protetta così. Deve essere bello sentire l'affetto e quel senso di sicurezza.
Lui lo sente e annuisce. «E perché non voglio vederla soffrire mai più».
Arriviamo alla villa che è già buio. Alla porta, ad attenderci, troviamo Terrence. Le braccia tese e un sorriso che strapperebbe miliardi di mutandine in sequenza al secondo, ci accoglie calorosamente. Indossa una maglietta di cotone bianca, jeans scuri e anfibi da motociclista.
«Le mie ragazze. Come state?»
È strano pensarlo, mi è mancato. Non lo conosco, eppure con quel suo carattere affettuoso questo ragazzo riesce a lasciare una piacevole traccia della sua esistenza nella tua.
«Ti trovo bene», mi complimento con lui, cercando al contempo di non imbambolarmi.
Mi toglie Isobel dalle braccia e dandole un bacio delicato sulla fronte, cullandola, la porta dentro. «Siamo in giardino», dice a bassa voce.
Notando la sua direzione opposta a quella indicata, mi ritrovo a seguirlo. «Dove stai portando mia figlia?»
«Le abbiamo sistemato una culla in una delle stanze libere. La metto a letto e torno di sotto con il baby-monitor. Così noi adulti potremo parlare senza lasciarci distrarre da questa meraviglia», detto ciò, mi preme le labbra sulla fronte e si incammina al piano di sopra.
Non riesco neanche a chiedergli come abbia fatto a montare una culla in così poco tempo.
A meno che...
Di colpo la consapevolezza di essere nella tana del lupo e di quanto scoperto mi piomba addosso e mi irrigidisco.
Ace, alle mie spalle, accorgendosi del modo in cui me ne sto rigida e insicura, mi si avvicina. Non fa nessuna mossa azzardata e in un primo momento non osa toccarmi. Solo pochi istanti dopo mi anticipa tutto quello che sta per fare e io, dopo aver preso un respiro, lo lascio libero di muoversi e calmarmi.
Ne ho bisogno. Ho bisogno di ripararmi dai pensieri, di ripiombare nel mondo reale.
Dapprima le sue dita scivolano lungo il mio braccio poi verso la mia mano. La stringe appena appena, ma è un gesto così delicato che mi riscalda e scioglie quei nodi troppo stretti e soffocanti a tenermi ferma e in balia di un fastidioso senso di impotenza.
«Se vuoi posso portarti da qualche altra parte».
«Ammetto di essere tentata dalla tua proposta», inumidisco le labbra. «Devo però declinare. Doveva succedere prima o poi», aggiungo, prima di poter cadere in tentazione. «E voglio delle risposte».
Provo a rassicurarlo con un sorriso, ma dalle mie labbra sfocia soltanto una smorfia terribile e finta, pertanto smetto.
«Sono sicuro che sarai in grado di affrontarli».
«Apprezzo la tua fiducia».
«Non è fiducia. La mia è stima, piccola Blue. Tu hai un modo tutto tuo di rispondere alle avversità e... mi incuriosisci, mi attiri nella tua orbita», arrossisce visibilmente e prende a grattarsi la nuca. «Tendi anche a farmi dire tutto quello che mi passa per la testa», ridacchia e tossisce. «Scusa, sto straparlando e forse mi sto rendendo ridicolo».
Ace Rose agitato e balbettante? È qualcosa di incredibile e attraente da osservare così da vicino.
Lui si sta esponendo. Non ha esitato un solo istante a mostrarsi per quello che è. Mentre io?
«Ti rendo nervoso?»
«No», mente. «Io ti metto a disagio?», indaga, curioso.
«Solo quando ti comporti da prepotente al lavoro», esclamo. «E quando mi difendi sputando fuoco su chiunque mi abbia ferita».
Non c'è bisogno che lo ringrazi. Lo capisco dal modo in cui mi sorride senza traccia di malizia che sta accettando il mio maldestro tentativo.
Superiamo la cucina fino a varcare la soglia della finestra a tutta altezza per trovarci in giardino. Uno spazio rettangolare, ampio, delimitato da una recinzione fatta di edera curata e rigogliosa. All'angolo sono disposti dei divani prettamente estivi e dall'aspetto confortevole con quegli enormi cuscini grigio chiaro alternati all'azzurro, sui quali potersi appoggiare e sprofondare; un tavolo a qualche piede di distanza imbandito e sopra cui pendono delle lucine accese a rendere l'atmosfera meno formale. All'angolo, non molto distante da un orto da poco costruito e da una serra per i fiori, ancora non del tutto montata, si trova un barbecue acceso.
Dante sta rigirando della carne mentre Coleman distribuisce delle lattine e dei piatti pieni alle guardie. Non appena si accorge di me, sorride ampiamente e lasciando perdere quello che sta facendo, mi si avvicina. Dante invece mi saluta sollevando il forchettone.
Anche se impacciato, dopo avermi chiesto il permesso, Cole mi stringe in un abbraccio fraterno.
Mi fa piacere che stia ricominciando a fidarsi di se stesso e che non abbia paura di toccare le persone a cui tiene con gesti semplici e carichi di affetto.
«Finalmente un volto amico», mi sussurra all'orecchio.
«Non ti hanno ancora rilasciato?», gli mollo una pacca sulla schiena.
«Pensano che scapperò dal nemico per tradirli», ammette caustico lanciando un'occhiataccia a Dante. «Oppure si stanno affezionando a me e non vogliono lasciarmi andare per questo».
Ace si è allontanato, in parte per darmi un po' di privacy.
Coleman lo squadra da capo a piedi. «Nuova guardia del corpo?»
«Sì, e ti consiglio di non farmi incazzare, Coleman Blackwell», sentendosi preso in causa, Ace, interviene. «Oggi non sono in vena».
Cole solleva entrambe le mani. «Rilassati dottorino. Non sono qui per piantarti una pallottola in testa. Non ho neanche il permesso di tenere un telefono, figuriamoci un'arma».
«Questo perché sei potenzialmente pericoloso».
Cole si azzittisce, ficca i pugni dentro le tasche dei jeans che indossa e prende a fissarsi le punte delle scarpe da ginnastica. In un attimo il suo atteggiamento torna quello di prima, chiuso, scorbutico e diffidente.
«Sono sicura che Cole non abbia cattive intenzioni. Ci conosciamo ormai da un po' e posso affermare che è sempre stato un tipo da battute», tento di mitigare la discussione, posando la mano sulla spalla del ragazzo che sta chiaramente cercando una giustificazione a qualsiasi azione fatta in passato.
Ace distoglie lo sguardo da lui per posarlo su di me.
È chiaro che non sappia proprio tutto. Mi domando se Cole abbia tenuto per sé il nostro passato in comune.
«Non si conosce mai fino in fondo una persona», ribatte.
«È per questo che siamo qui, no? Perché mi avete mentito», dico freddamente, in parte difendendo il mio amico.
«Noi...»
«Non giustificare ancora il vostro comportamento, per favore».
Cole appare piuttosto soddisfatto, ma la sua espressione, ancora una volta, cambia in fretta. Come un bel cielo coperto da una nuvola, si rabbuia. Non mi occorre voltarmi per capirne la ragione. Ma una parte masochista di me, pur non essendo pronta all'incontro, mi costringe a girare la testa.
Il pericolo si libera sulla mia pelle, seducente e letale. Deglutisco e respiro a stento, senza mai interrompere la connessione visiva con l'uomo che è appena arrivato.
Ci provo a non soffermarmi troppo sul suo aspetto curato. Ogni singolo dettaglio di lui sembra attirare lo stesso i miei occhi, sempre più avidi di informazioni da assorbire e incamerare in un piccolo compartimento stagno con il suo nome inciso sopra.
A metà strada tra mano e gomito, circondato da bellissime vene, il suo tatuaggio stasera è in bella vista. Indossa una camicia bianca sagomata al petto e alla schiena. Pantaloni stretti scuri e anfibi.
Muscoli forti si gonfiano sotto la sua pelle lievemente abbronzata. Una pelle che scopro con stupore e imbarazzo di voler toccare e sentire sulla mia. Proprio come quelle mani, attualmente immobili lungo i fianchi.
Una sensazione di calore dapprima lieve poi intenso mi filtra sottopelle. Non è facile gestire una cosa del genere. Non è facile ordinare al mio cuore di non battere così forte per l'uomo di cui mi ritrovo attratta.
Non dovrebbe ma è capace di dominarmi, proprio come riesce a fare senza il minimo sforzo con tutto il resto.
Una parte mi di me viene stuzzicata da una sequenza di immagini maliziose e disturbanti. La verità mi raggiunge come un proiettile volante e ogni fibra del mio corpo si tende alla vista dell'uomo che superato l'arco a dividere il corridoio dalle stanze, raggiunge il giardino.
Smanio dalla voglia di osservarlo da vicino, vedere nei suoi occhi scuri quel bisogno di contenere tutto, di essere in grado e abile a gestire le proprie emozioni. Fremo dal bisogno di averne di più; di poter raccogliere altri frammenti di lui.
«Blue, che bello vederti!»
Eden sbuca dal retro della villa e viene ad avvolgermi in un abbraccio al profumo tenue di rose e vaniglia. Indossa un abito corto floreale che mette in mostra, grazie alla scollatura, il suo seno tondo e abbondante. I suoi capelli biondi sono raccolti in uno chignon disordinato, proprio come i miei. Per fortuna il suo abbigliamento non è elegante e non mi fa sentire come la prima barbona raccattata per strada.
«Devi essere stanca. Ho saputo che oggi è stato un inferno in ospedale».
«Capita spesso e sto iniziando a farci l'abitudine, al caos. Tu come stai?»
«Sarò sincera con te. Adoro questo posto e in questi giorni ho cercato di attutire la delusione di un altro tentativo fallito. Ho voluto questa cena per svagarmi un po'. Egoista da parte mia, me ne rendo conto».
Comprendo al volo la motivazione e non ho intenzione di parlarne dato che è evidente che abbia bisogno di pensare ad altro. «Una sera di queste potremmo uscire», butto giù l'idea mentre mi porge un bicchiere di vino.
Non so perché diavolo l'ho detto, sento solo di voler proteggere questa ragazza che ha lo sguardo triste nonostante il sorriso dolce e l'allegria ben studiata e sfoggiata come un'armatura fin troppo perfetta per non avere delle crepe.
«Mi farò aggiornare sui tuoi impegni dai ragazzi...»
«A proposito di questo, io...»
«Eddie, puoi venire un momento?»
Cole richiama Eden dalla cucina e lei scusandosi corre a vedere cosa sta succedendo con il forno. I due dopo un momento in cui bisticciano scoppiano in una risata.
Mi sposto in un angolo a osservarli. Sono come una famiglia allargata e nonostante qualche screzio, si sostengono. Anche a me piacerebbe averne una così. Delle persone sulle quali contare e da amare.
«Non hai paura, vero?», domanda Ace, avvicinandosi. «La mia proposta è sempre valida».
Stanno cercando di mettermi a mio agio. Sanno che a breve chiederò loro una spiegazione. Mi serve la verità per non sentirmi emarginata e inchiodata all'angolo.
«No».
«Bene, perché...»
«Potete rimandare i preliminari? Stiamo aspettando solo voi e odio il cibo freddo».
La sua voce fende il silenzio e mi trapassa il petto. Il cuore vibra in maniera pericolosa e confusionaria.
Faron ci supera dando una spallata a Ace e va a prendere posto a tavola.
«Prima o poi gli faccio saltare quei bei denti a uno a uno», brontola Ace.
«Sei geloso del suo sorriso?»
Ghigna. «Mi hai beccato».
«Il tuo non è da meno. Fossi in te, però, farei attenzione alle mani. Sei un chirurgo, non puoi prendere a pugni le persone».
«Mi stai dicendo che ho delle belle mani?»
«Sei in cerca di complimenti, Dottor Ace Rose?»
Scuote la testa. «Sei un bel tipetto, Blue Thorne».
Prendendomi per mano, con l'aria di chi sa bene quello che sta facendo e cosa sta provocando, mi accompagna a tavola.
Non appena arriviamo, i nostri posti a sedere sono distanti e tutti quelli già seduti si stanno chiedendo come risolveremo il problema. Questo perché uno dei posti liberi si trova proprio al fianco sinistro di Faron. È stato lui a scombinare le nostre postazioni?
Ace non si scompone, mi scosta la sedia fa il giro del tavolo e prende posto davanti a me, accanto a Terrence, il quale mi passa subito il baby-monitor.
«Sta bene», mi rassicura quando apro bocca.
«Non si è svegliata?»
«Dopo cena possiamo andare a controllare. Adesso però...», indica la tavola apparecchiata come se fossimo in un ristorante di lusso e il cibo disposto sulla parte centrale coperto da cloche d'argento che stanno per essere sollevate da Dante e Coleman.
L'odore del cibo si diffonde nell'aria insieme al vocio che si innalza andando a smorzare il ronzio degli insetti che attaccano le lampadine e il frinire costante delle cicale.
Ace mi riempie il piatto proprio mentre Faron mi passa il cestino con il pane tagliato a fette. Le nostre dita si sfiorano.
Ancora una volta mi ritrovo a combattere contro l'istinto di nutrirmi del suo contatto per continuare a sentire il calore e le ondate di desiderio a diffondersi sul mio corpo. Ma mi ritraggo e per poco il cestino non mi sfugge di mano.
Faron mi fissa come se l'avessi offeso ritraendomi.
Perfetto, adesso sarà proprio divertente avere a che fare con lui.
Che diavolo... perché farmi così tante paranoie? Lui è solo una sorta di guardia del corpo che mi è stata affibbiata.
No, sbagliato, che hai scelto.
Merda. Sto per entrare in crisi.
Faron adagia il cestino e si riempie il bicchiere d'acqua, ignorando gli alcolici, mi accorgo solo ora, posti a distanza da lui.
Il gesto, richiama tutta la mia attenzione sulla sua mano curata nonostante abbia qualche minuscolo segno. Ancora una volta la mia immaginazione naviga verso un lido perverso e il calore torna a inondarmi, mi scivola lungo la spina dorsale fino alle gambe; proprio dove la sto immaginando a prendersi cura di me.
Mi schiarisco la gola e mi agito sulla sedia prima di distogliere forzatamente lo sguardo. Cosa che anche lui sta facendo con maggiore successo.
Le mie orecchie si riscaldano e sono costretta a voltarmi.
Becco Eden a sogghignare. Nasconde il tutto tossicchiando dietro il calice di vino rosso che di tanto in tanto sorseggia.
«Ti ho vista, sai».
«Scusami. È solo che è piacevole vederlo così tanto rilassato dopo che... dopo, insomma, dopo quello che gli è successo. Non aveva mai trattato con così tanta delicatezza nessun'altra donna», si agita sulla sedia riempiendosi un altro bicchiere.
«Be', eccetto te si intende», interviene Terrence, interessato alla discussione appena iniziata.
Non capisco perché parlino a bassa voce. Che cosa è successo di preciso a Faron?
«Anche tu l'hai notato?», gli domanda.
«Chiunque se ne accorgerebbe. Immagina di abitare con un orso e da un giorno all'altro di vederlo scattare per qualsiasi cosa».
«È stato male», mi spiega Eden.
«Parecchio», aggiunge Terrence. «Stavamo per non recuperarlo più da quelle cazzo di dipendenze».
«Tutto questo a causa di una donna», Eden sospira scuotendo la testa.
«Non sarebbe il caso di nominarla, non credi?»
«Ma certo che no. Nessuno tra i presenti ha bisogno di ricordarsi di lei», piega le labbra in una smorfia. «Soprattutto noi due».
Incuriosita, sgranocchio un pezzetto di pane valutando attentamente come porre delle domande per avere maggiori informazioni su ognuno di loro senza risultare invadente.
«Faron era sposato?»
«No», risponde il soggetto in questione sporgendosi verso il mio orecchio, mettendo a zittire gli altri due puntandogli contro l'indice: «Smettetela, adesso!»
«Perché? Hai paura che mi raccontino i dettagli scabrosi della tua vita sentimentale e che possa usarli per ricattarti quando ti comporterai da cavernicolo? Che c'è, eri innamorato perso di qualcuno? Non c'è niente di male nell'ammetterlo».
La rigidità con cui si volta dovrebbe darmi un preavviso di quanto sta per accadere.
«Già, cosa c'è di male nel parlare allora dell'uomo che ti ha messa incinta quando non eri ancora maggiorenne per poi abbandonarti?», replica freddamente mandando giù un bicchiere d'acqua. «Dove cazzo è quel figlio di puttana? Non dovrebbe proteggerti dato che ti ha lasciato un pezzo di sé? O se ne è andato perché ha capito di avere fatto una cazzata e non ha avuto le palle di prendersi le proprie responsabilità?»
La verità esce fuori in modo crudele dalla sua bocca. Mi manda giù, fino a togliermi il fiato, fino a farmi sentire costretta ad affrontarla; a sentirne il peso addosso come se si indossasse un mantello in piena estate.
Un forte e fastidioso prurito alla gola mi impedisce di deglutire. Una sensazione del tutto inaspettata mi si artiglia nel petto fino a crearne brandelli purulenti. Pezzi capaci di infestare il presente di un dolore che avevo sepolto per andare avanti.
Nessuno intorno osa più parlare. Tocca a me difendermi, anche se non ne ho la forza.
«Io... non ricordo chi sia il padre di Isobel perché ho perso ogni traccia di quell'uomo», tiro indietro la sedia. «Terry, puoi mostrarmi la stanza in cui si trova mia figlia, per favore? Devo cambiarla», balbetto, evitando quegli occhi scuri e quelli dei presenti ancora puntati addosso.
Non voglio la loro compassione. Voglio solo tenere tra le braccia mia figlia e non sentirmi fatta a pezzi.
Terrence balza subito in piedi e mi fa cenno di seguirlo. Non usa il solito sarcasmo, semplicemente mi si affianca e mi accompagna in un silenzio che racchiude ogni tipo di domanda alla quale non risponderò senza prima essermi calmata.
Non appena mi allontano dal tavolo, sento alle mie spalle un certo trambusto, insulti e infine delle urla.
Mi volto appena in tempo per vedere la scena di due uomini che stanno per attaccarsi.
La mia mano naviga a tentoni prima di aggrapparsi al braccio di Terrence, il quale vorrebbe solo pararmisi davanti e non farmi assistere allo scontro fisico.
Ma succede. È un attimo.
«Dovevi proprio comportarti da coglione? È chiaro che le faccia male l'argomento! Non puoi sapere che cosa le è successo. Potrebbe essere stata violentata e non avere avuto la scelta di abortire».
«Non ho iniziato io».
«Certo che no, sei sempre un santo tu!», Ace arriccia il dorso del naso.
«Chiudiamo qui il discorso».
«Davvero pensi che sia così facile? Ferisci e per te basta chiudere il discorso?», lo scimmiotta.
«Ace!», esclama Eden.
«Non potete continuare a giustificarlo o a fare finta di niente quando si comporta in questo modo con la gente. Non è più un bambino e ha appena ferito una persona meravigliosa».
«Non fare il paladino della giustizia, non ti si addice, dottorino. Sappiamo tutti quello che vuoi fare e il perché le giri intorno», lo fissa con aria di sfida.
«E tu?»
«Io non la toccherò perché è qui solo per una ragione e penso non sia il caso di mischiare lavoro e sesso. Ma vedo che a te non importa».
«La verità è che sei ancora legato a quella stronza e non riesci a fare pace con te stesso per averle permesso di usarti. Continui a farti del male bevendo e scopando. Ma questo non cambierà il fatto che non sei mai stato una scelta».
«Ace, basta!», strilla Eden. «Che diavolo ti prende?»
«Vattene al diavolo, pezzo di merda di un Rose! Non ti azzardare a mettere in mezzo quella piccola serp...», comincia Faron, fremente di rabbia.
Ace sorride in modo perfido. «Non riesci neanche a nominarla. Ricordi il suo vero nome almeno? O ti ha davvero fatto il lavaggio del cervello come dicono?», ride di proposito. «A causa sua, adesso non accetti che qualcun altro abbia quello che tu rifiuti perché sei incasinato. Sei solo un egoista, proprio come tuo padre».
Faron gli salta addosso. Un verso simile a un ruggito sfugge dalla sua bocca mentre sbatte Ace giù. Dimenticando in un istante lo spazio o le persone, permette alla rabbia affiorata di prendere il sopravvento.
Un pugno, due...
«Dante, cazzo, fermali!»
«Fermateli!»
I due rotolano sul prato continuando a menare colpi, molti dei quali vanno a segno.
Grugniti, urla, guardie che si muovono ma non riescono a separare i due, intenzionati a darsele di santa ragione, trasformano la cena in un ring.
Un dolore atroce mi si abbatte addosso insieme al senso di colpa. Se non avessi parlato a Faron in quel modo lui non avrebbe mai risposto a tono e Ace di conseguenza non avrebbe agito con la buona intenzione di difendermi.
«Merda!», Terrence corre nel medesimo istante in cui Dante scatta verso i due.
L'ondata di panico ad attraversarmi è sufficiente a scacciare il gelo provocato dalla visione dei due uomini incapaci di fermarsi.
I miei piedi si muovono, supero Cole quando tenta di placcarmi e Eden la quale mi afferra per un braccio pronta a fermarmi e ad allontanarmi dalla rissa.
Ignoro i loro avvertimenti, le loro strilla allarmate.
Devo fare qualcosa. È colpa mia.
Raggiungo il punto più vicino. Dapprima mi lancio alle spalle di Ace, più che pronto a colpire, spingendolo indietro fino a farlo cadere, poi mi ritrovo a cavalcioni su Faron.
Un dolore sordo mi si irradia dal braccio alla spalla. È come una scossa e in un primo momento non do peso alla cosa, perché sto trattenendo a stento il pugno chiuso di un uomo infuriato, nel tentativo vano di placcargli il braccio al suolo.
Chiudo gli occhi preparandomi a parare un colpo che quasi sicuramente mi farà perdere i sensi, mentre urlo a pieni polmoni: «Basta! Smettetela!»
La mia voce riesce a filtrare attraverso la nebbia di rabbia tra i due.
La presa sulla mia gola si allenta mentre fisso due occhi scruti smarriti, anzi spaventati e pieni di domande, puntati addosso.
«Kelebek», soffoca un singulto.
«Va tutto bene, Far», lo rassicuro, adagiando la mia mano sulla sua, ancora attorno al mio collo. «Calmati», mi volto verso Ace, tenuto per le braccia da Dante e Cole. «Anche tu!»
«Cazzo! Non doveva succedere», urla Dante, tirando su Ace. Quest'ultimo barcolla tamponandosi il labbro sanguinante, scrollandosi le loro mani di dosso con aria infastidita e ancora non del tutto placida.
Eden gli porge in fretta un panno con del ghiaccio. «Se ti sei rotto qualche dito, puoi dire addio alla carriera», lo rimprovera. «Sei impazzito?»
«Kelebek
«Uhm?», sbatto le palpebre.
«Sono calmo adesso», Faron mi spinge lievemente.
Solo allora mi rendo conto delle sue mani sui miei fianchi. Arrossisco e scivolo giù dal suo corpo. «Sì, lo spero».
«Aspetta!»
Barcollo lievemente e la vista mi si sdoppia.
Sarà stato lo sforzo, mi dico. Oggi ho superato il limite di resistenza consentito dal mio corpo.
«Hai del sangue addosso».
Abbasso gli occhi sul punto che sta indicando. Lungo il mio braccio vi è una lunga macchia rossa. «Non... non è mio».
Il mio cuore sta raggiungendo vette impossibili sotto il suo scrutinio, in particolar modo appena la sua mano si avvicina alla mia pelle.
«No, cazzo! Tu stai sanguinando!», alza il tono, facendo accorrere tutti gli altri.
«Non è niente».
Per dargliene prova passo il dito sulla macchia. Un forte dolore mi annebbia e mi si sdoppia la vista. Perdo l'equilibrio e rischio di cadere.
Faron mi riporta giù, strappa un lembo rimasto pulito della sua camicia piena di chiazze di terra, erba e sangue e me lo avvolge intorno al taglio.
Quando penso che sia sul punto di mettersi a urlare, mi solleva, e tenendomi contro il suo petto mi porta dentro casa. Adagiandomi sul divano, ignorando il fatto che potrebbe macchiare il tessuto, corre in cucina. Fruga in uno dei cassetti e torna da me con un kit di primo soccorso.
«Forse Ace potrebbe dare un'occhiata», propone Cole, allarmato e vicino. La sua mano si è posata sulla mia spalla non appena sono stata adagiata sul divano e da allora non ha smesso un momento di offrirmi il suo conforto.
Faron gli lancia un ammonimento silenzioso e con movimenti rapidi scioglie il nodo fatto con il lembo della camicia. In modo delicato comincia a disinfettare e medicare il taglio che ha già smesso di sanguinare.
«Quanto ti fa male?», domanda applicando un cerotto e poi srotolando della garza.
«È solo un taglio, Far», le mie dita si protendono verso il suo labbro inferiore. «Tu piuttosto dovresti...»
«Smettila di preoccuparti per gli altri e dimmi cosa ti fa male o se hai altri tagli».
Non ricevendo risposta procede controllando da solo i miei palmi.
Scaccio le sue mani e provo ad alzarmi, tutti mi ordinando di non farlo.
Le urla, il ritmo scostante nel mio petto, l'odore ferroso del sangue e la paura nelle vene...
Improvvisamente sono in quell'ammasso di rottami, tra fumo e puzza di benzina. Incastrata.
Sola.
Flash si abbattono nel mio cervello, immagini che ho vissuto e dimenticato dopo quello scontro che mi ha quasi tolto tutto.
A tratti ogni cosa diventa così pesante e dolorosa da togliermi il poco fiato che ho nei polmoni. Guardo ovunque ma non vedo realmente niente.
«È in shock o sta avendo un attacco di panico», impreca Ace, venendo allontanato da Dante quando prova ad avvicinarsi al divano, perché non si fida ancora della calma che i due sfoggiano dopo l'accaduto.
«Mi dispiace tanto, Blue».
«Perché ti sei messa in mezzo?», si infuria Faron. «Sarebbe finita comunque».
«Davvero?», strillo, liberandomi dal peso opprimente che ho sul petto. «È questo il modo in cui si risolvono i problemi? Sembravate due bambini!», scuoto la testa incredula. «Siete due idioti!»
«Puoi ben dirlo», Eden si avvicina con cautela passandomi una tazza di tè caldo al limone. L'odore dolce mi aiuta a calmarmi.
«Grazie».
Prende posto accanto a me bevendo anche lei un sorso del suo. «Mi dispiace che tu ti sia fatta male».
Intorno nessuno osa alzare lo sguardo.
«Quello che è successo è stato a dir poco... deludente», esclama Dante. Le mani sui fianchi e gli occhi verdi accesi di furia verso i due che stanno cercando di mantenersi a distanza. Faron continua a starsene inginocchiato al mio fianco, mentre Ace è stato relegato in cucina. Seduto su uno sgabello ci osserva tenendo sullo zigomo del ghiaccio.
Terrence passa una confezione a Faron, ma la mia mano scatta verso il suo volto. Controllo che non abbia bisogno di punti, gli disinfetto il taglio sopra l'occhio destro, proprio sul sopracciglio e quello sotto il mento, vicino a una cicatrice bianca; applico dei cerotti, e anche se sento che non dovrei, senza guardare nessuno in faccia, ancor più mortificata di prima, mi alzo e mi sposto lontano dal soggiorno.
Terrence mi capisce al volo e mi indica la strada.
Raggiungo la stanza in cui trovo Isobel sveglia, tranquilla e impegnata a fissare il carillon pieno di peluche appeso sulla sua testa.
«Piccola...», la voce mi si spezza e premendola al petto, inalando il suo odore, chiudo gli occhi e cerco di aggrapparmi al nostro amore.

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Brutal - Come graffio sull'animaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora