Capitolo 1

2.4K 90 21
                                    


BLUE

«È fuori dal giro».
«Che significa che quel maledetto è fuori dal giro?»
Fingo di mescolare il misero drink che ho tra le mani. I pochi cubetti di ghiaccio rimasti, tintinnano urtando contro il cristallo e galleggiano come iceberg solitari.
Portando alle labbra la cannuccia, prendo a morderla guardando di sottecchi i due uomini seduti in una delle tante cabine aperte, dietro il pannello di legno tappezzato da un enorme quadro in stile moderno pieno di pennellate date come coltellate a caso sulla tela, che ho alla mia destra.
Prima di appostarmi sono riuscita chissà come a convincere il barman, un ragazzo tutto sorrisi e cortesia, a offrirmi qualcosa da bere. In cambio, gli ho lasciato scritto su un tovagliolo di carta un nome e un numero fasullo e la promessa di un incontro.
Non potrei mai permettermi niente che provenga da questo posto dove il lusso aleggia persino nell'aria che si respira. Un mix di sigari cubani, liquore dolce alla ciliegia, colonia costosa e incenso alla vaniglia, impregna infatti le pareti, ogni singolo pannello e divano. Essenze, che esprimono prestigio e potere.
C'è un certo fermento a poca distanza. L'agitazione è evidente sul tizio che indossa una camicia rossa sotto un completo grigio scuro che gli calza un po' largo. Il suo nome è Butch.
Passa la mano tra i folti capelli castani con qualche filo grigio sulle tempie, e accorgendosi di non riuscire a raggiungere il cuoio capelluto a causa del consistente strato di gel, sposta le dita sulle labbra sottili e un po' secche; come se il gesto potesse calmarlo. La gamba però continua a sobbalzare, tradendo il suo tentativo di mascherare le proprie emozioni, e rischiando più volte di impattare contro uno dei due tavoli bassi sui quali sono disposte bottiglie di champagne e liquore, bicchieri, strisce di polvere bianca, soldi arrotolati, e di rovesciarli a terra.
Non vedo armi nei paraggi, eccetto quelle che penzolano dalle cinture di pelle intorno alla vita delle guardie, posizionate come colonne portanti in punti strategici del locale. Ma so per esperienza che qui dentro tutti sono armati fino ai denti e capaci di difendersi in ogni modo possibile; persino con un misero foglietto di carta. Perché in un posto come questo, nessuno entra senza una protezione.
Nemmeno io.
Nascosta dietro una maschera semplice di raso nera, avvolta da una vestaglia lunga simile a un mantello di seta altrettanto nero come la pece, l'abito leggero al di sotto rosso fiamma, parecchio scollato e con le spalline sottili, non di certo in linea con il mio solito stile da nerd. Dentro l'anfibio, il minuscolo coltellino a scatto preme contro la caviglia, mordendomi la pelle con il suo tocco freddo.
Abbasso la testa quando uno degli avventori del locale passa lanciandomi occhiate di apprezzamento. Fingo di bere e di aspettare qualcuno per non ricevere attenzioni sgradite che potrebbero compromettere ulteriormente il mio piano.
Non sono qui per divertirmi, nonostante mi trovi in uno dei locali più famosi del paese dove la lista per entrare è così lunga da richiedere almeno una prenotazione con mesi di anticipo. E a meno che non conosci il proprietario. Cosa impossibile, dato che di recente, secondo voci di corridoio, è cambiato.
Forse sto per fare qualcosa di avventato o come direbbe mia madre nei suoi giorni migliori, quando è sobria e sa chi sono: "Degno di una Blue priva di intelligenza e sul punto di farsi male".
Non sono così sciocca come pensa. Mi sono recata qui al "Firenight" con un solo intento e non andrò da nessuna parte fino a quando non avrò ottenuto informazioni da usare contro il bastardo che sto tenendo d'occhio. Perché una volta che avrò tra le mani quello che mi serve, lui dovrà sapere che sono stata io e dovrà pagare.
«Significa che è stato beccato ed è fuori dal giro, idiota!»
Riporto l'attenzione sui due individui a poca distanza dal mio tavolo.
«Cazzo!», impreca Butch, scuotendo più volte il capo con aria tetra e lo sguardo improvvisamente perso nel vuoto, dietro un paio di occhiali da sole abbassati sulla punta del naso. «Mi stai dicendo che quel figlio di puttana ha lasciato a noi il pacchetto completo? Ci esploderà tra le mani», appare inorridito, come se non fosse capace di affrontare il lavoro che gli è stato affidato.
Hector appoggia la schiena contro il divano viola di velluto e dopo avere trangugiato parte del suo drink, appena versato, annuisce con l'aria di chi vorrebbe tanto prendersela con qualcuno per la seccatura.
«E non è tutto. Quel maledetto ha dato ordine di non lasciare la minima traccia del figlio di Blackwell, fino a quando non sarà il momento».
«È sangue del suo sangue, maledizione», sbotta Butch, tirando il colletto della camicia sempre più agitato. «Glielo avevo detto che non doveva commettere errori quel giorno. Avrebbe dovuto farlo sparire davvero e togliersi il pensiero. L'avidità lo ha spinto un po' troppo oltre. Ha giocato male le sue carte», sbatte un paio di volte le palpebre come se le luci del locale iniziassero a ferirgli gli occhi.
Hector aggrotta la fronte. «Non era lui il suo obiettivo. Adesso le cose sono cambiate. A quanto pare il nipote lo tiene in pugno perché ha Coleman. Dobbiamo muoverci se vogliamo mantenere i contatti e continuare a fare un mucchio di soldi».
Notando l'espressione diffidente del suo amico, Hector, come se avesse intuito qualcosa che a me sfugge, gli punta addosso il suo tipico sguardo affilato, carico di rimprovero. Quello che riserva a chi inizia a insospettirlo.
«Perché resteremo dalla parte di Parsival, giusto?»
Non si aspetta davvero una risposta e, in qualche modo, nel suo tono è implicito qualcos'altro.
Da questo scambio, comprendo molte cose. Hector, ad esempio, non è al di sopra dell'uomo con cui sta parlando. Anche se riesce come sempre, con la sua spavalderia e il suo carisma, a sovrastarlo. Il capo tra i due dovrebbe essere Butch, ma quest'ultimo non è nato per fare il leader. Ha solo i soldi. Cosa molto utile quando non sei in grado di difenderti in altri modi.
«Che cosa ne ricaviamo noi?»
«Una bella fetta dei soldi che ci spettano più un extra per il disturbo», replica risoluto Hector. «Sappiamo dove tiene quel ragazzo, Nolan, ma dobbiamo prima trovare Coleman e un modo per tirare fuori Parsival dalla cella. Lui è la chiave».
Butch beve un lungo sorso.
Persino da questa distanza riesco a vedere il sudore colargli sulla fronte alta.
«E delle ripercussioni che mi dici?», schiarisce la gola, guardando furtivamente ovunque. Prende poi a giocare con un bicchierino vuoto.
Hector raddrizza subito le spalle. Con il bicchiere ancora in mano, punta l'indice su di lui. «Attento...», cantilena mostrando i denti storti, come un animale sul punto di mettersi a ringhiare. «Non ti consiglio di iniziare questo discorso, Butch. Non dovresti nemmeno pronunciare tali parole ad alta voce. Sai come funziona, hai toccato con mano la paura».
Tendo le orecchie. Un'ombra mi si para davanti, sollevo gli occhi dal bicchiere e con un gesto della mano scaccio l'uomo che prova a sedersi sullo sgabello libero di fronte al mio.
Il locale è sempre più pieno di gente pronta a scatenarsi.
Mi domando chi sia il nuovo proprietario e il perché di una festa in maschera in un comune sabato sera nel mese di aprile.
«Noi non abbiamo niente da perdere, giusto?»
«Giusto», balbetta Butch guardandosi nervosamente intorno. Dopo appena qualche secondo, alza gli occhi su di lui. «Non hai intenzione di dirglielo?»
Hector appare sempre più rigido e indignato, ma ha capito al volo il senso, perché risponde: «Non saprà mai niente perché non c'è niente da raccontare, e tu terrai la bocca chiusa. Mi sto già occupando del problema, non voglio averne un altro a cui pensare», non nasconde le sue intenzioni in merito.
Pur avendo compreso, Butch, dopo avere tracannato il resto del liquido, forse intenzionato a scoprire cosa spinge Hector a nascondere ogni suo segreto, non molla l'osso e dice: «Non pensi che i Blackwell o i Rose ne siano già al corrente? Insomma, potrebbero cercarl...»
La risposta da parte di Hector è bassa e non riesco a sentirla a causa della musica, del vocio che si innalza come onde raggiungendo il mio angolo. Non mi sfugge però il modo in cui lo ha afferrato per il colletto della camicia strappandogli i primi bottoni.
Stringo la presa sul bicchiere come se avessi bisogno di ancorarmi a qualcosa. Le mie nocche sono sempre più bianche. Senza rendermene conto porto le dita verso il collo.
Stasera indosso una collana. Al suo interno, un dispositivo collegato a una microspia posta vicina al mio obiettivo, sta registrando tutto.
Ho piazzato gli strumenti intrufolandomi di nascosto quando dei fornitori sono entrati nel locale insieme al necessario per la festa. Recupererò tutto più tardi senza lasciare traccia. In fondo, sono brava a essere invisibile. A occupare poco spazio nella vita degli altri.
Un uomo sta flirtando disgustosamente con una donna. Seduti di fronte al bancone, non sembrano avere nessuna intenzione di abbassare la voce o di spostarsi altrove. I due indossano maschere variopinte piene di piume e continuano a ridere scambiandosi pessime battute, e a sorridersi come se fosse la festa più eccitante alla quale abbiano mai partecipato.
Un'altra donna sta ballando su un cubo, ignara degli sguardi lascivi che qualcuno le sta posando addosso, sul corpo a malapena coperto da un costume. Le importa far divertire un solo uomo: quello davanti a lei. Quest'ultimo, nascosto dietro un cappello a cilindro e una maschera da Fantasma dell'Opera, le porge la mano dopo averle offerto una rosa rossa, l'attira a sé per farla scendere dal cubo e le sussurra qualcosa all'orecchio suscitandole un fremito. La donna lecca più volte le labbra carnose mentre il suo sorriso si allarga.
Quando si alzano dal divano, lei ha l'aria di avere vinto la partita, ma il modo in cui lui la guida oltre i séparé, per raggiungere le stanze dell'hotel al piano di sopra, suggerisce quanto si sbagli.
In un momento di distrazione, non solo perdo il filo del discorso, per poco non noto i due uomini che si aggiungono a Hector e Butch.
A differenza di tutti gli altri, non portano maschere. Sono due tipi tarchiati dall'accento marcato, con capelli rasati quasi a zero e occhi come stalattiti. Sembrano gemelli, ma qualcosa mi suggerisce che sono solo fratelli con geni predominanti tramandati da uno solo dei genitori.
Sento il nervosismo scorrermi in tutto il corpo. Prendo un sorso del liquido. Nonostante sia ormai acquoso riesco a percepire lo stesso l'alcol pregiato solleticarmi la gola, non abbastanza da appannare almeno un po' i miei sensi e rendermi audace.
La verità è che c'è una parte di me che non vuole pensare ancora alla ragione per la quale sono corsa qui. Ma sembra inevitabile appena sento il suono della sua voce e della sua risata.
Tutto trema. Eppure resto ferma. Non oso riempirmi ancora di crepe a ogni scossa che mi raggiunge.
Mi piacerebbe disfare questa forte armatura, scucirla e uscire fuori. Sentire forte il ruggito del cuore nel petto. Urlare e generare il caos anziché restare all'angolo, a vivere in una menzogna che continua a contaminare tutto.
«Figlio di puttana», sibilo. «Non ti perdonerò mai».
Traggo un breve respiro e sondo ancora la sala ampia, colorata, le cui luci stroboscopiche iniziano a confondermi, la musica e la gente a darmi sui nervi.
Mi sento tesa e nutro forti dubbi che possa uscire indenne da questa serata in cui la mia vita presente e la sorte del mio futuro si stanno mescolando.
Porto i capelli oltre la spalla sollevando meglio il cappuccio di cui è composta la vestaglia.
Non ho ancora avuto il coraggio di fermare nessuno per crearmi un alibi nel caso in cui dovessi essere scoperta. In fondo siamo tutti in maschera, chi mai si ricorderebbe di una ragazza, non ancora maggiorenne per lo stato, in cerca di risposte.
Ma sono sicura che facendo la domanda sbagliata attirerei Hector o qualche pezzo grosso che mi sbatterebbe fuori da questo posto o peggio. Perciò le mie opzioni sono poche e forse è giunto il momento di tornare a casa e sperare di avere sufficiente materiale per procedere con la vendetta.
Chiamare casa quella bettola è un gran complimento, ma sono riuscita ad affittarla a un buon prezzo e a metterla in ordine con i pochi risparmi del lavoro come cassiera e lavapiatti; a non sentirmi costantemente in pericolo a contatto con gli uomini che mamma continuava a portarsi dietro dopo il lavoro o a disagio di fronte alle mie coetanee. Loro a differenza mia, hanno tutto e le loro vite profumano di fortuna.
Il problema non sono nemmeno i soldi, quelli posso sempre metterli da parte lavorando. Il problema è sapere la verità e non essere forte abbastanza da affrontarla a muso duro. Essere sola a sorreggere una nuova valanga.
Ma l'ho imparato sulla mia scorza che anche se si ricevono botte su botte e si resiste, non si muore. Ci si riempie solo di segni, e quelli restano come tatuaggi incisi sottopelle. Fanno male come ferite grattate per errore.
Ma questa è vita. Non c'è altro che puoi fare a parte camminare e non voltarti a guardare quei resti affilati e sempre pronti a tagliare più della carta.
Di colpo percepisco qualcosa che mi provoca uno strano senso di pericolo addosso. È come se fossi osservata.
Porto alle labbra la cannuccia. Ancora una volta la mia paranoia ha la meglio, e per placarla do un'occhiata in giro per cogliere qualche dettaglio che potrebbe essermi sfuggito.
Nessuno presta attenzione al mio tavolo, eppure ho il terrore sempre più evidente che qualcuno possa beccarmi. So che il locale è controllato e che esistono videocamere di sorveglianza poste ovunque. Mi sono premurata a inviare loro una piccola interferenza e rifarò la stessa cosa quando avrò finito.
"Se", interviene la vocina dentro la mia testa. Non dovresti essere qui, continua. Non dovresti nemmeno guardare il modo in cui il denaro corrompe la gente. Sai già come funziona.
Dei gemiti alti si diffondono da una delle cabine private distogliendomi dai miei pensieri. Di seguito, delle risatine e poi urla concitate dal tavolo in fondo, dove scoppia persino una rissa quando uno dei giocatori si alza arrabbiato insultando l'uomo che ha vinto la partita.
Questo posto è come una sorta di alveare con le sue stanze al piano di sopra, la zona hotel per così dire, e cabine appartate ai lati della sala dotate di ogni comfort. Nonostante ci sia la possibilità di un po' di privacy, alcuni dei presenti trovano divertente fare tutto senza inibizioni, in bella vista, stasera aiutati dalle maschere e dall'alcol. Prima un uomo ha parlato di una specialità della casa che viene servita gratis solo se si riesce a risolvere un indovinello.
«Quindi è tutto?», domanda Butch, impaziente di abbandonare il tavolo per unirsi a quello da gioco non molto distante. Lo guarda con brama. Presumo abbia una dipendenza, non solo dalla roba che ha appena ficcato su per il naso.
«Dobbiamo fare molta attenzione. Se ci troviamo qui stasera è perché qualsiasi altro posto è sorvegliato da quel figlio di puttana! Sta comprando tutto per renderci le cose difficili».
Di chi parlano?
«Rilassati, non riusciranno mai a mettere le mani su questo locale. Non hanno l'influenza giusta e ora come ora hanno altro a cui pensare», replica convinto l'uomo senza maschera, servendosi un generoso shottino di vodka liscia. «Non ti tieni aggiornato?»
«Ne sei sicuro?»
I quattro tornano a parlare facendo supposizioni. Poi Butch riporta l'attenzione su qualcosa di interessante affermando: «Visto che abbiamo un piano, adesso vuoi dirci come intendi mettere a tacere la tua famiglia? Sappiamo benissimo di non poterci fidare di loro».
«Mio fratello ha qualcosa che mi appartiene e non intendo lasciarglielo».
«Ti riferisci a...»
«Un documento. Farò in modo che sparisca entro fine mese», replica tempestivo, come se volesse tappargli la bocca prima di sentirgli dire qualcosa di inopportuno. «Se è vero quello che ha fatto per riuscire a incastrarmi, merito di saperlo, e lui merita di essere punito per avere agito alle mie spalle. In caso contrario gli tapperò la bocca come facevo un tempo. Ho saputo che si è fatto male a una gamba e rischia il posto di lavoro».
I tre si lanciano occhiate tra loro. «Per quale assurda ragione non hai mai aiutato economicamente la tua famiglia? Li fai vivere in quei cazzo di camper mentre intaschi molti soldi facendo affari con i potenti. Ho sentito dire che tua nipote si prostituisce insieme a sua madre in quel loca...»
Hector afferra il collo della bottiglia e pochi secondi dopo la schianta contro la nuca del tizio senza maschera lasciandolo privo di sensi.
Dalla gola mi è sfuggito un verso abbastanza udibile e il bicchiere, in seguito allo spavento che mi ha fatto mollare la presa su di esso, è precipitato a terra perché la mano ha iniziato a tremarmi senza controllo.
Hector solleva la testa girandosi nella mia direzione, strizza la palpebra sinistra sollevandosi dal tavolo più che pronto all'attacco. Istintivamente mi addosso alla parete, lontana dal suo sguardo. Ma ho attirato lo stesso l'attenzione di tutti loro con la mia reazione.
Merda.
«Fate silenzio», ordina ai due che stanno continuando a urlargli contro. «Qualcuno ci stava ascoltando».
Il cuore mi arriva dritto in gola. In una mossa azzardata e direi fortunata, sguscio in tempo dal tavolo uscendo dalla sala prima di vedere i quattro farsi largo tra la folla.
«Quello lì», mi indica uno degli uomini senza maschera.
Credendo di essere condotta all'uscita secondaria prendo il corridoio sbagliato e mi ritrovo in una sorta di vicolo cieco. La presenza dei passi alle mie spalle non mi aiuta di certo a calmarmi, a non andare nel panico.
Che cosa dirò quando mi obbligheranno a togliere la maschera? Cosa farò quando Hector si accorgerà di avere di fronte proprio me?
«Cosa stai cercando?», gli domanda uno di loro, forse il tizio che ha colpito e che non deve essersi accorto della mia reazione e di conseguenza della mia fuga perché stordito.
«Ssshhh, non deve essere lontano. Sta lasciando delle tracce».
«Chi stiamo cercando? Credi che fosse uno dei loro?»
«Sei sicuro di avere visto qualcuno? Magari quel tizio stava andando in una delle stanze e sei solo paranoico».
Sentire la voce di Butch così vicina mi fa quasi urlare. Mi guardo indietro e infine, accorgendomi della porta con il cartello e il segnale verde a indicare le scale di emergenza, la spalanco accedendo su un altro pianerottolo che conduce solo al piano superiore.
Che razza di scherzo è questo?
«Ti dico che qualcuno ci stava spiando. Troverò chi e avrà una brutta nottata», afferma con gelida sicurezza Hector. «Sarà andato da quella parte. Le vere scale d'emergenza si trovano sul lato opposto del locale. Chi frequenta questo posto lo sa».
«Merda, merda, merda», soffoco un urlo tappandomi la bocca. Non posso più tornare indietro, ormai ci sono dentro. È solo questione di tempo prima che Hector faccia due più due. È un uomo sveglio e ha nemici ovunque. Ora la mia preoccupazione è che in qualche modo faccia male a chi fa parte della mia vita per attirarmi nella sua rete. Non mi stupirebbe e, francamente, non sarebbe la prima volta. Gli uomini come lui lo fanno sempre. Per vendetta. Per diletto. Per puro piacere personale.
Non sapendo che cosa aspettarmi, con il cuore che mi martella nel petto e nelle orecchie, impedendomi di mantenere il controllo, scuoto la testa e prendo una decisione: «O la va o la spacca, Blue», incoraggio me stessa.
Salgo ancora una rampa di scale immettendomi al terzo piano, indietreggio lungo il corridoio deserto e ristretto, tentando di fare il minor rumore possibile. Ma le mie Dr. Martens stridono all'improvviso sul marmo e tutto si ferma.
«Zitti!», tuona Hector, che ha appena spalancato la porta mandandola a sbattere contro la parete.
Le mie dita navigano a tentoni fino a impugnare la presa sulla maniglia alle mie spalle; dato che mi sono appena addossata a una delle porte più vicine. Non so che cosa mi aspetta oltre questa, devo solo augurarmi che non sia chiusa a chiave e agire in fretta prima di essere scoperta.
Una risatina nervosa mi blocca il respiro. «È vicino, lo sento».
Prendendo coraggio spalanco la porta e me la richiudo alle spalle con un lieve clic. Immediatamente le mie ginocchia cedono.
Massaggio il petto dolorante sotto la vestaglia. Non perdo tempo e faccio in fretta un giro di ricognizione per capire dove mi trovo e se c'è la minima possibilità di salvarmi.
Sono in una delle stanze private dell'hotel. Tutto appare in ordine, fatta eccezione per le bottiglie disposte sul tavolo ovale in onice. Un lungo divano a forma di C squadrata lo circonda e i cuscini sono stati lasciati alla rinfusa, come se qualcuno ci avesse dormito e non avesse avuto il tempo di mettere in ordine prima del mio arrivo.
Inspiro a fondo cogliendo il profumo delicato di una candela appena spenta.
Aggrotto la fronte perché sento che c'è qualcosa di sbagliato, qualcosa che in qualche modo i miei occhi ancora fasciati dalla maschera non mi permettono di cogliere. In più c'è quest'altro odore, un po' muschiato e di spezie, mascolino.
Blocco il passo, i sensi così in all'erta da poter sentire cadere persino uno spillo a un chilometro di distanza.
Non sono sola. Mi dico.
Non sono al sicuro. Mi ripeto.
Sollevo lentamente le mani voltandomi come un robot perché quel qualcuno che devo avere interrotto irrompendo qui dentro mi sta scrutando, anzi, peggio...
Trattengo il fiato, colta alla sprovvista dalla figura che esce dall'ombra. Dal peso della sua arma premuta contro la mia tempia.

Brutal - Come graffio sull'animaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora