Capitolo 7

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BLUE

Forse sono solo paranoica dopo quello che è successo con quello svitato di Dix, ma ho la netta sensazione che qualcuno mi stia seguendo.
Nonostante ciò, nel quartiere, le persone hanno smesso di trattenere il respiro e sono tornate alle loro vite di sempre; senza doversi preoccupare delle ripercussioni. In fondo, Dix, era un uomo spregevole e tutti speravano di non trovarlo più all'angolo della strada. Dubito che qualcuno dei suoi amici ne abbia denunciato la scomparsa. È un dato di fatto che il testimone passi al braccio destro. Una posizione che apre molte porte e possibilità a chi ha aspettato in fila per tutta la vita.
Ripiego una camicia aggiungendola alla pila ordinata nella scatola di fianco. I miei occhi corrono su Isobel, ancora beatamente addormentata. Le sue guance sono rosee e, di tanto in tanto, muove le labbra facendo schioccare il ciuccio che nel corso delle ore le ha dato un po' di conforto; in mancanza di un biberon o di giochi.
Recupero un lenzuolo e mi accingo a stirarlo nel modo corretto.
Il signor Kim non ama chi non esegue i metodi e le sue precise istruzioni. Prima ha sgridato una delle nuove ragazze per dei polsini non abbottonati e un paio di jeans ripiegati male. Ha minacciato poi tutte, in maniera non propriamente velata, e da allora si respira un clima teso.
La campanella suona. Concludo il carico, sistemo tutto ordinatamente sul carrello, mi cambio nello stanzino dove trovo le mie colleghe provate dalla giornata estenuante, le saluto e con Isobel in braccio mi reco verso il bancone, pronta a lasciarmi alle spalle questa giornata spossante.
Il signor Kim attende come sempre con le spalle dritte, il petto in fuori e la sua cartellina sottobraccio. Oggi indossa un papillon a pois, ha messo del gel sui capelli e profuma fin troppo di colonia.
Mi rivolge appena un sorriso. Indica il carrello con la penna, ma non mi porge il foglio dopo averci segnato sopra qualcosa.
Il mio stomaco si contorce. Che succede? Cosa ho sbagliato?
«Devo chiederti di fare un extra. Per te non è un problema, vero Blue?»
Capisco in fretta il messaggio in codice e scuoto la testa. Nonostante sia stanca, non posso mettermi a discutere o rifiutarmi. Non porterebbe a niente di buono. Il signor Kim è noto per i suoi trabocchetti e non si lascia di certo abbindolare facilmente. Il suo metodo per licenziare chi non sottostà alle sue regole è conosciuto da chiunque, specie da chi ha avuto la sfortuna di lavorare qui dentro.
«E sai che la paga rimane invariata anche se le ore di lavoro sono in più», mi avverte che non ci sarà denaro aggiuntivo dentro la busta. «Potrai prendere un giorno libero durante la settimana a tua scelta».
Sapendo entrambi che non prenderò nessun giorno libero perché ho bisogno di soldi, raddrizzo la schiena e continuo a sorridere. «Certo, signor Kim», dico recuperando il carrello pieno di panni sporchi appena ricevuto da uno degli hotel con cui collabora.
«Questo deve essere pronto entro mezz'ora», mi avvisa. «L'hotel sarà il centro di una conferenza e gli ospiti soggiorneranno nelle stanze. Sono uomini prestigiosi e non vogliamo fare brutte figure, quindi muoviti».
Riporto Isobel, adesso sveglia, nello stanzino e rimboccandomi le maniche riprendo il lavoro, il quale si protrae per altre tre ore. Ore in cui ho il terrore che la mia bambina possa stancarsi e cominciare a dare i primi segnali di insofferenza.
Passo il dorso della mano sulla fronte e le sorrido. «Ho quasi finito», dico un paio di volte a lei e a me stessa per non mollare. Quando termino però puntualmente mi arriva un nuovo carico e una scusa da parte del signor Kim; quasi divertito della tortura che mi sta infliggendo.
Dopo il turno, con la busta bianca contenente la paga del giorno in mano e la stanchezza a pesare sulle braccia come un macigno, mi dirigo verso casa. So di non avere ancora finito, ma rivedere il mio ambiente per qualche minuto mi aiuta a ricaricarmi.
Il signor Hudson non ha bisogno di scuse quando apre la porta lasciandomi entrare nel suo appartamento. Intorno c'è odore di muschio bianco e dopobarba.
Il signor Hudson sa dove lavoro. Mi è capitato di lamentarmi del signor Kim un paio di volte e da allora non ha più fatto commenti sui miei ritardi.
Prende Isobel, la quale adesso libera di muovere gambe e braccia si agita e gli afferra la barba cominciando a sorridere e a emettere versetti gioiosi. Lui, con un enorme sorriso, che riserva sempre solo per lei, la porta in soggiorno per cambiarla e per lasciarmi ai fornelli.
«Che cosa ti ha chiesto di fare questa volta?», mi chiede interessato dieci minuti dopo, mentre mangia la sua zuppa di granchio.
Tengo il biberon alla giusta altezza per permettere a Isobel di mangiare senza strozzarsi. È affamata.
«Lavoro extra o il licenziamento immediato».
Posa il cucchiaio allontanando il piatto vuoto e scuote la testa adirato. «Sfruttare una dipendente neo-mamma, che coglione!», brontola chiudendo il sacchetto dei crostini. «Qualcuno dovrebbe inviare dei controlli in quel posto e farlo chiudere. È inammissibile!»
Pulisco le labbra a Isobel e lei gioca con i miei capelli. «Non potevo rifiutare», abbasso la testa avvilita.
«Sai, potrei sempre fare quella chiamata».
Sto già negando, preoccupata al pensiero. «Non è necessario. Il lavoro mi serve e posso reggere due ore in più se Isobel resta buona».
Prende la bambina dichiarando conclusa la nostra discussione, anche se noto il modo in cui è contrariato. Metto in ordine la cucina e il resto della minuscola abitazione in silenzio.
In realtà il signor Hudson ha un quantitativo di denaro sufficiente a permettergli di avere una vita piena di agi. Eppure lui si ostina a vivere in questo palazzo che ha acquistato per pochi spiccioli e ad aiutare la gente del posto con le sue conoscenze e abilità mediche.
«Hai bisogno di dormire, Blue».
Avrà notato le mie occhiaie e il modo in cui arranco. «Dormo abbastanza», affermo con una certa convinzione per tranquillizzarlo e perché odio quando fa la parte del medico con me.
Riprendo in braccio la bambina e lui mi aiuta a sistemarla nel marsupio.
«Non metterti sulla difensiva. Devi solo rallentare un po'».
«Non dimenticare le pillole per la pressione. Ti ho già sistemato il libro e il bicchiere di latte caldo sul comodino. Ho anche aggiornato la tua agenda. La prossima settimana sarai pieno di impegni», sorvolo sulla questione per non dover mentire.
Annuisce soddisfatto. «Va' a dormire ragazzina», mi scaccia.
Nascondo un sorriso. «Buonanotte», lo saluto.
Quando la porta del signor Hudson si chiude, invece di entrare in casa e restarci, recupero altro latte e altri pannolini e mi reco al locale per il mio ultimo turno di lavoro.
Per fortuna durante la prima ora non c'è molta folla. Questo mi permette di controllare la bambina, prendendomi di tanto in tanto qualche minuto di pausa per cambiarla e darle da mangiare.
Ho gli occhi appesantiti per la mancanza di sonno e i crampi della fame per aver saltato i pasti. Non potevo accettare la zuppa che il signor Hudson voleva offrirmi, in parte sentendo il mio stomaco brontolare. Sta già facendo troppo per me. Mi sarei sentita una vera scroccona. Non potevo neanche fermarmi a casa perché il frigo è vuoto ormai da giorni. A stento riesco a comprare quello che serve a Isobel, ma non ho nessuna intenzione di privarla dei migliori prodotti per cedere a qualche sfizio. Possono andar bene gli avanzi del locale o qualche snack mentre metto da parte i soldi per la spesa settimanale.
Cerco di tirarmi su bevendo il caffè messo a disposizione per lo staff, ma riesce solo a farmi saltare la frequenza cardiaca. Dovrei fare attenzione e non assumerne in quantità eccessive. In realtà non dovrei berne affatto. Ma a mali estremi...
Sono appena passate le undici, io e la mia collega stiamo pulendo i tavoli quando una fiumana di persone entra nel locale. Giselle sospira, tira fuori dal grembiule un taccuino e una penna, con efficienza raggiunge il tavolo in fondo.
Non riesco a sentire la sua voce né la musica che si diffonde tenue dagli altoparlanti. Le orecchie iniziano a fischiarmi e la vista mi si sdoppia. Per fortuna sto pulendo un tavolo e non corro il rischio di cadere. Rimango un momento a inspirare ed espirare, e quando sono sicura che le mie gambe abbiano smesso di tremare proseguo con il mio lavoro servendo delle ragazze.
Il campanello trilla ancora, un gruppo di ragazzi affamati ed eccitati, dopo aver partecipato a una festa qui nelle vicinanze, circonda il bancone. Ordinano direttamente dal menu posto sul tabellone, ridendo e facendo un gran chiasso. Rivolgo loro dei sorrisi trascrivendo su un foglio quello che vogliono mangiare per poterlo portare in cucina, rispondo alle loro battute, seppur in maniera fiacca.
«Blue?»
Giselle interrompe la conversazione. Ha l'aria dichi sta per incazzarsi, continua a mordersi il labbro e a storcere le dita. «Quei tizi al tavolo sette hanno chiesto di essere serviti da te», dice con un tono acido.
«Come mai?»
Fa spallucce. «Non lo so. Va', ci penso io qui».
Non comprendo questa strana richiesta e per un attimo sono tentata di rimandarla indietro. Poi però mi rendo conto di quanto si stia trattenendo e facendomi coraggio, supero il bancone. Faccio slalom tra i tavoli occupati, cercando di non urtare niente e nessuno. Mentre avanzo, il pavimento è come se si muovesse.
«Benvenuti da...», sollevo la testa, ma non ho il tempo di concludere la frase perché le mie orecchie fischiano talmente forte da provocarmi una fitta dolorosa alla testa. Gli occhi freddi a inchiodarmi e il distacco dell'uomo seduto all'angolo, sono l'ultima cosa che vedo prima dell'oscurità.

Brutal - Come graffio sull'animaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora