BLUENella vita ho imparato che ogni attimo, ogni caduta, ogni dolore vissuto, ti lascia qualcosa.
Nella vita ho imparato che non bisogna mai lasciarsi sfuggire le occasioni. Non bisogna farsi sfuggire l'amore quando ti si presenta davanti anche se sei coperto fino all'orlo dal timore, dal dolore.
Riemergo dalla sensazione di stordimento che per gran parte del tempo in cui sono stata prima trascinata, poi sbattuta dentro qualcosa di duro, per finire seduta con la schiena premuta contro un palo, mi ha tenuta lontana dalla paura.
Apro lentamente le palpebre e non vedo niente.
Sono bendata e legata. Le fascette intorno ai miei polsi, per fortuna, non sono abbastanza strette da impedirmi di liberarmi.
Il mio cervello impiega meno di un minuto per ricordare come fare.
Sento un fruscio e il mio cuore prende il volo. Non dovrei spaventarmi fino a morire di crepacuore. Non voglio andarmene come una codarda. Voglio vendicarmi con chi mi ha fatto tutto questo. Voglio vedere il terrore nei loro occhi quando prenderanno consapevolezza della punizione che li attende. E cosa più importante, voglio tornare a casa da mia figlia.
Mi auguro che Isobel stia bene, che Terrence e Cole si prendano cura di lei. Perché anche se ancora non l'ho espresso apertamente perché è un pensiero che mi fa paura, so che loro saranno sempre la sua famiglia. L'hanno accettata e l'hanno ricoperta di affetto senza mai chiedere niente in cambio.
«Blue, sei sveglia?»
La voce flebile di Eden mi raggiunge da qualche parte e mi volto, anche se non posso vederla, alla mia sinistra. «Stai bene?», chiedo subito, preoccupata che possa essersi fatta male. La mia voce, oltre al fatto di aver inalato una sostanza tossica, esce raschiante e bassa.
Implorerei per avere un po' d'acqua in questo momento.
«Credo di essere tutta intera. Anche tu sei legata come un salame a una trave?»
Intorno riecheggia il rumore dei suoi tentativi di liberarsi.
«Penso sia un palo il mio», mi sfugge un sorriso.
Eden deve coglierlo dalla mia risposta perché sbuffa. «Non è il momento per le battute o di fare del sarcasmo. Ricordi niente? Devono avermi dato un colpo alla testa, perché l'ultima immagine nitida che ho è quella di essere entrata nel bagno».
Faccio una smorfia. «Ricordo di averti seguita o meglio di averci provato, prima che un braccio mi si piazzasse intorno alla gola e un fazzoletto mi si piantasse tra la bocca e il naso. Non ho neanche avuto il tempo di reagire. E adesso sono legata a un cazzo di palo», ridacchio. Lo faccio istericamente. «Sai qual è la cosa più assurda? Pur non vedendo niente, sento familiare l'odore che aleggia intorno a questo posto e se prima avevo paura, adesso provo solo una strana smania di liberarmi».
«Intendi la puzza di alcol stantio, urina e chissà quale altra sostanza corporea?»
Annuisco in un primo momento, poi subito dopo replico a voce. «Non è solo questo. C'è un odore diverso oltre quelli che hai appena elencato. Di legno quasi bruciato e un pizzico di muschio. È un aroma speziato. Non so come altro descriverlo. Sento di conoscerlo».
«Riesci a slegarti la benda intorno agli occhi? Io ci ho provato ma il nodo è troppo stretto. Almeno se ci riesci puoi vedere e avere la conferma su dove ci troviamo».
Prendo un respiro. «Ci provo».
La mia testa sfrega contro il palo, ma la benda non si sposta. Procedo provando con alcune angolazioni e il risultato non cambia.
«Devo riuscire ad alzarmi per liberarmi da queste fascette. Questo so come farlo».
«Sono riuscita a liberare solo i piedi. Blue, ho il terrore che qualcuno stia giocando con noi. Non so, mi sento osservata».
Con ogni probabilità non si sbaglia. Ci hanno rapite e legate. Di sicuro qualcuno ci sta tenendo d'occhio. Forse si sta divertendo nel vederci tanto impegnate a liberarci. Starà aspettando il momento giusto per attaccarci?
Smetto di dimenarmi perché comprendo che in questo momento Eden ha bisogno di parlare per non cedere al panico. Non mi è sfuggita la nota isterica nel suo tono.
«Cosa te lo fa pensare?»
«Il rapimento. È strano che sia accaduto proprio quando eravamo in ospedale. Non sono riuscita ad abbracciare mio marito, stargli accanto».
Cerco di ricordare qualcosa, un dettaglio che ho visto, ma le tempie cominciano a pulsarmi.
«Già. Avranno elaborato un piano e a quanto pare siamo caduti nella loro trappola. Adesso però dobbiamo provare lo stesso a liberarci. Non la darò vinta a chiunque ci sia dietro tutto questo», affermo.
Un po' arrogante da parte mia, ma sto provando troppe cose per non esternarle in questo modo.
«Siamo d'accordo. Prima dobbiamo guardarci intorno per riuscire a capire qual è la mossa più giusta da fare».
So il perché della sua cautela e ne ha tutto il diritto.
Riprovo a liberarmi dalla benda e riesco a spostarla di qualche centimetro, non abbastanza per vedere bene ma è sufficiente da permettermi di inclinare il capo e di sbirciare intravedendo un bancone, dei tavoli in lontananza e nella penombra. L'atmosfera è cupa, tipica di un club da quattro soldi, e non c'è traccia di pericoli nei dintorni.
«Siamo in un locale. Non ci sono uomini nei paraggi. Solo noi due e tu sei legata a una colonna».
«L'ho capito sin dal primo istante che sei fantastica».
Sorrido anche se non può vedermi, e lei fa lo stesso. Questo breve momento serve a esorcizzare la paura. Soprattutto la sua.
«Eddy, usciremo da qui in un modo o nell'altro. Non preoccuparti», la rassicuro, in parte aspettandomi che qualcuno dissenta. Ma non succede niente. Nessuno si fa avanti.
«Pensi che ci stiano già cercando?»
«Li conosci meglio di me».
«Staranno scatenando l'inferno quei diavoli», afferma. «Dante starà coordinando una squadra di ricerca. Sarà nervoso anche se manterrà quella tipica composta freddezza che un tempo mi avrebbe fatto saltare i nervi. Ti ho raccontato del giorno in cui ha tentato di catturarmi?», ridacchia. «Mi ha dato un morso, sul sedere».
«Davvero?», per poco non scoppio a ridere immaginando la scena.
«In compenso si è beccato un calcio in faccia da parte mia quando mi ha legata a un palo. Ironico ritrovarmi quasi al punto di partenza», sospira. «Non si direbbe che il nostro sia stato amore a prima vista. A ogni modo, mentre lui coordina l'operazione, Terrence sta cercando di rintracciarci e sta tenendo tutti buoni con il suo carattere scherzoso. Cole invece starà minacciando come un pazzo chiunque gli si avvicini, perché anche se non è uno abituato a esternare i propri sentimenti, a modo suo dimostra quanto ci tiene e lo fa acquattandosi nell'ombra».
«E Faron? Pensi che sia con loro?», adesso ho bisogno io del suo conforto.
Ascoltarla mi ha fatto pensare che prima di Cole e del signor Hudson non ho mai avuto nessun altro al mio fianco pronto a lottare per me.
Forse lui potrebbe. Lo vorrebbe? Sarebbe disposto ad accettare me e mia figlia?
«Tesoro, Faron è quello che arriverà per primo».
Inarco un sopracciglio, per quanto mi è possibile farlo. «Come fai a saperlo?»
Un'emozione sboccia nel mio petto facendo riscaldare la mia pelle al pensiero di vederlo arrivare. Anche se al momento non posso permettermi l'illusione.
«Quando un Blackwell ama, lo fa con tutto se stesso. E quando gli strappano via la loro metà, se la riprendono con i denti e con la forza se necessario», afferma. «Faron è tornato a vivere grazie a te. Sono sicura che quando arriverà ogni cosa tornerà al suo posto. Lui ha sempre avuto questa capacità di aggiustare tutto, anche le cose apparentemente rovinate».
«Ma lui non è... insomma, noi non siamo... perché dovrebbe, oltre per aiutare Dante e te?»
Eden emette un verso simile a una risata. Scommetto che vorrebbe alzare gli occhi al cielo.
«Non sei brava con le bugie».
Ho il volto in fiamme. «Tra di noi è complicato».
«Forse lo è più per te che per lui», replica e la sento affannarsi. «Per i tuoi vuoti di memoria». Lascia passare qualche altro secondo. «Cosa provi davvero per lui?», chiede infine.
«Faron è tutto quello che non dovrei mai desiderare, Eden. Non è un uomo ordinario. Ma questo lo sai bene. Lo conosci e ti sei legata a lui e a suo fratello, anche se ti ha morso come un barbaro e tu hai replicato come una guerriera».
«Ma lo ami lo stesso».
«Anche se è un uomo complicato e non dimostra apertamente quello che prova, io, io con lui mi sento parte di qualcosa», sorrido mesta, pentita di non avergli detto in faccia tutto questo. «Sai, non pensavo che mi sarei mai innamorata di qualcuno che è capace di far uscire ogni mio istinto, persino quello di fuga. Ma non posso mentire. Non posso più farlo. Perché Faron, lui è... la mia persona».
«Ma continui ad avere paura».
«Guarda dove siamo, Eden. Ogni volta che amo una persona o possiedo qualcosa che mi rende felice, mi faccio male», trattengo le lacrime. «Ma quello che mi fa provare Faron, spazza via qualsiasi traccia di dolore o paura».
Eden non ribatte subito. Sta riflettendo sulle mie parole e forse sta anche sorridendo per avermi quasi spinta ad accettare quello che provo ormai da un po' per l'uomo che mi ha lasciato più di una carezza su ferite ancora doloranti.
«E non è forse questo l'amore?», mormora.
Non ribatto. Pensare a lui adesso potrebbe mandare in cortocircuito ogni minima traccia di razionalità che mi è rimasta aggrappata insieme all'ostinazione.
Mi impegno ancora di più con la benda e si solleva di un altro mezzo centimetro, abbastanza da farmi scrutare meglio intorno e non avere brutte sorprese ad attenderci.
«Be', spero tanto che non mi trovi in questo stato. Su un palco appiccicoso, legata a un palo da lap dance», non appena pronuncio queste ultime parole, un flash mi raggiunge e mi si mozza il respiro.
Eden deve aver sentito il mio rantolo perché si agita. «Blue, tutto bene?»
Una donna. Bella, solare, mi accarezza i capelli e sollevandomi mi fa sedere sul ripiano vicino alla cassa, dove può tenermi d'occhio mentre lavora. Mi porge una confezione nuova di noccioline.
«Blue? Rispondi!»
Il locale è pieno di gente. Sul palco, intorno al palo, a poca distanza dal bancone, si stanno esibendo a turno tre donne e i contanti che gli uomini tirano fuori dai portafogli o dalle tasche delle loro giacche di alta sartoria volano qua e là.
«Blue?»
Odore di sigaro, di liquore e talco. Mani delicate che mi accarezzano il viso. «Tesoro, non dovresti stare qui. Tua madre è un'incosciente a farti entrare in questo posto mentre lavora e si diverte. Non muoverti e non andare con nessuno di quei maiali. Mangia poche noccioline e se hai sete bevi solo da questa bottiglia d'acqua. Dopo ti preparo un toast e se fai la brava ti do anche un biscotto al caramello. Uno dei tuoi preferiti. Adesso fammi trovare tua madre. Devo dirgliene quattro».
In qualche modo so che la donna di cui sta parlando non tornerà e mi si stringe il cuore nel petto. Il punto colpito prende a farmi male, a bruciare.
«Phoebe», ripeto a voce alta.
«Blue, per favore, dimmi che stai bene», Eden alza il tono, strappandomi dal ricordo.
Annaspo in cerca d'aria. «Sì, scusami. Ho solo, ho solo recuperato un pezzo», balbetto infreddolita.
«Riguarda questo posto?»
«Penso che fosse casa mia», bisbiglio, quasi spaventata e imbarazzata da un suo giudizio.
Eden sussulta, riesco a vederla adesso che ho spostato la benda ancora di più.
«Vivevi in un locale?», non sembra inorridita, solo un po' sconvolta e curiosa di conoscere altri lati della mia vita. Forse proprio quelli che mancano all'appello.
«La consideravo casa perché a quanto pare sono cresciuta qui dentro. C'erano delle donne, una si chiamava Phoebe e si prendeva cura di me quando... qualcun altro non poteva o non voleva farlo».
La rivedo la sera dell'incidente e la mia pelle si copre di brividi nel risentire l'eco della sua voce allarmata. Mi chiedeva di fare attenzione, di tornare da lei. Che mi avrebbe aiutata.
Mi domando che fine abbia fatto. Ha saputo del mio incidente? Mi ha cercata?
«Sono stata abbandonata». Più parlo, più ottengo altri ricordi. «Venivano a cercarmi per pagare i suoi debiti», strizzo le palpebre. «A un certo punto ho smesso e sono andata avanti. Phoebe era l'unica rimasta nella mia vita».
«Hai visto altro?»
«Credo non sia il momento di parlare di questo. Sto per provare ad alzarmi e potrei perdere l'equilibrio e sbattere la faccia su questo legno impolverato, perdendo credibilità», cambio discorso.
Riesco a staccare la corda che teneva uniti i polsi alle ginocchia. Sollevando le mani sopra la testa afferro il palo e facendo pressione sulle gambe mi sollevo. All'inizio non ci riesco e mi sbilancio. Qualcosa però mi suggerisce di essere capace, di conoscere questo spazio e di non dovermi preoccupare di una possibile caduta. Di sapermi muovere intorno a un palo perché mi è stato mostrato come si fa, mi sono esercitata.
«Serve per la tua coordinazione e l'equilibrio. Inoltre ti stai allenando in maniera gratuita. Approfittane, ragazzina. Almeno saprai fare qualcosa nella vita, oltre ad aprire le gambe per un uomo ricco per farti mantenere».
«Io da grande farò il medico. Mi manterrò da sola».
Ride. «Ma sentila... il medico? E come pensi di pagare gli studi? Forza, datti una mossa. E smettila di sognare una vita che non avrai mai. Accetta il tuo destino, quello che tua madre ti ha dato».
«Marisol», sussurro e sussulto sentendo un'altra fitta al petto mentre una valanga di ricordi mi precipita addosso.
È troppo in così poco tempo.
«Blue?»
Stringo forte la presa sul palo. Rimango sospesa quando mi sollevo, giro intorno ma non posso fare nessuna figura perché ho ancora i lacci intorno alle caviglie.
Una volta in piedi, prendo un respiro, scaccio i pensieri e ricordando gli esercizi del corso di autodifesa, con un movimento secco mi libero delle fascette. Strappo subito via la benda dalla testa e procedo liberandomi dalla corda intorno al busto e da quella alle caviglie.
Scendo dal palco con un balzo. Il movimento mi fa guadagnare un po' di nausea, dato che sono ancora stordita a causa della sostanza che mi hanno fatto inalare e forse mi hanno anche iniettato per tenermi buona.
Slego Eden, la quale mi abbraccia a lungo. «Grazie».
«Ascolta, non ho ancora ricordato niente di questo posto a parte qualche stralcio in cui c'erano delle donne, ma possiamo farcela. Non deve essere difficile trovare una via di fuga».
Annuisce. Guardandosi intorno afferra la mazza da baseball che trova appesa a una mensola.
In questo posto il tempo sembra essersi congelato, come se il proprietario non fosse tornato e nessuno si fosse preso la briga, il giorno dopo, di aprire e mandare avanti l'attività.
Vi sono ancora dei bicchierini impolverati disposti ordinatamente sulle mensole e delle bottiglie piene di liquori a dimostrare la mia strana teoria.
Recupero l'altra mazza e insieme ci spostiamo verso quello che sembra il retro del locale diviso da un corridoio. Stretto, impolverato e silenzioso, un po' troppo.
Sposto Eden poco prima che qualcosa sibili sulle nostre teste e fisso incredula i tre fori sulla porta che abbiamo appena superato.
Eden tappa la bocca per non urlare ma abbiamo entrambe capito di essere nel mirino di qualcuno.
Aveva ragione. Ci stavano osservando. Adesso che ci siamo liberate è iniziato il loro gioco.
«Giù», la trascino e la spingo dentro dopo aver spalancato una seconda porta seguendola a ruota nella stanza.
Il freddo mi si insinua sottopelle portando dietro ventate di paura che come stilettate si abbattono violente nel mio petto.
C'è un momento in cui la mia vista si sdoppia, si appanna, e un altro lungo secondo in cui non vedo niente e credo di poter perdere i sensi.
Vorrei che succedesse, perché quello che ho davanti è un incubo a occhi aperti dal quale non potrò svegliarmi.
Eden prova a correre da lei, ma la mia mano afferra nell'immediato il suo braccio. «Ferma!», le ordino con gli occhi che mi si riempiono di lacrime. Le mie dita si intrecciano alle sue mentre la donna seduta davanti a noi, con in braccio mia figlia e una pistola puntata a poca distanza dalla sua testa mi sorride.
Conosco quel volto liscio, con poche rughe agli angoli degli occhi. Il seno generoso grazie alla chirurgia e un trucco vistoso.
Ho visto quel volto poco fa in uno dei ricordi che sono riaffiorati.
Marisol, mi sorride accavallando le gambe e spostando la pistola per puntarla su Eden. «Non un altro passo, biondina».
Mi posiziono davanti, in modo da farle scudo con il mio corpo.
Devo proteggere lei, devo proteggere il suo bambino. Perché anche se non me l'ha detto per paura di vedere il suo sogno infrangersi un'altra volta, io so che sta succedendo. So che c'è la possibilità che sia incinta e che abbia finalmente il frutto del suo amore con Dante. Insieme ne hanno passate tante e non me lo perdonerei se a causa mia le dovesse succedere qualcosa di così brutto come perdere la sua possibilità di essere felice.
Vedere mia figlia in questo posto, tra le braccia di un'estranea che a quanto pare un tempo ho conosciuto, mi spaventa così tanto da non riuscire a muovermi.
Hanno preso la mia bambina e adesso la useranno contro di me. Perché è così che funziona con certe persone quando non possono ottenere quello che vogliono: usano ogni mezzo, usano le tue debolezze. La mia è più che evidente. Ha i miei occhi, un po' più chiari, un misto di verde e azzurro e due guance rosee da far sussultare il cuore dalla tenerezza. Un piccolo naso all'insù e un sorriso talmente magnetico da tramortirti. E non lo dico perché è mia figlia e la guardo attraverso il velo dell'amore. Ho solo notato l'effetto che ha sulle persone.
«Blue, cosa fai?», Eden prova a superarmi. «Dobbiamo prenderla».
Sollevo la mano. «Vuole me», fisso gli occhi scuri della donna per avere la sua conferma. Lei mi sta sorridendo in modo malevolo. «La bambina starà bene», più che lei convinco me stessa, smaniando dalla voglia di avanzare e fare del male alla donna che ha osato toccare mia figlia.
«Ho saputo che non ricordi niente», comincia e quando Isobel protende le manine verso di me, chiamandomi, non si scompone. Tiene lo stesso la pistola troppo vicina a lei. Non prova neanche a calmarla.
Fremo e vorrei tanto saltarle alla gola. Ma non posso farlo. Non posso perché la mia bambina e Eden devono uscire da qui dentro illese, nell'immediato. Devono allontanarsi dal pericolo.
Abbasso le spalle. «È così. Ho avuto un incidente», accetto con un certo sconforto la sconfitta, ma non mi piego e non le do modo di togliere la sicura e azionare quella dannata arma.
Se vogliono giocare, giocheremo.
«Abbassate quello che tenete in mano, ora», gira ancora una volta la pistola.
Sibilo a denti stretti ma l'accontento. Alle mie spalle Eden fa lo stesso, seppur riluttante. «Izzy», sussurra. «Se le succede qualcosa...», prova a ringhiare una minaccia.
«Mamma!», Isobel si agita, non capendo perché non mi muovo per prenderla in braccio, e la donna sorride ancora accarezzandole la testa. Lo fa meccanicamente, quasi come se stesse seguendo un copione.
«Eri anche tu così piccola quando tua madre è entrata qui dentro per presentarti a ognuna di noi», comincia. «Eri indifesa e tutte ti volevamo bene. Ti viziavamo come se fossi stata nostra».
Mi irrigidisco. C'è qualcosa di sbagliato in questa storia che sta per raccontare, me lo sento. Proprio come sento che lei non ha mai provato niente di simile al bene.
«Ti abbiamo cresciuta, ti abbiamo quasi adottata», sospira. «Ma tua madre era un'ingrata che continuava a scoparsi i clienti nonostante fosse dietro un bancone a servire alcolici e a strapparmi le mance migliori. Mentre tu a soli dodici anni attiravi più clienti di una delle troie in fondo alla strada», digrigna i denti. «Avevo chiesto alla proprietaria di non farti più entrare, avevo persino tentato un paio di volte di far cacciare tua madre. Te la ricordi?»
Mi blocco impallidendo al ricordo del suo corpo fatto a pezzi e del sangue, troppo, nel suo appartamento. Lo stesso luogo in cui quell'uomo mi ha afferrata e fatto del male.
«No», deglutisco a fatica. «Non ho ricordi di lei», replico monocorde.
Isobel si agita. Muovo un passo avanti ma Marisol scuote la testa. «Non ho ancora finito», afferma impaziente controllando qualcosa alle nostre spalle.
Solo ora noto un pannello attaccato alla parete con uno schermo che mostra le immagini in tempo reale di molteplici aree del locale.
«Come dicevo ho fatto di tutto per fare licenziare tua madre. E quando finalmente è caduta nel mondo della droga facendosi da parte da sola, ho avuto la mia opportunità», il suo sguardo si rabbuia. «Sai cosa è successo?»
Nego. «Non ricordo».
«Mi sono innamorata un'altra volta dell'uomo sbagliato. Ma ho lavorato sodo, ho elaborato un piano per tenermelo. Purtroppo i clienti continuavano a cercare tua madre anche a distanza di mesi. Proprio come cercavano te. Persino lui lo faceva, tenendomi lontana dalla verità. Come se fosse possibile», scuote la testa indignata. «Poi qualcuno mi ha umiliata».
Trattengo il fiato. Chissà come Marisol si accorge della mia reazione e sorride. Anche se è una smorfia fredda, quasi calcolata. «Questo lo sai, vedo. Lo conosci».
«Tu... sei...»
«Io», replica con distacco alzando il tono.
Solo ora mi rendo conto della vaga somiglianza tra i due.
«A causa sua ho perso ancora una volta tutto. Allora sai cos'ho fatto? L'ho cercato a mia volta e l'ho seguito. Ci ho messo un po' di tempo ma quando ho capito come avvicinarmi a lui, chi trovo in quel locale?», alza il tono e mi punta la pistola addosso. «Proprio te», scuote la testa. «La piccola Blue Thorne seduta in un angolo a bere da sola e a spiare l'uomo che ho amato sin da quando i miei occhi si sono puntati su di lui. Il fatto che avessi una maschera per me non contava. Ti avrei riconosciuta tra tante persone, proprio come ho fatto. Ho avuto anni per studiarti».
Sento Eden irrigidirsi alle mie spalle. Io sto smettendo di respirare o di pensare.
È assurdo! Tutto questo non può essere vero!
Poi come un lampo rivedo quella notte. Quegli uomini seduti al tavolo...
«Eri lì per Hector o per Faron?», oso chiedere.
Si stizzisce. «Ero lì con Hector per Faron», spiega. «Era una trappola. Sapevamo della caccia all'uomo portata avanti dai Blackwell per trovare il fratello. Parsival in qualche modo era sempre aggiornato».
È un bene farla confessare, perché quando tutto questo sarà finito, avrà quel che si merita. Le telecamere stanno riprendendo tutto quanto.
Ma lui, come la prenderà?
Stringo i pugni in vita. «Ma hai visto me».
«Ho visto quello che hai fatto per tutto il tempo, e poi quando ti sei fatta beccare e ti hanno rincorsa, be', ho fatto lo stesso. Volevo vedere quale sarebbe stata la tua punizione. Solo che loro non sapevano che proprio in quella stanza in cui ti sei rifugiata c'era il tuo futuro piccolo segreto. Proprio come non si aspettavano che lui ti avrebbe salvata. È stato bravo a nascondersi, glielo riconosco. Mentre noi lo aspettavamo alla festa, lui se ne stava seduto a godersi lo spettacolo».
L'ultimo pezzo si incastra e la terra sotto i miei piedi trema.
No. No. No.
Mi abbraccio. Scrollo la testa.
Eden mi sfiora la spalla, mi fa sapere che è accanto a me, che sta sentendo tutto e che mi aiuterà a raccogliere i pezzi.
Lei lo sapeva. Tutti lo sapevano.
Faron...
Adesso che parte della verità è tornata al suo posto, mi domando quando mi sono innamorata veramente di lui. È successo quella notte o ora che il pensiero di vivere senza di lui oscura ogni altra cosa dentro e fuori di me.
Quando è successo?
Forse lui dopo quella notte non è più uscito da lì, non si è mosso, ha trovato il suo posto e ci è rimasto. In silenzio ma creando al contempo un forte rumore che con le sue scosse mi ha aperto in due l'anima.
Perché l'amore è anche questo, un rischio di ricoprirsi di pezzi pronti a ferire.
«Ho scoperto ogni tuo piccolo segreto estorcendolo. Il più importante l'ho ottenuto solo quando ti ho vista da Phoebe. Era da mesi che riuscivi a sfuggirmi. Sapevo che tramavi qualcosa e avevo avvisato più e più volte Hector su questo. Quando sei uscita in tutta fretta da casa sua e ho visto la tua pancia mi sono subito chiesta chi fosse il padre della creatura. Fare due più due non è stato difficile. Proprio come non è stato difficile mettere in atto il piano».
«Mi hai tradita», digrigno i denti.
Solleva una spalla. «Volevo vendicarmi di Faron. Quale modo migliore se non riferire a Hector della tua "bravata" e togliergli ogni cosa come lui ha fatto con me. Hector ha dato di matto quando l'ha saputo. Da lì in poi è stato una sorta di effetto domino», ride. «Specie quando è stato costretto a rivelare a Parsival Blackwell che sei sua figlia e che ne aspettavi uno da suo nipote. Il resto, lo sai. Sai com'è andata, vero? Ricordi la chiamata? Ricordi l'incidente?»
Tappo le orecchie. «Basta!», urlo facendo un passo avanti. «Ridammi mia figlia. Lei non ha nessuna colpa, razza di psicopatica anaffettiva».
Concentra la sua attenzione su Isobel. «Intendi mia nipote? Gli somiglia, anche se ha i tuoi occhi. Ma si riconosce l'odore di un Blackwell quando ne hai uno davanti», preme le labbra rosso scarlatto sulla testa della mia bambina. «Peccato dovervi separare. Hector ha altri piani per te e non prevedono né lei né la tua amichetta. Tranquilla, biondina, a breve se tutto andrà bene verrai liberata insieme alla tua dolce nipotina. Be', dipende da tuo marito ovviamente. Deve solo cedere qualcosa in cambio delle vostre vite. Prima non l'ha fatto, non è caduto nella trappola».
«E di Blue? Cosa ne sarà?»
Gli occhi mi si riempiono di lacrime quando prendo consapevolezza che questo sarà l'ultimo momento in cui vedrò la mia bambina. Non uscirò viva da qui dentro.
«Adesso basta con le domande. Biondina, vieni a prenderla e non fare mosse azzardate. Sta iniziando ad agitarsi troppo e non vorrei mi si sgualcisse il vestito», dice infastidita. «Devo essere impeccabile quando lui arriverà».
Lui? Lui chi?
«Dammi la possibilità di prenderla e darla a Eden o non si calmerà», sostengo il suo sguardo mettendo le mani in alto. «Non sono armata e la mia bambina è tutto per me. Non farei mai niente per metterla in pericolo», la voce mi si spezza. «Per favore, fammi salutare Isobel».
Marisol valuta attentamente. «Non sei affatto come tua madre», ribatte. Dopo appena pochi istanti annuisce e aggiunge: «Se solo fai una mossa sbagliata, sparo alla tua amica».
Eden mi fa cenno di muovermi. Avanzo verso Marisol e prendo dalle sue braccia Isobel, la quale come se per tutto il tempo avesse capito, mi si avvinghia addosso. La bacio e la cullo allontanandola dalla madre di Faron. La donna che lo ha venduto e sta vendendo anche me.
«Salutala, sbrigati».
Adagio Isobel tra le braccia di Eden, in lacrime.
«Ti prego», pigola lei. «Non farlo. Possiamo uscirne. Dobbiamo solo...»
«Prenditi cura di lei, okay? Sono sicura che starà bene con te e Dante. E be' con lui», sussurro, bacio ancora la testa della bambina. «La mamma ti ama tantissimo piccolina. È stato un bel viaggio il nostro. Fatti raccontare tante favole da Terrence, ma non innamorarti di lui, è troppo perfetto. E fatti accompagnare ovunque da Cole, lui sa come proteggerti e come tenere i bastardi fuori dalle palle. Abbraccia Faron come solo tu sai fare e continua a sfidarlo. A lui piace e lo diverte anche se non sa ammettere la sconfitta. Magari chiamalo papà», mi sfugge un singhiozzo. «Ti amo, tanto».
Eden scuote la testa. «Blue, non puoi farlo».
«Forse era già scritto, Eden», singhiozzo.
«Mamma!»
Tiro su con il naso e sono costretta a indietreggiare in lacrime quando Marisol mi afferra, mi strattona e mi punta la pistola alla tempia.
Eden si irrigidisce e stringe Isobel. «Ti prego non farlo. Non toglierle sua madre. Faron ti perdonerà».
«Sssh! Pensi che me ne freghi qualcosa di lui?», le punta la pistola contro e io sono costretta a mordermi il labbro fino a farlo sanguinare e a tenere i pugni stretti per non reagire.
«Mi dai la tua parola che non succederà niente a loro due?», passo al contrattacco per distrarla.
«Le abbiamo prese solo per attirare i fratelli Blackwell», replica sempre più rigida. «Adesso basta con le domande».
La porta si apre e due uomini si fanno avanti. Il primo afferra Eden per un braccio mentre l'altro tiene la porta aperta.
«Di loro non abbiamo più bisogno», Marisol mi avvolge un braccio intorno alle spalle. «Digli addio, Blue».
Eden prova a dimenarsi ma la spingono fuori e il pianto di mia figlia mentre mi chiama è la cosa più dolorosa che porterò con me nella tomba.
Marisol mi strattona e finisco a terra. Spara un colpo. Mi sibila vicino creando un buco sul vecchio pavimento.
«Era per fare scena», ghigna, notandomi stordita. «La biondina lo andrà a raccontare a Faron l'eroe e lui correrà dritto dritto come un topolino nella tana del lupo. Chissà quale sarà la sua prima reazione quando vedrà quello che abbiamo in serbo per lui».
Altri due uomini entrano e questa volta afferrano me per le ascelle e mi trascinano di nuovo su quel palco.
Non oppongo resistenza fino al momento in cui ho i polsi legati. Solo allora mi concedo di avere una reazione. Mollo un calcio forte in faccia a uno dei due rompendogli il naso. Costringo l'altro a piegarsi quando il mio ginocchio impatta sul suo inguine.
Ricevo un manrovescio e mi calmo ma sorrido con soddisfazione.
«Perché tanta fretta di morire? Non vuoi rivedere il tuo paparino? Non vuoi sapere la verità? Implorarlo come ha fatto tua madre?»
«Non è niente per me quel farabutto. Proprio come tu non sei niente per Faron. La pagherai».
La mia affermazione la ferisce. Ma ci passa sopra perché per lei la vendetta è più importante di un figlio che l'ha disprezzata perché ha avuto una scelta e non l'ha fatta nel modo giusto. Ancor più importante è darmi una lezione perché pensa che sia io il problema dei suoi fallimenti.
«Dimmi almeno la verità», comincio mentre la porta emette un cigolio. «Sei stata tu a ucciderla?»
Marisol si guarda le unghie laccate di rosso. «Ho solo sussurrato un paio di idee su come farla soffrire e dove poterla trovare. Tu al contrario sei stata più difficile da rintracciare, ma sapevo come attirarti nella trappola. Proprio come è successo alla proprietaria di questo posto, Phoebe», fa una smorfia.
Una lacrima mi solca la guancia. «E ne è valsa la pena?»
«Non lo vedi? Io ho ottenuto quello che volevo. Hector è mio adesso e non c'è nessuno eccetto te a impedirmi di averlo».
«Ma io non... lui non è niente per me!»
«Così mi ferisci», esclama una voce dura.
Hector Throne fa la sua comparsa. Non è invecchiato di un giorno e ha sempre l'aspetto di uno stronzo che ama dare calci ai gatti.
«Ma guardati, sei cresciuta dall'ultima volta in cui ti ho vista. Ho saputo che ho una nipote».
«Lei non è niente per te. Perché l'hai fatto?», strattono le corde.
Si siede comodo dopo aver stappato una bottiglia e averne preso un sorso. «Perché tu mia piccola ribelle hai qualcosa che mi appartiene. Sarebbe stato facile farlo con le buone. Ma no, tu hai voluto agire alle mie spalle», alza il tono freddandomi con quei suoi occhi spietati. «Cazzo, mi hai costretto ad ammazzare tutte quelle persone per metterle a tacere e per stanarti».
«Con le buone? Intendi farmi rapire e stuprare? Oppure intendi ammazzarmi come hai fatto con la donna che hai amato?», sfioro il suo punto debole.
Marisol si irrigidisce. «Lui non l'...»
Hector solleva una mano azzittendola. «Questi sono affari, Blue. Non potevo fargli sapere di aver avuto una figlia. Sai come funziona dalle nostre parti quando entri a far parte di un clan e hai a che fare con i ricchi. Non potevo neanche bruciare i documenti perché dovevo usarli contro tuo padre per tenerlo buono. Quell'uomo ti amava come se fossi davvero sua. Avrebbe fatto qualcosa di irrimediabile e sciocco», sbuffa. «Per lui è stata indolore, non preoccuparti. Me ne sono assicurato. Per tua madre al contrario è stato divertente sentirla implorare e ripetere il tuo nome quando non è riuscita a sopportare il dolore», sogghigna. «Chiedeva il tuo aiuto anche se ti aveva abbandonata e costretta a pagare i suoi debiti. Anche se ti ha venduta per salvarsi».
Scoppio in lacrime. «Sei un mostro!», urlo piena di disgusto.
«Come ho detto, sono solo affari. E presto mi sarò sbarazzato di ogni problema. Di ogni prova in tuo possesso», con un altro sogghigno, alzandosi, prendendo Marisol per mano, si allontana.
Prima di uscire ordina alle guardie di non toccarmi e di non rivolgermi la parola.
«Brucerai all'inferno per quello che hai fatto», gli urlo contro fino a sentire le corde vocali tendersi. «E se farai del male alla mia bambina il dolore che proverai non sarà nemmeno paragonabile a quello della rottura di un osso! Hai capito? I Blackwell non perdonano. Io non perdono».
Hector si ferma non appena sente queste parole. «Vedo che ti sei ambientata. Sarà ancora più divertente far impazzire il tuo Faron. Parsival mi ha dato carta bianca».
La porta si chiude e le guardie si posizionano ai lati, dandomi le spalle.
Anche se vorrei potermi liberare, so di avere delle telecamere puntate addosso.
Il terrore mi attanaglia quando pochi minuti dopo una guardia entra con un vassoio sul quale vi è una siringa e una tanica che adagia di fronte alla porta.
Mi agito e provo subito a lottare per quanto sia possibile farlo da legata.
«No, non voglio!», urlo. «Non farlo! Ti prego non farlo!», lo imploro.
Usando la forza per tenermi ferma mi inietta il sedativo. «Così te ne starai buona», mi ringhia contro prima di allontanarsi per svuotare la tanica di benzina su ogni superficie.
Tiro su con il naso e mentre la vista si appanna, prego che mia figlia e Eden stiano bene. Prego che Dante si prenda cura di entrambe. Prego che Faron non ricada in vecchie abitudini e che si impegni, che abbia una vita serena. Che sia disposto a proteggere e ad amare la sua bambina, la nostra bambina.
Soprattutto prego che nessuno tenti di fare l'eroe. Non per me.
Ripeto questa e tante preghiere fino a quando la schiena non si rilassa e i nodi nei muscoli non si sciolgono. I miei occhi diventano asciutti, pur continuando a bruciare come tizzoni ardenti. La mia faccia, da sempre espressiva e come un libro aperto, si spegne.
Non permetterò a queste persone di avere la meglio su di me.
È l'ultimo pensiero che mi resta prima dell'oblio.💛🦋
STAI LEGGENDO
Brutal - Come graffio sull'anima
AzionePaura. Incubi. Dolore. Questo è il mio nuovo mondo. Questo è quello che ho da offrire a chi mi sta intorno, insieme a macerie e distruzione. Nessuno troverebbe un'anima più nera e corrotta della mia. Macchiata e marchiata a fuoco dal destino. All'...