FARON
Non è sopravvivere il vero problema quando ti porti cucito addosso il marchio di un dolore. È ricominciare a fare paura.
Il senso di vuoto.
La solitudine.
Il cuore che sembra fatto di vetro, e al minimo urto rischia di creparsi o spezzarsi.
Puoi lasciare che ti distrugga l'anima, che ti impedisca di respirare, di poter desiderare una briciola di felicità. Oppure puoi imparare a tenere sotto chiave quel veleno. Perché al dolore puoi sopravvivere solo se riesci a capire come sedarlo.
Dante continua a bussare con insistenza alla porta principale, pronunciando il mio nome sempre più forte.
Un altro colpo e la superficie si scardinerà sotto la sua potenza. Ma che importa se è capace di abbatterla? È già tutto a pezzi. Una scheggia in più non farebbe comunque male.
«Non hai di meglio da fare?», porto il braccio sopra gli occhi, accecato dalla luce del sole che filtra dalla vetrata.
Quanto ho dormito? Ore? Giorni?
«Fammi entrare e non ti punirò, pezzo di merda. Non mi hai lasciato scelta, dato che non rispondi ai messaggi da ventiquattro cazzo di ore. Iniziavo a pensare che fossi morto o peggio, che fossi scappato a Las Vegas con una delle spogliarelliste del club».
Almeno ha chiarito ogni dubbio. Sono qui solo da ventiquattro ore. L'ultima volta sono passati tre giorni prima che mi schiodassi dal mio buco e qualcuno si accorgesse della mia assenza. Un enorme passo avanti.
Ma c'è qualcosa che mi mette in allarme. Non mi piace il suo tono.
Rotolo a pancia in giù, gli occhi socchiusi. «Eden sta bene?», alzo la voce per farmi sentire, ed essa risulta roca. Ho la bocca talmente secca e impastata da sentirmi come se avessi attraversato il deserto durante la notte, quella di cui ho ben pochi ricordi.
Dante resta in silenzio. Questo mi crea un certo terrore dentro, e senza preoccuparmi di poter essere nudo dalla vita in giù o di poter avere compagnia, scavalco il lenzuolo sgualcito, per gran parte riverso sul pavimento, e giungendo all'entrata spalanco la porta.
«Allora?»
Mio fratello per poco non arretra. I suoi occhi, da sempre molto espressivi, di un verde straordinario, si spalancano. Questo mi suggerisce quello che vede: un relitto.
«Sei ridotto uno schifo», afferma senza troppi preamboli. Entra poi in casa guardandosi dappertutto come un cane da tartufo; neanche fossi il figlio che ha rincasato dopo l'orario pattuito o è stato appena beccato con una rivista porno mentre si faceva una sega.
So cosa cerca. Le tracce della mia distruzione.
A quanto pare, oggi resterà deluso su tutta la linea.
«Cazzo, e io che pensavo di andare al provino per diventare il nuovo "Mister America" oggi», mi dirigo in bagno, prima però mi infilo una maglietta pulita dopo averla annusata dalla pila che continua ad aumentare sul mobile, e di cui presto sarò costretto a occuparmi se non voglio andare in giro nudo. Non che sia un problema.
Entro un po' distratto e mi sento smarrito, perché un pensiero improvviso mi colpisce a tradimento: Da quanto non si sente più il suo odore?
I miei occhi, abituati, vagano un po' ovunque, alla ricerca dei suoi oggetti.
Non c'è più niente.
Qualcuno ha pensato che fosse necessario strappare via ogni traccia. Forse sono stato io stesso a ordinarlo alla donna delle pulizie di turno il venerdì, mentre ero sbronzo. Perché da sobrio probabilmente non ne sarei capace, in quanto non ho il coraggio di guardare in faccia la realtà. Non ancora.
I prodotti profumati, lo spazzolino, i vestiti, i gioielli, ogni cosa dalla più insignificante a quella più importante è stata tolta dal mio ambiente per permettermi di tornare a respirare. Perché ogni volta che entravo qui dentro tutti quei segni distintivi mi facevano male. La verità mi si infrangeva addosso come mare mosso. La stessa che rischia di inabissarmi proprio adesso.
Alzo la tavoletta e svuoto la vescica. Lavo le mani, il viso per darmi ulteriormente una svegliata e, ignorando la mia immagine riflessa allo specchio, mi avvio in cucina.
Ho bisogno di una buona dose di caffè per affrontare mio fratello quando è in modalità "padre apprensivo". Oggi non sarà costretto a cacciare nessuno dal mio letto perché, a quanto pare, ho persino preferito dormire da solo piuttosto che preoccuparmi di come doverle scaricare il giorno dopo. Dio solo sa quanti schiaffi e "Va' a farti fottere, pezzo di merda" io mi sia beccato negli ultimi mesi. Oltre a un considerevole uso di preservativi e visite costanti dal medico per non correre rischi.
Raggiungo la macchinetta e l'aziono. Per distrarmi dal rumore del liquido che scorre, il quale è sul punto di farmi venire un gran mal di testa, apro la dispensa riempiendo un piatto di waffle preconfezionati impilandolo nel microonde. Riempio infine due tazze e ne passo una a mio fratello.
Dante si siede sullo sgabello alto di fronte a me. Accetta anche i waffle quando li divido equamente in due piatti, passandogli frutta e salse dolci già disposte su un vassoio.
«Eden?»
Si acciglia e mi si contorce lo stomaco, a tal punto da allontanare il piatto e non essere in grado di deglutire.
Mi preparo a qualsiasi brutta notizia, sul punto di correggere il caffè con dell'alcol per stordirmi e non provare un cazzo di niente.
Eden è mia amica. L'unica che ha avuto le palle di avvicinarsi e aprirmi gli occhi quando il resto del mondo si teneva a debita distanza dai miei detriti affilati per non ferirsi. Soprattutto, è stata la prima a offrirmi una mano, senza pretese, dandomi del tempo per accettare i suoi gesti spontanei. Lei più di ogni altra persona capisce la parola tradimento. In ogni sua forma.
Mi è piaciuta sin dall'inizio, abbiamo legato, e mai avrei immaginato potesse succederle il peggio.
«Non se la passa bene», Dante gioca distratto con il dito sul bordo della tazza, riportandomi alla conversazione. «È successo di nuovo».
Il lungo sorso appena bevuto mi va di traverso e per poco non lo risputo mentre un sapore amaro avvolge la mia bocca, seccandomi la gola.
«Per quanto ancora continuerete a farvi male?», mi infervoro.
Solleva di scatto la testa, e percependo nel mio tono il rimprovero, ribatte prontamente: «È una questione seria e privata, Far. Non mi trovo qui per discutere di questo. E tu non puoi capire».
Picchio la tazza sul ripiano di granito beige dopo averla svuotata.
Dovrei sentirmi offeso e persino ferito dalle sue parole, ma lascerò correre perché è mio fratello e non ho alcuna voglia di un litigio. Non con lui. Non se si tratta di una persona a cui teniamo a vicenda e che fa parte di ciò che resta della nostra famiglia.
«Seria lo è dato che tua moglie si sente incapace quando puntualmente ogni mese scopre di non avere fatto progressi e di non tenere nessun bambino in grembo. Privata ho i miei cazzo di dubbi, Di», gratto il dorso del naso. «Cristo, lei ha solo bisogno di non avere pressioni da parte di nessuno, di non continuare a subire questa cazzo di umiliazione. Non è un fottuto contenitore. Trascinala fuori, allontanala da quei bastardi dei suoi fratelli protettivi e falla respirare. Accadrà naturalmente e succederà, vedrai».
Abbassa le spalle. Sembra un cucciolo bastonato in questo momento.
Lo invidio per aver trovato la sua ragione di vita e, al contempo, sono felice di non essere al suo posto. Ora come ora sarei messo peggio. Mi risulta quindi piuttosto facile dispensare consigli.
«Vedrai che prima o poi arriverà quel bambino, Di», ribadisco per rassicurarlo ulteriormente. In fondo ci credo. «I medici non si sono sbilanciati perché c'è sempre quella possibilità. Siamo Blackwell. Siamo una stirpe forte. E lei è una Rose cazzuta».
Scuote la testa. Le sue dita tremano prima che chiuda la mano in un pugno. «Sto già facendo il possibile per non metterle altra pressione addosso. Ma la conosci, è testarda».
Annuisco, evitando di mettermi a ridere per non risultare insensibile. «E tu lo sei più di lei».
«Adesso ha bisogno dei suoi amici».
«Le farò una chiamata».
Nega, inorridito. «Ha bisogno di vedere te e Terrence, non di una fottuta chiamata incalore. Mia sorella e mia madre al momento sono in viaggio e non possono venire a trovarla. Vanessa, la matrigna, si sta occupando degli affari di famiglia insieme ai suoi fratelli da quando suo padre è tenuto sotto stretta sorveglianza. È sola. Lei... è sola, porca puttana. Si è lanciata sul lavoro e non le fa bene».
«Sai...»
«Me lo devi, cazzo!», sbotta sollevandosi dallo sgabello dopo avere picchiato il pugno sulla superficie. Nei suoi occhi balena una scintilla primordiale, quella protettiva verso sua moglie.
«Più di me lo devi a lei. Quante volte ha ripulito i tuoi casini? Quante ha raccolto il tuo cazzo di vomito nel cuore della notte? Quante volte è rimasta al tuo fianco mentre tentavi di disintossicarti dall'alcol e ti ha rassicurato? Quante ha vegliato su di te?»
Il senso di colpa, di seguito all'elenco dettagliato, si fa strada come veleno nelle mie vene. Mi sento un amico orribile. Mi sono talmente concentrato su me stesso da dimenticarmi di tutto il resto. Metto da parte il senso di colpa. «Mi farò vivo», mugugno, lievemente in imbarazzo, tenendo lo sguardo basso sul pavimento.
Dante si avvia alla porta con aria torva. «Abbiamo del lavoro da fare. Datti una ripulita. I dettagli li avrai tra un paio di ore».
È ritornato lo stronzo di sempre. Autoritario, determinato.
In fondo lo capisco. Chiunque tentasse di ferire emotivamente o in qualsiasi altro modo mia moglie darei di matto.
Lo fermo. «Dille di non prendere impegni oggi. Verrò a cena e prima passerò da lei in galleria per stare un po' insieme».
Con occhi vitrei e stanchi, mi offre un sorriso mesto, per nascondere l'apprensione e la paura che lo sta divorando un pezzo alla volta fino a incidergli dentro quel dolore muto e insistente, come quello di chi sa che il tempo sta per cambiare attraverso le ossa che una volta si sono rotte.
Non posso fare a meno di ammirarlo per la sua straordinaria forza e sentirmi, come sempre, un fottuto rifiuto umano.
«Grazie», il sollievo è evidente sul suo viso adesso speranzoso.
Da quando c'è Eden nella sua vita, è attento, aperto ai sentimenti, spontaneo, premuroso, meno sul chi vive. Se c'è qualcuno che merita un po' di felicità, questo è lui.
In quanto a me... be', ho la mia cantina dei liquori e un paio di drama su Netflix da vedere.
Non appena Dante esce dal mio appartamento, mi affloscio come un cazzo di palloncino, e avvertendo il bisogno di un po' di coraggio liquido, avvicinandomi alla zona bar di fianco al caminetto, mi riempio il primo di una serie di bicchieri che mi aiuteranno a superare questa giornata.
STAI LEGGENDO
Brutal - Come graffio sull'anima
AcciónPaura. Incubi. Dolore. Questo è il mio nuovo mondo. Questo è quello che ho da offrire a chi mi sta intorno, insieme a macerie e distruzione. Nessuno troverebbe un'anima più nera e corrotta della mia. Macchiata e marchiata a fuoco dal destino. All'...