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|𝘈𝘮𝘢𝘵𝘪 𝘢𝘣𝘣𝘢𝘴𝘵𝘢𝘯𝘻𝘢 𝘥𝘢 𝘱𝘳𝘦𝘯𝘥𝘦𝘳𝘦 𝘭𝘢 𝘥𝘦𝘤𝘪𝘴𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥𝘪 𝘢𝘯𝘥𝘢𝘳𝘵𝘦𝘯𝘦 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘯𝘰𝘯 𝘳𝘪𝘤𝘦𝘷𝘦𝘳𝘢𝘪 𝘪𝘭 𝘳𝘪𝘴𝘱𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘮𝘦𝘳𝘪𝘵𝘪


POV: HARPER

Il mio passatempo era stare nei miei pensieri, e così facevo a scuola.

Passai il mio primo giorno tra libri e appunti,
non pensavo che l'avrei passato così.

Anzi, non pensavo che i miei amici fossero così bastardi da non salutare neanche.

Però erano lì, mi avevano vista.

Non riuscivo a capire cosa avessero nell'ultimo periodo, era come se fossi diventata "la sfigata".

Tra loro c'era anche Henry Grey, lui non mi aveva vista.

Durante la mia assenza mi aveva scritto qualche messaggio ma io non risposi.

Io e lui avevamo un rapporto particolare, strano. Proprio perché lui era stata la mia cotta fino a prima che io me ne andassi in ospedale.

Tre mesi fa.

Adesso, invece, non riuscivo a provare niente.

Non sapevo cosa mi fosse successo, sapevo soltanto che avevo paura.

Lo guardai per un'ultima volta e poi andai in classe.

Una volta suonata l'ultima campana tornai a casa e stetti tutto il giorno in camera mia.

Passai l'intero pomeriggio tra compiti, playlist di Lana del Rey e libri.

Amavo stare da sola, la solitudine non era una cosa che mi spaventa.

«Effy, è pronta la cena?!» Chiesi urlando dalle scale, lei rise.

«Puoi già scendere, Harp» Mi rispose.

Durante la cena sembrava tutto tranquillo, ma Effy era strana.

Non mi riuscii a trattenere dal chiederle cosa le prendesse.

Quando i nostri genitori morirono decidemmo che tra di noi non dovevano esserci segreti, mai.

Dovevamo essere più unite di prima e sostenerci a vicenda, però questo non accadde subito.

Eravamo così tanto unite dal momento che mi comunicarono che avevo un tumore, per lei era stato un brutto colpo.

Sto combattendo non solo per me stessa, ma anche per non lasciare mia sorella sola.

Sono la sua unica famiglia, e lei era la mia.

«Che succede, Effy? Sembri strana».

Lei spostò lo sguardo dal suo piatto al mio viso in automatico e, come al solito, sorrise.

Era questo che mi piaceva di lei: anche nei momenti peggiori, nei momenti in cui si sentiva persa, quando talvolta non sapevo neanche io il motivo, lei sorrideva.

Sorrideva perché voleva vedere felice me.

«È tutto okay».

«Dai, so quando mi menti» risposi con un minimo di sarcasmo.

Lei fece un sospiro e solo in quel momento capii che si trattava di me, per il modo il cui mi guardò: i suoi occhi già parlavano.

«Sei stata tutto il giorno nella tua stanza oggi, per lo più ascoltando canzoni di Lana del Rey.
Sappiamo tutti che sono terapeutiche, quindi non mentire».

La sua ironia mi faceva sempre tornare a quando ero bambina, quando esisteva la spensieratezza.

«Giá». Dissi rispondendo al commento sulle canzoni di Lana, poi continuai: «Avevo bisogno di stare da sola», la sentii bisbigliare un certo "come se non ci stessi già abbastanza".

Ma ripresi il discorso, perché sapevo che voleva sapere di più.

«A quanto pare i miei amici si sono dimenticati di me, non mi hanno nemmeno salutata».

Lei mi guardò con uno sguardo comprensibile e venne ad abbracciarmi forte. «Harper, non pensare più a loro. Sono sicura che troverai nuove persone con cui fare amicizia, quest'anno frequenterai anche il nuovo corso di Letteratura Italiana quindi farai sicuramente nuove amicizie».

«Quel corso lo inizio domani, ho davvero paura».

«Tu non hai bisogno di avere paura, guardati, sei bellissima! Conquisterai tutti con i tuoi capelli rossi e i tuoi bellissimi occhi non appena entrata in aula».

«Chissá chi conquisterò quando i capelli cominceranno a cadere» Dissi, seria.

Lei mi fissò per un attimo, come se dovesse capire ciò che avevo appena detto e poi scoppiò a ridere: «Sarai comunque bellissima»

La aiutai a lavare i piatti e sparecchiare la tavola e poi uscii un po' nell'atrio di casa.
Mi sedetti sul prato, sempre con i miei soliti auricolari e misi play:

"Now my life is sweet like cinnamon
Like a fucking dream I'm living in
Baby, love me 'cause I'm playing on the radio
(How do you like me now?)
Pick me up and take me like a vitamin
'Cause my body's sweet like sugar venom, oh yeah
Baby, love me 'cause I'm playing on the radio
(How do you like me now?)"

Nel mentre passava più volte un ragazzo in bici, non riuscii a capire chi fosse o se lo conoscessi, ma sembrava strano.

Ogni volta che passava girava il capo verso la mia casa, verso di me.

Doveva per forza essere un nuovo arrivato del quartiere, be', il tempo che passai in ospedale mi fece rimanere un po' indietro con quella che era la mia attuale vita.

Nonostante tutto feci finta di nulla e mi sdraiai per guardare le stelle, le amavo.

Come disse Van Gogh: Non so nulla con certezza, ma la vista delle stelle mi fa sognare.

Purtroppo fui di nuovo distratta da quel misterioso ragazzo.

Questa volta però non lo vidi pedalare, ma era fermo.

Supponevo che avesse detto qualcosa al di là della strada, ma non lo sentii e quindi infastidita tolsi le cuffiette.

«Scusa, parli con me?» domandai, un po' nervosa.

«Sì!» rispose a tono alto, dato che si trovava dall'altro lato della strada.

«Sai... avevo le cuffiette e non ho sentito».
Lui rise e si avvicinò, appoggiando la bici per terra davanti il prato di casa mia.

Non trattenni l'istinto e lo guardai male.

«Sei nuova qui?»

Scossi il capo, si vedeva che la mia assenza era stata lunga.

«Sono Jack, comunque» si avvicinò ancora di più allungando la mano, ma la rifiutai.

«Ciao Jack, ora scusami ma devo proprio andare».

Lui rimase lì a guardarmi, forse inizialmente non aveva capito ma poi recuperò la sua bici e andò via senza dire una parola.

Non sapevo per quale motivo agii in quel modo, o forse sì.

Una volta chiusa la porta alle spalle feci un sospiro e misi di nuovo le cuffiette andando dritta in camera mia.

Messo il pigiama non riuscii ad addormentarmi subito.

Andai a controllare cosa stesse facendo mia sorella, ma stava già dormendo.

Ed eccomi lì, mi ritrovai di nuovo sola tra i miei pensieri.



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𝒐𝒍𝒕𝒓𝒆 𝒐𝒈𝒏𝒊 𝒍𝒊𝒎𝒊𝒕𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora