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LIVIYA.

Ricordavo ancora quando mi ero detta, alla festa, che non avrei usato il bigliettino con scritto il numero di Jordan.

Infatti lo avevo buttato in uno dei miei astucci che mi portavo all'accademia e che lasciavo sempre nello zaino, così nessuno lo avrebbe mai trovato.

Ma dopo la scena che avevo visto oggi, ovvero il litigio tra Jordan e suo padre, sentivo la necessità di chiedergli se stava bene. Non sapevo neanche il perché, ci conoscevamo a malapena e raramente prendevo iniziative di socializzazione. Ma infondo era un messaggio e non avrei dovuto guardarlo dritto negli occhi, sarebbe stato più facile.

E poi, non era detto che mi avrebbe risposto.

Aveva tanti amici su cui fare affidamento e con cui poter parlare, perché sarebbe dovuto venire da me?

Sospirai. Doveva essere bello avere così tante persone su cui poter contare. Io non ero rimasta in contatto con nessuno dei miei compagni del liceo. La maggior parte era rimasta in Russia, perché il mio paese offriva diverse possibilità, mentre io non avevo in programma di tornarci molto spesso. Stavo pensando di rimanere qui per lavorare, magari non a Richmond, ma comunque negli Stati Uniti.

Okay, okay, stavo prendendo tempo perché stavo rimuginando. Mi ero segnata il numero di Jordan sul cellulare e avevo la sua chat aperta davanti a me, ma ancora non avevo scritto nulla.

E se fosse sembrato strano? E se mi avesse risposto con un "fatti i cazzi tuoi"?

Le mie dita iniziarono un po' a tremare, mentre reggevo il telefono. Pensai e ripensai a cosa potevo scrivergli, in modo da non sembrare una svitata.

Alla fine arrivai a questa conclusione:

--Ehi, sono Liviya. Tutto okay con tuo padre?--

Solo dopo pensai che poteva sembrare come se volessi farmi gli affari suoi. Quando iniziai a pensare che fosse il caso di cancellare il messaggio, lo vidi online e visualizzarlo.

Apparsero i puntini di risposta ed odiai il modo in cui aspettai con impazienza la sua risposta.

--Ehi, 'mystisk jente'. Mi sorprende ricevere un tuo messaggio. Credevo che non lo avresti mai usato il mio numero.--

Mi rispose. Mi accigliai davanti a quel messaggio.

--myst... Cosa? Non ho capito che hai detto.--

Risposi subito io. Lui visualizzò ma invece di scrivere, mi chiamò.

Mi irrigidì e iniziai ad andare nel panico. Perché diamine mi stava chiamando?

Rimasi a fissare lo schermo non sapendo che fare. Dovevo rispondergli o no? Almeno non avevo problemi sul farmi scoprire, perché stasera Lev era da Ivy.

Sospirai. Sarebbe stato da maleducata non rispondere, però.

Quindi lo feci prima che lui potesse chiudere la chiamata. Nonostante le mani mi tremassero ancora e avevo il cuore in gola.

Fin dal primo giorno qui, ero stata forzata ad uscire dalla mia comfort zone e parlavo solamente con persone nuove, quasi ogni giorno.

Mi portai il telefono all'orecchio —cavolo, credevo che non mi avresti risposta più— mi disse con la sua voce maliziosa.

—Come mai mi hai chiamata?— gli chiesi, mordicchiandomi le unghie della mano libera.

—Mi andava, non potevo?

—Mi conosci appena e ti prendi tutta questa confidenza... — mi interruppe.

—Ecco perché lo faccio. Così ci conosciamo meglio, no? Altrimenti uno come dovrebbe fare?

Lo sentì quasi ridere da qui, nonostante non potessi vedere il suo viso.

—Allora, volevi sapere cosa significa quello che ti ho scritto, no? Bè, vuol dire 'ragazza del mistero' in norvegese— mi disse subito dopo.

—Parli il norvegese?— gli chiesi, non nascondendo lo stupore. Evitai di pensare al perché mi definiva "ragazza del mistero", anche se forse non era così difficile arrivarci.

Lui rise —sì, mio padre è della Norvegia ed io sono nato lì. Ci siamo trasferiti subito dopo la nascita di mia sorella— mi spiegò.

Ci fu un momento di pausa. Chissà se si stava domandando se fossi strana...

—E tu invece? Non c'erano delle accademie di fotografia in Russia?— mi chiese subito dopo.

Mi si mozzò il fiato. Non volevo parlare della mia vita privata con lui. Anche se sarebbe stato giusto, visto che lui mi aveva parlato della sua e mi ero anche ritrovata ad assistere ad un litigio col padre. Ma non ce la facevo.

—È un sogno che avevo sempre avuto. E volevo stare più vicina ai miei fratelli— decisi di rispondere, evitando tutto il dramma che coinvolgeva i miei genitori.

—Ne hai un altro?

—Sì, vive in California con nostra nonna.

Ci fu un altro momento di silenzio. Forse era il caso di chiudere la chiamata...

—Grazie per il messaggio che mi hai mandato, Liviya. Non me lo aspettavo, ma mi ha fatto piacere— ammise secondi dopo.

Rimasi senza parole.

Sentì le guance avvampare e fui grata di non avere Jordan di fronte a me in quel momento. Si sarebbe sicuramente preso gioco di me, mettendomi ancora di più in imbarazzo.

—Bè, dopo aver ascoltato qualcosa che non mi riguardava, il minimo era chiederti come stavi— ribattei io.

—Non è stata colpa tua se ti ci sei ritrovata. A me dispiace che tu abbia dovuto assistere a tutta quella merda— rispose lui.

Davvero si preoccupava per me che avevo semplicemente assistito? E lui che doveva affrontarle quelle discussioni?

Io ero abituata a vedere i miei genitori litigare tra loro, ma erano rare le volte in cui loro avevano litigato con noi.

—Succede spesso?— gli chiesi, quasi timorosa di sapere la risposta. Mi ero mangiata le unghie tutto il tempo e probabilmente mi sarei pentita di metà delle cose che avevo detto in questa telefonata.

Ormai ero qui, però. Cercavo almeno di portarla a termine in maniera decente.

—Diciamo di sì— si limitò a dire. Se iniziavo a conoscerlo un pochino, potevo dire che Jordan Solberg amava parlare e farsi conoscere. Quindi, se mi aveva detto tre semplici parole, voleva dire che non voleva aggiungere altro. Il che era più che comprensibile, non gli avrei chiesto dettagli.

Calò un silenzio che durò più degli altri. Non sapevo che cosa gli stesse passando per la testa e neanche se fosse il caso di chiudere la telefonata.

—A volte penso ancora al nostro bacio, sai?— disse poi, di punto in bianco.

Aveva cambiato argomento... Allora era davvero grave.

—A-ahh, davvero? Non capisco perché dovresti...— iniziai a balbettare.

—Tu non ci pensi?

Silenzio tombale.

Lo sentì ridere di nuovo.

Le mie mani iniziarono a tremare ancora di più quando sentì il rumore della porta di casa aprirsi. Lev era tornato.

—D-devo andare, ci vediamo— riattaccai velocemente il telefono, senza rispondere a Jordan, anche perché non avrei saputo dirgli nulla. Non avevo il coraggio per affrontare quel discorso.

Sentì i passi di mio fratello in corridoio ed io accesi il computer, per farmi trovare in preda ad un'attività. Qualsiasi cosa pur di non farmi sgamare.

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Sono scomparsa, lo so, ma sono state settimane piene e con zero aspirazione, ma cercherò di portare a termine questa storia. Grazie per il supporto. 💕

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