JORDAN.
Quando finì gli allenamenti, mio padre era ancora lì. Aveva osservato attentamente tutto, come se fosse uni'ispettore. Era facile per lui incutere timore, con quella sua postura ferma e composta, lo sguardo serio e giudicante. Alcuni dei miei compagni di squadra speravano davvero di aver passato la sua ispezione, nonostante la paura.
L'avevo provata anche io, sapevo perfettamente di che cosa si trattasse e come ci si sentiva. Avevo cercato di essere alla sua altezza per quasi tutta la mia infanzia, ma quando mi ero reso conto che i miei sforzi erano sempre stati vani, avevo deciso di attirare la sua attenzione in altro modo, la peggiore.
Se solo il me quattordicenne avesse pensato di più alle conseguenze...
Contrassi la mascella fino a farmi male. Non volevo comportarmi in questo modo. Quando si trattava di lui, diventavo sempre di cattivo umore.
Cercai i miei amici nello spogliatoio e vidi solo la testa di Cameron e Aaron sbucare dalle docce. Ero stato così assorto fra i miei pensieri che non mi ero neanche reso conto che gli altri miei amici erano già usciti.
Fui l'ultimo a lavarmi. Chiusi gli occhi sotto il getto d'acqua e ripensai alle ultime ore.
Non mi ero tanto focalizzato su papà, ma, invece, avevo notato una certa ragazza dagli occhi blu ghiaccio enormi con un paio di occhiali, guardarmi qualche volta. La cosa mi fece sorridere, perché anche se non aveva accettato il mio invito di una botta e via, sembrava che le piacesse il mio aspetto.
Sorrisi e non seppi neanche perché. Il solo pensiero di Liviya guardarmi aveva scacciato il malumore.
Finì la doccia in fretta e scrissi un messaggio ad Em per dirgli di aspettarmi, così da tornare a casa insieme.
Una volta fuori dalla palestra, però, vidi mio padre fermo come una statua, ad aspettarmi. Poco distante da lui c'erano i ragazzi, Lev e Liviya. In lontananza scorsi anche Lenora, Wyn e Evelyn che camminavano per il campus. Ma la mia attenzione finì di nuovo sull'uomo che aveva contribuito a mettermi al mondo.
Cosa diamine stava facendo ancora qui?
Lui mi sorrise ed io mi avvicinai sospettoso.
I miei amici subito mi guardarono, così come anche Lev e sua sorella, che fu l'unica persona che guardai a mia volta. Nonostante la situazione, le feci comunque l'occhiolino e lei distolse lo sguardo imbarazzata, arrossendo.
Riportai l'attenzione su mio padre.
—Papà— lo salutai, lui mi fece un cenno —ottimo allenamento. Sei migliorato parecchio— commentò.
Sul serio? Ora gli piaceva ciò che facevo?
Sorrisi —immagino che i miei compagni siano molto scarsi, secondo i tuoi standard, se fai i complimenti a me, giusto?— commentai con sarcasmo. Oramai mi era difficile credere a qualche sua bella parola.
Non aveva mai voluto che facessi basket, anche se lui aveva giocato alla mia età. Non aveva mai voluto che mi avvicinassi alla lettura o che mi iscrivessi a letteratura inglese. Lui odiava il fatto che volessi fare lo scrittore e odiava ancora di più il fatto che io ne fossi stato convinto da quando avevo quindici anni. Avrebbe voluto che diventassi qualcuno di diverso, qualcuno che secondo lui avrebbe portato più onore alla sua famiglia: come un medico, ingegnere, avvocato...
Poi, invece, al liceo avevo perso completamente la strada, finendo in riformatorio e facendomi odiare ancora di più. Mia madre aveva sempre cercato di calmare le cose, con pochi risultati. Ma lei non sapeva che io mi ero sempre trattenuto, solo per Meredith. Mia sorella di dodici anni non aveva bisogno di vedere quella merda in casa.
Per questo non sapeva la verità su dove ero stato per tre anni.
—Vedo che il tuo senso dell'umorismo è sempre quello— commentò papà. Non dissi nulla, rimasi solo a fissarlo aspettando che dicesse quello che aveva da dire.
Papà sospirò, passandosi una mano tra i capelli castano chiaro. Si guardò intorno con i suoi occhi blu intimidatori, per poi accarezzarsi la leggera barba.
—Senti, Jordan, io e tua madre siamo solo preoccupati per te...
—Prima che tu finisca di dire questa cazzata, ti ricordo che mamma è più che contenta che io studi ciò che amo.
Papà mi guardò e scosse la testa —Sei ancora al primo anno, sei perfettamente in tempo per cambiare facoltà e iscriverti a qualcosa di più serio, Jordan— ripeté lui.
Gli avevo sentito dire questa frase un sacco di volte. E tutte le volte mi ero sentito allo stesso modo: non capito.
—Solo perché sono sempre stato un bambino vivace e ho fatto degli errori in passato, pensi che io non sappia fare le giuste scelte per il mio futuro?— mi fermai, poi indicai i miei amici che avevano iniziato ad avvicinarsi a me. Scorsi Lev e Liviya ancora lì impalati.
—Guarda, papà, tutti noi abbiamo commesso lo stesso sbaglio, eppure siamo tutti e sei qui, all'università e sta andando tutto alla grande. Abbiamo tutti messo la testa a posto e siamo rivolti al futuro. Perché non puoi essere felice per me?— sbottai.
L'unica persona con cui non riuscivo ad essere 'il Jordan di sempre' era mio padre.
—Perché stai studiando per una carriera con poche probabilità di successo. Ci vuole fortuna per questo, Jordan e affidarsi ad essa è una stupidaggine. Credevo di averti cresciuto meglio di così— ribatté mio padre.
—Non credi in me, ovviamente. Pensi che sarò per sempre un idiota, il cagnolino di qualcuno. Sei venuto qui per dirmi le cose di sempre, papà? È stato un viaggio inutile— gli dissi e me ne andai, sorpassando i miei amici.
Io mettevo di buon umore la gente, Einar Solberg le metteva di cattivo umore.
Accelerai il passo incurante delle persone che potevo incontrare per strada, infatti, urtai per sbaglio contro qualcuno. Quando mi voltai per chiedere scusa, vidi che si trattava di Liviya. Sentì il mio viso addolcirsi leggermente.
Lei mi guardava con uno sguardo impaurito. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiuse subito dopo. Io aspettai, perché forse volevo sapere se avesse qualcosa da dirmi, il che era assurdo visto che la conoscevo a malapena.
Ci guardammo negli occhi e basta ed io per un momento mi dimenticai persino il motivo per cui ero così nervoso. Riuscivo solamente a pensare che avevo fatto bene a baciare Liviya, perché era una ragazza bellissima.
—Jordan— quando Emerson mi si avvicinò, però, qualsiasi cosa stesse succedendo tra me e quella ragazza, si interruppe bruscamente, riportandomi alla realtà.
Guardai il mio migliore amico e lui mi chiese con lo sguardo se fosse tutto okay. Io scossi un po' la testa e lui si avvicinò a me, avvolgendomi le spalle con un braccio.
—Ragazzi, io e Jordan andiamo a fare un giro— avvisò gli altri e ci dirigemmo ai parcheggi. Lanciai un'ultima occhiata alle mie spalle e vidi Liviya allontanarsi col fratello.
—Non credi che ci sia qualcosa sulla questione 'Liviya Smirnov' di cui tu mi debba parlare?— mi chiese, curioso.
Lo guardai e sorrisi, alzai le spalle —lo sai che è davvero bella?— e con questo mi liberai dalla sua stretta e iniziai a correre verso la sua auto. Mentre lui scuoteva la testa divertito.
Cosa si aspettava che gli dicessi?

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My Greatest Desire
Romansa"Era stata la prima ragazza per la quale avevo provato di più del desiderio fisico. Ero così legato a lei, come se stare in sua compagnia fosse il mio più grande desiderio" (When The Night Comes Down series. Libro 6) Lasciare la Russia per iniziare...