LIVIYA.
Appena arrivai a casa, mi chiusi in camera mia, anche se Lev non era ancora tornato. Mi buttai sul letto e mi chiusi a riccio su me stessa, come se volessi difendermi dal resto del mondo. Ero tornata a casa a piedi, di fretta e furia, con lacrime di rabbia e tristezza a bagnarmi il viso. Ivy aveva cercato di chiamarmi più volte ma avevo declinato tutte le chiamate, persino Wyn c'aveva provato.
Piccoli singhiozzi riempirono il silenzio della mia stanza. Mi sentivo esattamente come quando, alle elementari, nessuno aveva voluto fare il lavoretto di Natale di gruppo insieme a me, perché avevo i genitori che non si volevano bene.
Ero stata di nuovo rifiutata, ma stavolta faceva ancora più male.
Jordan Solberg mi aveva ferita ancor prima che potessimo avere qualcosa di concreto. Non sapevo se fosse meglio così o no.
Nonna Eva stava male e ciò significava che da un momento all'altro avrei potuto perdere l'unica adulta della mia vita che mi aveva regalato solo bei ricordi. Non riuscivo ad accettarlo.
Sentivo un dolore al petto lancinante e le lenti mi si erano appannate per colpa delle lacrime. In quel momento avrei voluto chiamare mia madre e chiederle conforto. Avrei voluto che mi dicesse che sarebbe andato tutto bene, che tutto questo non era la fine del mondo o avrei voluto stringermi nel petto di mio padre e sentirmi al sicuro. Ma oramai erano anni che i miei genitori non rivestivano questi ruoli. Erano sempre stati Lev e Leonid ad occuparsi di me. Mamma e papà avevano delegato tranquillamente a loro il compito di sorvegliarmi, tenermi compagnia e proteggermi.
Loro erano troppo presi dai loro mondi e i loro problemi per rendersi conto che anche noi tre ne facevamo parte.
Avevano smesso di venire alle recite scolastiche, mandavano una nostra zia a prenderci a scuola, perché loro erano troppo presi dai loro lavori e le loro litigate. Sembrava che fossero sempre troppo sopraffatti per fare i genitori e quando finalmente avevano un momento di tregua, decidevano di riposarsi o fare chissà che altro.
Mio padre aveva passato molte notti fuori casa nel corso degli anni. Ricordavo di aver chiesto a mamma, impaurita, perché papà non venisse a rimboccarmi le coperte come facevano i papà di alcune mie compagne di classe. Mi aveva dileguato con un sorriso, dicendo che ogni papà era speciale e diverso e che non tutti facevano le stesse cose per le proprie figlie.
Ma lui a me non aveva fatto chissà che cosa. Quasi nulla.
Leonid aveva sentito quella conversazione e da allora, ogni sera, era venuto a rimboccarmi le coperte.
Mi asciugai un po' gli occhi e mi alzai per cercare il mio cellulare. Quando lo trovai mi stesi di nuovo sul letto e cercai il nome di Leonid per far partire una videochiamata.
Avevo bisogno di parlare con qualcuno. E se non potevo raccontare a Lev di Jordan, lo avrei detto a Leo.
Mio fratello mi rispose poco dopo e la sua faccia perennemente accigliata apparì sul mio schermo. Era in camera sua.
—Liv, che succede?— domandò. Il suo viso si accigliò ancora di più, cosa che non ritenevo possibile, ma mio fratello era iper protettivo e mi conosceva come le sue tasche. E poi gli occhi rossi e gonfi e il viso ancora rigato di lacrime lasciavano poco all'immaginazione.
—Ciao... — dissi, in un sussurro. Avrei dovuto cercare di darmi un contegno, altrimenti Leonid avrebbe preso il primo aereo per il Virginia e si sarebbe presentato qui.
—Liviya, parlami. Dov'è Lev?— chiese mio fratello, ora più preoccupato.
—Lui non è ancora tornato. Ti ho chiamato apposta adesso perché non voglio che sappia nulla di tutto questo— dissi, tirando su col naso. Speravo solamente di non scoppiare a piangere davanti a mio fratello.

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My Greatest Desire
Romansa"Era stata la prima ragazza per la quale avevo provato di più del desiderio fisico. Ero così legato a lei, come se stare in sua compagnia fosse il mio più grande desiderio" (When The Night Comes Down series. Libro 6) Lasciare la Russia per iniziare...