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JORDAN.

"Grazie per la premura, Jordan. Ci vediamo quando torno 💖"

Questa era stata la risposta di Liviya al mio messaggio. Avevo sbirciato le chat del gruppo delle ragazze dal cellulare di Evelyn e mi ero fiondato con, forse, troppa foga sui messaggi.

Sentivo questo bisogno di rimediare al mio comportamento. Per la prima volta, mi importava cosa pensasse una ragazza di me.

Speravo che stesse andando tutto bene con la nonna in California e che qualsiasi fosse il problema, lo avrebbe risolto presto. Avrei cercato di ricevere più informazioni dalle ragazze, più tardi.

Decisi di concentrarmi sulla strada e non pensare più a Liviya, almeno mentre ero alla guida.

Avevo deciso su due piedi di andare a Roanoke, dalla mia famiglia, per il weekend. Liviya non c'era e i miei amici avevano sicuramente qualcosa da fare con le loro partner, quindi non mi andava di rimanere a casa da solo. E poi, mi mancavano mia madre e mia sorella.

Accesi la radio, così da spegnere i pensieri. Ero quasi arrivato a destinazione e nonostante fossi contento di rivedere mamma e Meredith, ero comunque agitato all'idea di dover condividere gli spazi con mio padre per il weekend. Ma mi ripetevo che potevo sopportarlo. Non mi avrebbe tenuto lontano dalle persone a cui volevo bene.

Infondo, mi ero rassegnato con lui. Ero stanco di provare di tutto per farmi accettare dal mio stesso padre. Non avrebbe mai sostenuto il mio sogno di diventare scrittore ed io non avrei mai cambiato i miei piani e i miei sogni per farlo stare meglio. Avrei semplicemente mantenuto le distanze e ignorato qualsiasi suo commento o provocazione che avrebbero potuto portare ad una discussione.

Arrivai in città, con sottofondo la canzone "My Prerogative" di Bobby Brown. Parcheggiai l'auto nel viale di casa, una bella villetta che non rendeva giustizia alla casa che avevamo in Norvegia. Non rendeva giustizia neanche alla casa che avevamo in California, insieme al padre di Emerson, in cui ero stato con gli altri questa estate.

Spero di poterci portare anche Liv.

Neanche il tempo di scendere dalla macchina che un piccolo corpicino mi si butta addosso, abbracciandomi la vita e poggiando la testa sulla mia pancia.

Sorrisi, stringendo mia sorella, per poi prenderla in braccio e farla roteare. Lei scoppiò a ridere e il suono della sua risata mi scaldò il cuore —mi sei mancato, Jo—, mi disse. Le diedi un bacio fra i capelli —anche tu mi sei mancata, piccola peste—.

In quel momento, mamma uscì fuori sulla soglia e sorrise appena mi vide. Io, intanto, presi la valigia dal retro della macchina, continuando a tenere mia sorella in braccio, e poi mi avvicinai alla porta.

—Bentornato, tesoro— disse mia madre, dandomi un bacio sulla guancia. Posai la borsa per terra e poi feci con lo stesso con Meredith.

Mamma mi fece accomodare sul divano in salotto, che aveva delle bellissime vetrate che davano sulla strada e sul vialetto.

—Vuoi una tazza di tè? O preferisci andare a farti una doccia? Sarai stanco dal viaggio— mi disse, mentre Meredith venne a sedersi di fianco a me.

—Mi fermo un momento qui, grazie— le dissi.

Mentre mamma si muoveva in cucina, mia sorella iniziò a parlarmi delle ultime novità a scuola. In più, mi chiese aiuto con dei compiti di matematica. Sembrava che fossi la sua unica speranza di capirci qualcosa, perciò non me la sentì di dirle che in matematica ero una schiappa tanto quanto lei.

Decisi di impegnarmi, per tenere la mente occupata in qualche modo ed evitare di pensare al momento in cui papà sarebbe tornato da lavoro e la tensione sarebbe salita. Mamma mi portò il tè e sembrò guardarmi con pietà per tutto il tempo in cui cercavo di far capire qualcosa a Meredith.

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