Il soffio del vento

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Spingo l'occhio oltre le foglie, che si muovono sbriciolando al sussurro del vento.

Il mio iride agita le mie amarezze ritmate dal canto delle cicale sotto un raggio insistente che brucia sulla mia pelle.

E penso,
imponendo la mente su quei contenuti illusori che riflettono sulle mie ispirazioni. Affetti concreti divoratori di supposizioni.
Semplicità di osservazioni, che spesso ammorbano gesti di carezze sfiorate su certezze animate e poi sotterrate.

E penso,
al tempo e al suo inganno, evolutivo nella sua successione. Non riesco a fermarlo. Lo sfioro e lo perdo progredendo nei suoi inganni; ampliandosi nei miei affanni. Sempre lo stesso. Stesso il periodo. Uguale intervallo. Simile momento. E poi ...

Corre e scorre, senza mai fermarsi; diminuire, scandendo sempre sugli stessi istanti. Oggi uguale a ieri e così via.
Allora ripartisco le mie capacità e i pensieri si confrontano con i cicli lunari e le occasioni mentali. Lì non c'è tempo, perché scandito dalle mie sequenze, dominandolo. È così che subentra il complesso sulle aspettative.

Viviamo sospesi da brillante agiatezza, seppur non compresi in quella dimensione empatica che compone la nostra esistenza.

E non mi dirai mai su quale tempo tu ti sia fermato. Difficile scorgerlo quando corre impazzito.
Alba. Sole. Nuvole. Pioggia. Cielo. Tramonto. Luna. Buio.
E ci addormentiamo.
Chiudiamo gli occhi nel sonno della stanchezza e ci svegliamo col vuoto dell'amarezza, mentre i minuti avanzano e i secondi scorrono.

È una catena ciò che ci stringe, affamandoci di conoscenza e subissandoci nell'inesistenza.
Assetati di follia per un battito che crea complicità in un attimo di sfuggevole asincronia.

Avvinciamo il desiderio che non è banale di rincorrere ciò che reclamiamo e mi incanto nel sbirciare la tua serenità.
Interessamento suscitato da naturale sentimento.

Sarebbe bello se
ti affacciassi a sbirciare dentro la mia finestra temporale.
Lo hai fatto e ne hai contemplato il paesaggio. E ho riso.
Con un soffio facesti girare la girandola delle mie proibizioni.
Configurazione di un atteggiamento gradevole che pennella la spontaneità di un episodio narrato con naturalezza.

E motiviamo le nostre reazioni contrapposte a convivenze, che frenano le emozioni con immediate ansie su calunnie inflitte e mai accertate.

Se dovessi scegliere il recipiente dove contenere le inclinazioni naturali della mia individualità, allora vorrei che fosse un vaso, riempito di fiori profumati e variopinti, sconvolgendo il processo emozionale di chi li osserva per ricavarne allegria.
Se i fiori appassiscono e nessuno li sostituisce il vaso rimane vuoto, appassendo anch'esso nel fascino dell'insistenza di uno sguardo.
Allora, a cosa serve quel vaso se non è riempito di colori e allegria?
Ogni petalo ha una varietà di colore; ogni fiore ha un suo odore, la cui fragranza si diffonde, componendo le sensazioni di chi annusa, percependone il sorriso proiettato in un pensiero; una memoria dove il tempo ritorna scontrandosi sull'aroma di quei petali essenziali, sbirciando allegramente la girandola di colori mossa dal soffio delle emozioni.
Per questo è importante che il vaso ne sia sempre ricolmo.

Non è opulenza ma nostalgia su una commovente ricordanza.

Scrivo un pensiero, benché esso non sfonda la barriera dell'astrattezza: ne segue i contorni; si sbilancia sui tratti; ne dileggia le linee

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Scrivo un pensiero, benché esso non sfonda la barriera dell'astrattezza: ne segue i contorni; si sbilancia sui tratti; ne dileggia le linee. Il disegno è perfetto. Controprova dell'inconsistenza.

Pensa se
chiudendo gli occhi mi vedessi sui tratti pitturali di quel disegno scomposto.
Mi riconosceresti?
Che cosa troveresti?
Sentimento mai immaginato, velato da un tagliente sussurro su una carezza infinita.

Pensa se
separati dal destino credessimo in eventi mai sostenuti.
Scherzo del fato, seppur adesso crediamo in ciò che non avremmo mai creduto.

Pensa se
fermandoti mi sentissi.
Che cosa abbracceresti?
Un sogno? Desiderio logorante.
Una speranza? Miraggio persistente.
Silenzio? Quello lo sentiamo entrambi su una parola sospesa di cui ne sentiamo l'eco.
Assioma evidente sondato da uno sguardo diffidente.
Non è matematica ma filosofia di una verità consistente.

E ti capisco,
quando il perdono si comprende come un abbandono.

E ti osservo,
quando tenti di illuminare le vene degli abissi come un faro che accoglie le tue emozioni naufragate.

E ti ascolto,
mentre metti insieme le parole creando quadrifogli incompleti celando il mistero sull'assioma. Parola.

Le tue vene si nutrono di spazi sconfinati sostenendo l'infinità di un sorriso. E ti delude.

Dimmi il tuo tormento.
No!
Vuoi parlare? Vuoi ascoltare.

Odi,
crescendo su una strada che percorri senza equilibrarti nelle intenzioni.
Ed è così che avviene.
Le vene pulsano; il sangue scorre, il fuoco si accende; l'acqua lo spegne.

E mi volto,
catturando quell'immagine proiettata nel conflitto di anticipare i passi, sebbene ritardasse a traslare le distanze.

La parola non ci sostiene, saltellando con le maschere che teniamo premute sui nostri volti invisibili.

Mi riconosci adesso?
Non ci sono. Non esisto.
La fiamma oscilla e io sparisco.

Annotiamo le parole e le lasciamo sbiadire al sole, aspettando che il tempo ci offra una visione concreta su una monotonia fallita.
Il topo corre; il gatto lo rincorre; il cane addenta il gatto; il topo se la squaglia.
Ridacchiamo su ciò che il tempo ci offre in quell'attimo di sgradevole insistenza.
Uniformità non precaria di una ripetizione invariata.

Quella parola è sempre sospesa. Impressa tra le spire del vento che soffia percorrendo i colori di quella girandola sbiadita da rallegrate euforie.
Pronunciarla è come bere un caffè. Dolce o amaro?
Eppure, A me non è mai piaciuto il caffè. E i buoni intenditori mi prenderanno per pazza. Io però preferisco la cioccolata, densa e fondente ma dolce, seppur sarà Amara che la berrò.

Un filosofo rincorre da sempre la comprensione della parola Amore.

Un poeta, invece, ne cita il significato, come io feci urlare a un personaggio in un mio romanzo: l'immortale poesia dei sensi.

È ciò che leggendo si intuisce di quell'iniziale. Ma così è come bere un caffè dolce.

Le nostre parole hanno composto l'anfratto delle nostre meditazioni.
Se adesso tu scrivessi non saprei che cosa rispondere.
Ho esaurito le righe. Non c'è più spazio sulla carta. Il significato ha fatto esplodere i contenuti.
La distanza si allarga.
Duole il cuore immaginare.
Il vuoto cresce nell'ignorare.
La parola si dissolve come spuma nel mare.

Il pendolo oscilla scostante e non riesci più a fermarlo.
Hai spezzato l'armonia; hai squilibrato il tempo e annullato la poesia. Non c'è più parola.

E chi leggerà percorrerà quella lettera ritrovandosi impavido nel pronunciarla, benché il suo significato fosse un altro.
Dolce o amaro?
Non è la dolcezza dell'Amore che si infrange sugli scogli della persuasione.
Ma è un sussurro sospirato dal vento. Sospirato tormento.
Lo odi come se fosse l'inizio di un incantevole preludio, ma l'iniziale è sgradevole citata nell'amara poetica dell'Addio.

Virginialevy

È solo poesia.

Dedicato a meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora