Relazione

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Relazione



Il 14 Maggio, sulla pagina del mio diario di bordo, ho trascritto una citazione: "La vita è una maestra severa, ma impari¹".
L'avevo sentita in un telefilm, qualche tempo prima e ora l'ho capita. Cercando ho anche scoperto che non era proprio come la ricordavo, ma che la parola vita, in realtà, nella citazione originale, è esperienza.

Tutto quello che è stato, in queste sessanta ore, si può categorizzare come esperienza.

Esperienza di vita.

Quello che intreccia queste due parole è qualcosa di fin troppo profondo, qualcosa che fino a che non sono entrato in corsia non avevo colto.

Un'esperienza è fatta di alti e bassi, ma, per definizione, è una conoscenza acquisita mediante il contatto con un determinato settore della realtà².

Ed è di questo che si tratta: la realtà.

La realtà che ci circonda è qualcosa di cui sappiamo davvero poco. Conosciamo la nostra, quello sì, ma nulla più.
Ci fermiamo mai a chiederci come mai chi ci sta accanto si comporta in un determinato modo?

Guardiamo mai oltre alle apparenze?

Io, ad esempio, ho fatto un errore. Nessuno è andato dietro all'apparenza ed è giusto così, perché anche la più nobile delle ragioni non può essere una scusante quando si infrangono le regole.

Ma quando non si infrangono, perché nessuno si ferma mai a pesare cosa ci può essere dietro ad un gesto?

Queste sessanta ore mi hanno insegnato anche questo.

Ho iniziato il mio percorso in traumatologia perché da ubriaco, alla guida, avrei potuto finirci io o, peggio ancora, farci finire qualcun altro.
Non sono stato collaborativo perché credevo di sapere già tutto, di essere arrivato, di poter dire di sapere come andava la vita solo perché la mia situazione familiare è complessa.

Mi sbagliavo. Eccome se mi sbagliavo.

Ho cambiato reparto e ho cambiato visione.

Ho scoperto una parte di me che avevo nascosto per molto tempo o che, forse, non avevo mai avuto.

L. mi ha insegnato che la vita è inaspettata. Sia nelle cose belle, che in quelle brutte. Ma, nonostante queste ultime, la bellezza arriva quando meno te lo aspetti.

N. mi ha fatto capire che non è mai troppo tardi per sognare il futuro, l'importante è crederci anche nei momenti più neri, anche quando non si può.

P. mi ha fatto scoprire che non servono le parole per riuscire ad entrare in contatto con qualcuno, anche una mano tesa e un po' di solletico possono fare la differenza.

Loro sono solo alcuni esempi di tutto ciò che ho compreso.

Cambiare sguardi, punti di vista, vedere sorrisi sinceri nella sofferenza, credo sia un atto di umanità unico.

Imparare a mettersi nei panni dell'altro, per riuscire a dare un conforto, è qualcosa che manca in questa società.

E la visione completa di questa società l'ho avuta solo attraverso loro. Queste sessanta ore mi hanno cambiato, ma nessuno più grande di me mi ha dovuto aprire gli occhi.

La vita è un insegnamento continuo e bisogna accettarli anche da chi non pensavi potessero arrivare, perché sì, la realtà che ci circonda non la conosciamo mai fino in fondo, ma possiamo imparare ad ascoltarla.

Bisogna provare a mettersi nei panni degli altri, con un ascolto non giudicante. Ed è difficile farlo in un mondo che ci abitua all'odio, al fregarsene degli altri, eppure, se si guarda bene, c'è ancora qualcuno che tende la mano e ti sostiene nei momenti difficili.

Avrei voluto gettare la spugna dopo la morte di L.
Ci ho provato, volevo tornare in traumatologia, ma forse avrei perso la bellezza che si cela anche nei momenti difficili: scoprire chi c'è davvero vicino a te e trovare un modo per affrontare quello che è successo.

In queste sessanta ore, ho capito che dagli errori si può sempre imparare, ma bisogna saper accettare gli insegnamenti, partendo dalle proprie colpe, perché per quanto è vero che la vita sia imprevedibile, siamo noi stessi che la portiamo avanti e che modifichiamo gli eventi con le nostre reazioni. Dare le colpe agli altri, senza mettere in discussione noi stessi è quanto di più sbagliato si possa fare.

Senza porsi domande come si può capire se si è nel giusto?

E io, in questo percorso, le domande me le sono posto e ho trovato anche risposte.

Sono consapevole che la mia reazione sia stata astio, sufficienza, diffidenza. Solo che immagino che, un percorso come questo debba, essere anche educativo e dove sono arrivato ora, posso dire che lo sia stato.

Combattiamo tutti contro qualcosa.
Qualcosa di cui nessuno sa. Qualcosa che potrebbe essere anche solo nella nostra testa.
Per questo bisognerebbe imparare a trattare gli altri come vorremmo fossimo trattati noi, ma nei fatti abbiamo ancora da imparare. A parlare siamo tutti bravi, così come ad esporre facciate di persone che non siamo.

Forse davvero ognuno di noi ha il destino già scritto.

Non so se l'esito di questi servizi socialmente utili sarà positivo per il giudice, ma di certo lo è stato per me.

Per la persona che sono diventato, per l'umanità che ho ritrovato e per chi mi è stato accanto in questi mesi.

Comunque andrà, qualsiasi sarà il giudizio, tutto ciò che è stato, per me, è già positivo.





Fine




¹C.S. Lewis
²Definizioni da Oxford Languages

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